I teleparto, così comico e crudele

I teleparto, così comico e crudele I teleparto, così comico e crudele Mirella Serri AMMALARSI di malinconia fin quasi a morirne. Può capitare pure a una pianta. A un baobab, mitico albero, assai caro, per esempio, a Saint Exupéry e al suo gusto per paradosso. Il baobab, che ne Le petit prince rischiava di trapassare «il pianeta con le sue radici», ora se ne sta con i rami penzoloni, dolente tronco estirpato dalle patrie terre, protagonista della spettacolare, dolceamara e travolgente saga dei Carobbi, nel bel romanzo Festa al blu di Prussia di Franco Matteucci. Con questo divertito e appassionato inno al gigante buono proveniente dal Senegal - il baobab è il simbolo di una natura soffocata e senza ossigeno - Matteucci ci offre un suggestivo racconto filtrato proprio attraverso lo sguardo del grande vecchio di natura vegetale. L'albero commenta tra il serio e il faceto le azioni degli umani e cerca di sopravvivere in un mondo dove nessuno, nemmeno lui, ha radici profonde. Regista televisivo e romanziere non nuovo al fascino della iperrealtà quotidiana, Matteucci nel Visionario, il suo secondo libro finalista allo Strega, aveva descritto l'impresa di filmare la morte da parte di uno (nemmeno tanto) squinternato fotografo. Oggi, in Festa al blu di Prussia, si propone di narrare un universo massmediologico impazzito in cui l'obiettivo più ambito è riprendere la vita, owero sceneggiare come un evento spettacolare un parto trasmesso in diretta televisiva. Proprio come il baobab trasci- nato in catene dal Continente nero, in Festa nessuno dei personaggi ha un proprio humus, una propria feconda interiorità in cui affondare le radici, trarre linfa e pulsioni vitali. Non ce Iha l'erede della nobile schiatta, Manho Carobbi, debole narciso che ha impalmato l'ex top model Tiziana ora in dolce attesa e pronta a sfornare il pargolo sotto le luci dei riflettori tv. Non Iha il malinconico Samir, che ha lasciato la sua Giordania per venire a morire in Italia, rappresentazione di un dolente destino che colpisce i più «sradi- cati» e i più deboli. Manho junior, l'architetto incaricato con i suoi boys di attrezzare la scena di luci, fuochi pirotecnici e danze per l'apparizione dell'atteso erede, è poi uno dei più ostinati cultori della magia dello spettacolo come unico scopo di vita. Umberta, che si dedica con amore a lenire le ferite del baobab portato a soffrire e a perire nella bella villa toscana. appartiene alla schiera dei personaggi meno irretiti dalla suggestione dell'apparire. Ma anche lei non riesce a ostacolare l'avanzata dell'orribile festa per il parto, con colonne traiane e pittura color blu di Prussia. Al contrario, sua sorella, ninfetta spesso desnuda, Beatrice dalle unghie appuntite e dal seno in bella vista, ama vellicare le curiosità più audaci e farsi fotografare, ama talmente tanto esibirsi che non avrà nessuna reticenza a indossare i panni della pornostar. Tutti - dalla futura mamma che pensa a Un trampolino di lancio per imporsi di nuovo al gran pubbhco e farsi pubbhcità, fino a Beatrice che non vede l'ora di finire sotto l'occhio della telecamera - sono comunque pronti a votarsi alla grande occasione, all'atteso intrattenimento del teleparto. Che però è destinato a deludere gli spettatori, in un crudele e comico gioco di equivoci e di rallentamenti. Sarà proprio il nascituro dispettoso, infatti, che ritarderà il lieto evento quasi maturando il rifiuto di affacciarsi su questo indigesto mondo. La favola beffarda del parto pilotato da un regista tivù racconta così il dilagare di un voyeurismo incontrollato, associato alla voglia di sottostare al dio dell'apparire. Non c'è dubbio: il piccolo schermo è il glande dittatore. Non saranno i baobab a far scoppiare il mondo, come suggeriva dunque il piccolo principe («se il pianeta è troppo piccolo e i baobab troppo numerosi, lo fanno scoppiare», sentenziava Saint Exupéry). Bensì una selva di tubi catodici e di antenne televisive: Matteucci, che predilige sapientemente i toni più paradossali e grotteschi, raffigura l'apoteosi del mondo delle Lecciso die divora se stesso e il romanzo ha il forte sapore di una «diretta» della foiba collettiva. PARADOSSALE E GROTTESCA «FESTA AL BLU DI PRUSSIA» DI FRANCO MATTEUCCI: L'APOTEOSI DEL MONDO DELLE LECCISO, UNA DIRETTA DELLA FOLLIA COLLETTIVA Franco Matteucci Festa al blu di Prussia Fazi pp. 204,^14,50 ROMANZO

Persone citate: Beatrice Dalle, Fazi, Festa, Franco Matteucci, Lecciso, Matteucci, Mirella Serri

Luoghi citati: Giordania, Italia, Prussia