«Svelo sogni e misteri dell'antico Egitto»

«Svelo sogni e misteri dell'antico Egitto» JlMiii A CQLLQQUiO CON LA PRESIDENTE PEL COMITATO SCiEMTiFICO DELLA FONDAZIONE DELLE ANTÌCH8TÀ EqiZIE IN UN LIBRO LA MAGIA DI UNA CIVILTÀ STRAORDINARIA «Svelo sogni e misteri dell'antico Egitto» I progetti dell'archeologa Edda Bresciani che dirige gli scavi a Tebe, Assuan e Fayum «li museo di Torino ha reperti eccezionali, sarà alla pari con i più grandi del mondo» Alain Elkann E' DDA Bresciani insegna Egittot logia presso il Dipartimento di scienze storiche del mondo antico all'Università di Pisa e ha diretto e dirige missioni archeologiche in Egitto: Tebe, Assuan, Saqqara, Fayum. Professoressa Bresciani, cosa significa oggi essere un'egittologa in Italia? «E' una domanda che comporta una risposta molto individuale. Intanto significa essere la studiosa di una disciplina inserita nelTihsegnamento universitario. Privatamente significa per me ricercare per capire una civiltà così antica, specialmente grazie agli scritti che ci sono giunti e che ho cercato di comprendere e far comprendere tramite la loro traduzione. In questi giorni è uscito dall' editore Einaudi il suo ultimo lihro «La porta dei sogni», dove lei appunto interpreta, racconta come e cosa sognavano gli egizi e come classificavano i loro sogni. «Sì, è uscito da poco. Lho scritto con grande piacere, avevo messo insieme da tempo queste elementi, approfondendoli per fornire al lettore un quadro insieme attraente e scientificamente corretto. L'interpretazione dei sogni da parte degli antichi egizi è simile a quella dei giorni nostri? «Il concetto senz'altro è altrettanto fallace e illusorio. Ma certamente vi si possono riconoscere meccanismi e concetti simili. Bisogna però tenere presente che, sociologicamente e antropologicamente parlando, i sognatori sognano quello che conoscono (o forse si potrebbe dire con Borges che conoscono quello che sognano?), il loro mondo estemo, il loro bestiario, i loro dei. Per capire certi sogni degli antichi egiziani, dobbiamo tenere presente che la loro religione era ampiamente zoomorfa. Lei oggi è presidente del comitato scientifico della fondazione delle antichità egizie di Torino, cosa significa questa carica? «Lo sento come un grandissimo impegno. Lho accettata come un riconoscimento lusinghiero, come certo l'hanno sentito i miei colleghi; il Museo di Torino ha un passato glorioso e deve avere un futuro glorioso, tramite l'impegno del presente. Mi rassicura moltissimo che il pilastro portante sia la fondazione, anche con la sua forza economica. Cosa farete nel comitato scientifico? «Intanto sono già state fatte alcune cose nei mesi passati, grazie alla Fondazione, per iniziare a rinnovare l'immagine dell'Egizio: lo Statuario verrà rivisitato da Dante Ferretti, il verde portato nel museo dall'architetto Pejrone e l'Egitto viene portato in città con strutture allusive ai monumenti egiziani. L'impe¬ gno maggiore e necessario che io vedo è naturalmente quello progettuale generale (con bando intemazionale per museografì), che porti il nostro Museo, ricchissimo di reperti eccezionali, alla pari, dal punto di vista anche espositivo modemo, degli altri grandi musei del mondo. Vi radunerete per la prima volta nei prossimi gionù a Torino, cosa si aspetta da questo incontro? «Penso che sia molto importante e può essere determinante per la successiva trasformazione del museo, dal momento che ne fanno parte i direttori di grandi strutture museali egittologiche come il Metropolitan di New York e il British Museum di Londra; oltre a egittologi ben noti e a un papirologo, grazie al quale il Museo di Torino potrà esporre un papiro greco importantissimo, acquistato dalla Compagnia di San Paolo». Parla del papiro di Artemidoro? «Certo. Artemidoro era un geografo; sul papiro, che viene dall'Egitto ma se ne ignora la precisa località, figura tracciata la