«Ma qui non è nulla in confronto all'inferno iracheno»

«Ma qui non è nulla in confronto all'inferno iracheno» SARA FUMAGALLI, MOGLIE DEL MINISTRO CASTELLI, A HERAT CON LA ONG «UMANITARIA PADANA ONLUS» «Ma qui non è nulla in confronto all'inferno iracheno» intervista Gigi Padovani ERA stata la prima Ong italiana ad operare a Nassiriya, in Iraq, e ora è l'apripista ad Herat, nel Nord-Ovest dell'Afghanistan, dove hanno preso posizione i 350 uomini del contingente italiano. L'Umanitaria Padana Onlus da venerdì scorso opera con il Prt (Provincia! Reconstruction Team) comandato dal generale Giuseppe Santangelo e anche ieri, nonostante le drammatiche notizie che arrivano da Kabul sulle condizioni poste per il rilascio della cooperante italiana rapita, è continuata l'attività di distribuzione degli aiu: ti: due container di giocattoli per i bambini e materiale sanitario per gli ospedah. A guidare l'operazione è sempre Sara Fumagalli, la giovane moglie del Guardasigilli Roberto Castelli, una leghista della prima ora che profonde il suo impegno verso il Sud del mondo. L'abbiamo raggiunta al telefono nella base itahana di Herat, a sera, dopo una faticosa giornata nei villaggi intomo alla città. Signora Fumagalli, lo sa che lunedì la Farnesina ha temuto che fosse lei la rapita? Sarebbe stato un bel guaio, la moglie di un ministro... «No, per la verità non mi hanno detto nulla. Noi siamo una Ong che lavora con un metodo diverso: non abbiamo strutture fisse o volontari in Iraq o in Afghanistan. Operiamo in sinergia con il contingente italiano: viaggiamo nei voli prepianificati, stiamo nei campi, giriamo con la scorta. Non ci rende esenti da rischi, ma in questa zona la situazione è tranquilla».' Ha notizie sul rapimento? «Siamo a 600 chilometri da Kabul, in una città ordinata e ricca di commerci: mi trovo, con il medico Pietro Veglio e Selcio Ferrerò, a due ore di aereo dalla capitale. Abbiamo le stesse infonnazioni che vi arrivano in Italia...». Come è stata accolta al campo la notizia del rapimento di Clementina? ?Con grande stupore. Gli ufficiali italiani qui non si aspettavano un fatto drammatico come questo». Elei? «Be', devo dire che dopo essere stata in Iraq, temevo che scattasse un effetto emulazione. Sembra si tratti di una banda di criminalità comune, mi auguro che questo faciliti le cose e si possa arrivare a una soluzione positiva senza cedere a ricatti. So che tutte le forze diplomatiche e le autorità afghane si stanno adoperando per arrivare a questo risultato. Purtroppo Baghdad insegna...». Che cosa vuol dire? «I terroristi usano una logica di globalizzazione: l'attenzione che nel mondo è riservata a quanto accade nella capitale irachena po¬ trebbe indurre qualcuno a usare altrove gli stessi metodi. La situazione a Herat è assai più tranquilla di quella che si respira a Kabul, come mi ha confermato chi ci è stato. Analogamente, a Nassiriya abbiamo lavorato con cinque missioni in due anni in una situazione molto diversa da Baghad». Che cosa ha fatto qui? «Siamo andati a Karuk, un villagjio non molto distante da Herat. Se a città è vivace e piena di commerci, basta fare pochi chilometri per piombare nel Medio Evo. Siamo stati accolti molto bene e un capo villaggio, il "nonno" della comunità, ci ha mostrato con orgogho le scuole per le ragazze che i talebani avevano chiuso. E ci ha detto che, "dopo la vittoria", adesso sperano di poter recuperare condizioni vita più civile con il nostro aiuto. Cercheremo di costruire una scuola per queste donne dai 6 ai 25 anni: molte devono imparare a leggere e scrivere». C'è adesione all'ideologia talebana? «Premetto che conosco piuttosto bene l'Iraq e Nassiriya, che in due anni è rifiorita dopo l'intervento italiano, e dell'Afghanistan posso soltanto fornire le prime impressioni. Comunque, ho capito che considerano i talebani come un fenomeno importato, estraneo alla loro cultura, di cui si sono liberati». Tutto tranquillo? «Giriamo scortati, ma senza giubbotto anti-proiettile e senza un apparato di sicurezza estremo, come a Nassiriya dopo l'attentato alla base Maestrale, in cui ha perso la vita anche un nostro volontario. E poi ètutto diverso...». Perché? «Qui non ci sono tremila uomini con i blindati. Gli italiani sono 350 con il compito chiaro di ricostruire, non di insegnare alla polizia come operare per la sicurezza. Gli afghani non hanno bisogno di imparare nulla, ma soltanto di aiuti». Il colonnello Guacclo, Sara Fumagalli e il generale Santangelo ad Herat

Persone citate: Castelli, Gigi Padovani, Giuseppe Santangelo, Roberto Castelli, Santangelo, Sara Fumagalli, Signora Fumagalli