In cella lacrime e una minaccia «Basta, vorrei ammazzarmi»
In cella lacrime e una minaccia «Basta, vorrei ammazzarmi» LA DONNA A SAN VITTORE: NON SONO PIÙ' NIENTE, NEMMENO UNA MADRE In cella lacrime e una minaccia «Basta, vorrei ammazzarmi» Fabio Poietti MILANO Un'agente seduta davanti alla porta, un'altra direttamente in cella con lei, il letto a fianco, a meno di due metri. Mary Patrizio, la mamma di Mirko, aspirante attricetta tv, è solo l'ombra di quello che era due giorni fa prima della confessione che le ha aperto le porte del carcere di San Vittore. «Non mi importa di niente. Non mi importa di vivere. Vorrei uccidermi. Non voglio più vivere in questo modo. Non ha più alcun senso», ripete in una cantilena in quei pochi minuti di lucidità che le lascia il bombardamento di Valium a gocce generose che dovrebbe tenerla tranquilla almeno un po'. Chi la vede rannicchiata sotto la coperta scura nella cella del centro clinico al secondo piano, gli occhi segnati dal pianto e non dal trucco come appare nelle foto quando sognava un'altra vita in prima pagina, una smorfia sul viso per le troppe lacrime, fa fatica a immaginare che possa essere la stessa donna sorridente che voleva diventare la più famosa di tutte ma non così. «Ho visto una donna disperata. Piange e pensa di continuo a suo figlio. In carcere è ben assistita, la controllano a vista ventiquattro ore al giorno, perchè dopo quello che ha fatto...», racconta Pierluigi Mantini, parlamentare della Maigherita, membro della commissione Giustizia della Camera e avvocato. E' uno dei tanti deputati e consiglieri regionali che sono saliti fino a qui, m questa cella al secondo piano, le fette biscottate sul comodino, due letti e due donne una di fronte all'altra, quella in divisa che guarda la detenuta, la detenuta che guarda il niente. ((No non vaglio mangiare, no non voglio bere, sì mi trattano bene», risponde Mery a mezze frasi tra i singhiozzi. ((Allora non avete capito proprio niente, io non ho più voglia di vivere...», quasi urla assieme ai singhiozzi. Di quegli attimi, quando ha preso la testa di Mirko che aveva sei mesi e l'ha tenuta sott'acqua nella vasca di casa, non può dire niente se non al suo avvocato e al suo giudice. Di quei momenti, quando si è legata le mani con lo scotch in quel modo maldestro che l'hanno scoperta quasi subito, non può parlare se non a verbale. Non può raccontare delle prime versioni impacciate, quando parlava degli uomini che l'avevano aggredita e poi le avevano ammazzato il figlio. Della sua vita di prima, quella che si ferma al momento dell'omicidio, non può dire niente di niente, c'è ancora l'isolamento giudiziario, il giudice deve convalidare il fermo. Lei, adesso, davanti ai parlamentari, alla psicologa e alle agenti che la controllano a meno di due metri può solo sfogarsi. ((Per me tanto è tutto uguale. Mi trattano bene ma fa lo stesso». In cella non ci sono giornali. Nemmeno la televisione. Niente di niente che possa rimandare la sua mente a quello che ha fatto e che ha confessato solo dopo molti giorni e molti interrogatori. Solo quando il parlamentare le chiede se vorrebbe rivedere suo marito, Mery Patrizio ha come un sussulto, una scossa di vita. «Dov'è Kristian? C'è Kristian? E' qui? Vorrei vederlo...». E invece nemmeno suo marito ha ancora avuto l'autorizzazione a incontrarla. Forse vorrebbe chiedergli di essere perdonata, ammesso che possa esserci un perdono possibile per quello che ha fatto, (do non sono più niente, non sono nemmeno una madre», è la frase che raccolgono le psicologhe, le agenti, il personale sanitario del centro clinico che la tengono sotto osservazione per il secondo giorno. ((Ho cercato di usare con lei parole di conforto umano e cristiano...», spiega il parlamentare di fronte a questa madre che sarà presto condannata ma che la sua pena ha già iniziato a scontarla. ((E' una dorma che dovrà essere molto aiutata», spiegano gli assistenti del carcere, forse anche nella prospettiva che per lei si aprano le porte di questo carcere e si chiudano dietro le sue spalle quelle di un Ospedale psichiatrico giudiziario. ((Mio figlio per me era tutto. Di vivere non mi importa più. Cosa ha più senso?», chiede tra le lacrime questa donna disperata prima di tornare sotto la coperta grigia che è diventata il perimetro del suo mondo, prima di quell'ultimo saluto. «Vi ringrazio del vostro aiuto. Adesso non mi serve più niente».
Persone citate: Fabio Poietti, Mary Patrizio, Pierluigi Mantini
Luoghi citati: Milano
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