mappa dell'Iberia, la più antica mappa geografica conosciuta: presenta anche dei disegni straordinari, studi di parti del corpo umano, di statue, di animali mitici. Il papiro, esposto a novembre, attirerà studiosi e visitatori da tutto il mondo. Ma cos'ha in mente di fare al museo? «Da sola niente, posso soltanto augurarmi che le mie idee coincidano con quelle dei colleghi del Comitato Scientifico e del Consiglio d'Amministrazione della Fondazione, oltre che dei funzionari archeologi del Museo stesso. Pubblicherete anche dei libri? «Fra le prime iniziative penso che bisognerà prevedere una linea editoriale omogenea e definita, con l'oi^anizzazione di una Editoria del Museo, sicché le edizioni della Fondazione possano entrare in una rete intemazionale». Vi saranno molte mostre? «Sì, e dovranno essere molto importanti, innovative, dei veri esempi». Pensa che saranno necessarie nuove acquisizioni? «Spero di sì, per integrare certi settori non rappresentati, per esempio con una serie di ritratti del Fayum che sono tra i prodotti artistici più importanti dell'epoca ellenistica. Questo museo possiede molto materiale straordinario, basti pensare alla tomba tebana integralmente posseduta dal museo, quella dell'architetto Kha. Torino è una città che lei conosce bene? «Non benissimo, ma la vedo bella, elegante, signorile e un po' francese, con un centro storico anche architettonicamente raffinato, dove gli antichi caffè, le piazze,!'atmosfera sono rispettati. Presto con il progetto di Giu^iaro "Il museo in città", grandi simboli dell'Egitto faraonico serviranno da geroglifici segnali per attirare verso il Museo Egizio». Secondo lei perché l'Egitto attrae tanto oggigiorno? «Perché l'attrazione va cercata fin dall'età romana, che dell'Egitto sottomesso subì il fascino, già nella direzione di un paese iniziatico, basta pensare ad Apuleio e al suo Asino d'oro. Nell'età modema, lo stile egittizzante per mobili e decorazioni è presente in Italia, anche se non quanto in Francia. Per il [rande pubblico, però, è il mistero, a magia, che si identificano con l'Egitto dei faraoni...Cmema e fumetti hanno attinto all'Egitto antico, e incoraggiano l'interpretazione esoterica e misterica. Qual è il suo Egitto? «E' l'Egitto dell'epoca tarda, l'Egitto satrapia dell'impero achemenide, l'Egitto demotico... Quante volte è stata in Egitto? «Quattro volte all'anno circa da quando ho iniziato a dirigere scavi in vari siti dell'Egitto. Le piacciono gli scavi? «Sì, mi piace l'organizzazione, e, dello lo scavo, l'emozione che viene anche da un minimo oggetto ritrovato. Mi piace lavorare con gli operai, con i colleghi che per fortuna sono sempre stati non solo specialisti eccellenti, ma anche di alta qualità umana, cosa necessaria per convivere per intere settimane nella stessa casa in mezzo al deserto. Ci vuole soprattutto molto reciproco rispetto e buon carattere». L'Università italiana produce buoni egittologi? «Si fa quello che è possibile con un numero ridotto di cattedre e la difficoltà sempre maggiore per il reclutamento di nuove forze tra i giovani, che sono in massima parte ben preparati. Ho avuto e ho scolari eccellenti a Pisa anche in una materia ultraspecialistica com'è il demotico». Non tutti sanno, professoressa, cos'è il demotico. «Lasciamolo nel mistero che fa parte della tradizione dell'Egitto antico». fò&k Ne' 'avoro d'scavo m' P'ace ™" l'emozione che viene anche da un minimo oggetto ritrovato, il rapporto con operai e colleghi: occorre un'alta qualità umana per convivere settimane in mezzo al deserto SS &ÉL A novembre la mostra sul S w papiro di Artemidoro attirerà studiosi e visitatori da tutto il mondo E' la più antica mappa geografica conosciuta, acquistata dalla Compagnia di San Paolo QQ L'archeologa Edda Bresciani durante una spedizione in Egitto

Persone citate: Alain Elkann, Borges, Dante Ferretti, Edda Bresciani, Einaudi, Pejrone