Izzo: i dettagli nel mio libro di Fulvio Milone

Izzo: i dettagli nel mio libro SCRIVE IN CELLA LA STORIA DELLE SUE STRAGI Izzo: i dettagli nel mio libro Fulvio Milone inviato a CAMPOBASSO «Angelo Izzo, quel maledetto, mi mandò una lettera datata 28 aprile. Scriveva: stai tranquillo, tua moglie e tua figlia si trovano con me nelTufficio dell'associazione Città Futura. Sono due persone stupende: ho portato la ragazzina a mangiare un gelato. Capisce? Giovedì 28 aprile, propno il giorno in cui le ha ammazzate». In una saletta al primo piano del carcere di Campobasso, un cinquantenne che sembra averne 10 in più, vestito con jeans e maglietta blu, piange e trema come una foglia. È Giovanni Maiorano, un passato da assassino e un presente da pentito della malavita pugliese. Dieci giomi fa il boia del Circeo, approfittando delle ore trascorse fuori dalla cella grazie alla semilibertà, gli ha ucciso la moglie. Maria Carmela Linciano, e la fighe di 13 anni, Valentina. Ora, davanti al deputato della Margherita Roberto Giachetti in visita al carcere, dice che la vita non ha più senso per lui: «Sarebbe meglio farla finita, Valentina era tutto per me. Non voghe più tornare libero, non saprei dove andare». Agita le mani come per scacciare le immagini di morte che gli affollano la mente, mentre racconta che Izzo gli ha spedito negli ultimi tempi una trentina di lettere affettuose, compresa quella del 28 aprile, lo stesso giorno del massacro di Ferazzano, alle porte di Campobasso. «Onorevole - aggiunge bisogna fare una legge che impedisca agli ergastolani come Izzo di ottenere permessi premio e semilibertà». Nel piccolo carcere di Campobasso sono rinchiusi i 4 protagonisti della tragedia. C'è Maiorano, che consuma le sue giornate chiedendosi che senso abbia la vita per lui. C'è il carnefice, Izzo, occhi spiritati, pantaloni e giacca marrone, il quale non fa che parlare di sé e non spende una parola di pentimento per le vite che ha spezzato. L'incontro con il massacratore del Circeo avviene in un corridoio al pian terreno. Fisico massiccio, barba bianca di qualche giorno, Izzo sembra imprigionato, oltre che dalle sbarre, da un ego sconfinato che non gli consente di guardare oltre se stesso. «Ho vissuto la mia vita tradendo la fiducia di chi credeva in me», dice, alludendo ai giudici che gli avevano concesso la semilibertà e ai volontari dell'associazione Città Futura per la quale lavorava. «Lei ha annientato le vite di due persone innocenti», lo interrompe Giachetti, e lui risponde: «Lo so, ma è stata una cosa improvvisa. Ho sentito una pressione fortissima, come se la parte peggiore di me avesse preso il sopravvento distruggendo trent'anni di lavoro speso per ristrutturarmi». Izzo chiude il breve monologo parlando ancora una volta di sé: «Ci sono cose che è inutile dire, le scrivo nel libro che sto per pubblicare». Al primo piano, nel reparto femminile in ristrutturazione, è rinchiuso Luca Palaia. «Che cosa avrebbe fatto se avesse avuto una pistola, quella di Izzo, puntata alla testa? A me è successo questo», dice. Preoccupano le condizioni del quarto detenuto. Guido Palladino. Non mangia, sembra impaurito e disorientato mentre balbetta: «Non ho fatto niente, sono innocente». «È assurdo che in questo carcere, nonostante le ripetute richieste della direttrice, non ci sia uno psichiatra che assiste i detenuti commenta Giachetti - è assurdo rinchiudere nello stesso penitenziario i responsabili di un delitto così grave, e il marito e padre delle due vittime».

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