Non è mai troppo tardi per scoprire l'America Latina

Non è mai troppo tardi per scoprire l'America Latina Non è mai troppo tardi per scoprire l'America Latina S E qualcuno prima o poi realizzerà un "Dizionario del miracolo italiano" - con preciso riferimento a quell'epoca di strepitosi successi economici e di vigorosa energia sociale'che percorre il Paese tra gli Anni Cinquanta e Sessanta - non potrà dimenticarsi di Alberto Manzi. Manzi negli anni del boom è stato il "maestro degli italiani". La sua figura s'affiancava ad altre icone nazionali proposte dal piccolo schermo. Oltre a Mike Bongiomo, a Mario Riva c'erano volti conosciutissimi come Angelo Lombardi, ex cacciatore di belve in Africa e poi domatore di leoni, prima di approdare in Tv con la fortunata rubrica L'amico degli animali. In questa galleria di figure che parevano riassumere molti dei caratteri tipici del nostro Paese c'era posto per un frate come padre Mariano (al secolo Paolo Roasenda), che teneva ogni settimana una conversazione su temi religiosi, e per un erudito signorile e cordiale, il professor Cutolo, che nella sua trasmissione Una risposta per voi soddisfaceva ogni possibile e stravagante quesito gli venisse posto dalle lettere dei telespettatori. Però Manzi era diverso da tutti: nella sua trasmissione Non è mai troppo tardi portava sotto l'occhio delle telecamere la sua esperienza reale quotidiana, quella di insegnante elementare, iniziata in un riformatorio romano e continuata sino al 1985, quando andrà in pensione. Nel suo programma in onda perette anni, dal 1960 al 1968, Manzi è alle prese con la lavagna nera, ha la bacchetta per segnare lettere e parole, e, sul ripiano tiene gesso e caìncellino: eppure la sua scuola non ha nulla di polveroso, di spocchioso. Solo così, del resto, poteva rivolgersi con successo ai milioni di italiani che non avevano avuto modo di seguire o di completare le scuole dell'obbligo e che vivevano nei luoghi più sperduti della Penisola. Manzi, eccezionale figura di educatore e pedagogo a cui il Dipartimento di Scienze dell' Educazione dell'Università di Bologna ha dedicato un centro studi - il centro studi "Alberto Manzi", si veda l'ottimo sito www.centrostudialbertomanzi.it - fa dunque, della sua aula televisiva, uno dei luoghi rilevanti di un'Italia che sta cambiando. Simile, in questo, ad altre scuolette appartate e scomode dove però sono all'opera prestigiosi maestri quali Aldo Capitini o Danilo Dolci. Il Non è mai troppo tardi televisivo si ritaglia un ruolo rilevante nel contribuire ad attenuare le ingiustizie e i fallimenti di una scuola dell'obbligo sulla quale, di lì a poco, si soffermerà Lettera a una professoressa, volume pubblicato nel 1967 e frutto delle esperienze di un altro straordinario educatore, don Milani, che aveva messo in funzione per i ragazzi di Barbiana, nel Mugello, una scuola innovativa dalla quale molti trarranno ispirazione negli anni successivi. Ora, a otto anni dalla morte di Manzi, avvenuta nel 1997 a Pitigliano (bellissima località della quale è stato anche sindaco), un suo romanzo postumo Evenne il sabato viene pubblicato coraggiosamente dalla giovanissima casa editrice Corée che proprio in questi giorni fa il suo debutto alla Fiera del libro di Torino. Il romanzo fa venire alla luce altri elementi della vita e delle sfide di Manzi: era infatti un maestro che, ogni estate, durante le vacanze scolastiche, lasciava l'Italia raggiungendo località sperdute dell' America Latina, spesso in regioni molto povere del Perù e del Brasile, dove operava in programmi di alfabetizzazione e di educazione rurale. Il suo E venne il sabato ricostruisce le drammatiche condizioni di lavoro e le durissime vicende che mutano la vita degli abitanti di Pura, una piccolalocalità amazzonica dove a dettare legge sono i padroni del latifondo e gli amministratori della Amazon Company, gli "uomini in nero" che impiegano in maniera coatta la popolazione di interi villaggi nella faticosa raccolta del caucciù. Pura è una località di fantasia ma molti dei nodi e dei personaggi della vicenda - a cominciare dallo "straniero" in cui è riconoscibile lo stesso Manzi, sino ai due sacerdoti, tra cui una splendida figura di missionario giunto dall'Italia e che delude assai il suo vescovo brasfiiano, incline a trovare sempre un compromesso con i potenti - sono ritagliati su un canovaccio di eventi che non deve essere stato molto distante dalla realtà che era caduta sotto gli occhi del maestro di JVon è mai troppo tardi. E infatti è Manzi stesso ad avvertire il lettore, «con grande rammarico», che «i fatti narrati sono per la maggior parte realmente accaduti». Non è qui possibile riassumere le tragiche e corali vicende che cambiano il destino di questa comunità di umili: il motivo conduttore che percorre le quasi cinquecento pagine di questo libro semphee e didascalico - imperniato sulla resistenza dei deboli alla forza dei potenti e dei prepotenti, sul legame inscindibile tra la fede e l'operare per la giustizia, pena la complicità cen gli artefici del male - rammenta un altro testo di cui qui si è parlato lo scorso anno. Si tratta de La messa dell'uomo disarmato, il grande e amplissimo romanzo, pubblicato da Sfreni, con cui don Luisito Bianchi riassume i tratti essenziali della lotta di resistenza da parte di un uomo mite, e della sua gente, alle forze nazifasciste che occupano i paesi della sua infanzia. E se sguardo analogo, rapportato alle nostra bruciante attualità, si vuole affiancare alla narrazione amazzonica di Manzi bisogna allora ripercorrere le storie eccellentemente raccontate e scrupolosamente documentate dalla giornalista delilfam/esto Marina Forti nel volume La Signora di Narmada. Le lotte degli sfollati ambientali nel Sud del mondo. Lì vengono portate alla luce le prepotenze prevaricatrici e le ciniche iniquità con cui, in tanti angoli dell'Asia, dell'Africa, dell'America Latina, il progresso e lo sviluppo hanno fatte tracollare la sopravvivenza materiale, i legami sociali, le culture di interi popoli. Anche se, per fortuna, tra le venticinque storie ricostruite da Marina Forti c'è anche qualche finale bete dove è la giustizia a trionfare. Così, accanto alle tante tragiche Pura distrutte o annichilite, ci sono anche alcune battaghe vittoriose, come quella della popolazione di Cochabamba che impedisce, alle multinazionali, di privatizzare le risorse idriche di quel territorio boliviano. Una storia vera che al maestro Manzi sicuramente sarebbe piaciuta. gboatti@venus.it Quando Alberto Manzi non era alle prese con la lavagna si trasferiva in regioni molto povere, dove operava in programmi di alfabetizzazione e di educazione rurale: in un romanzo postumo la sua testimonianza