Tony Blair, il dubbio dì un ottimista

Tony Blair, il dubbio dì un ottimista A POCHI GIORNI DA ELEZIONI CHE SEMBRAVANO SCONTATE, IL LABOUR SCOPRE DI AVERE APPENA IL 2 PER CENTO DI VANTAGGIO Tony Blair, il dubbio dì un ottimista Il premier ha paura: «Non abbiamo più il vento nelle vele» reportage Luda Annunziata LONDRA TONY Blair ha paura. Il Labour infatti, secondo una analisi dello stesso partito, «non ha più il vento nelle vele come nel 1997. Ma nessun governo che è stato al potere per otto anni ce l'ha». Blair dunque si sentirebbe minacciato da vicino: dal dissenso interno del Labour, dalla sinistra dei Liberal Democrats, e infine dagli stessi Conservatori, la cui nuova campagna è - per un bizzarro cortocircuito postimperiale - di marca Australiana. È una paura vera, o solo tattica? n dubbio è legittimo, nel caso di un gruppo politico come quello blairìano che ha fatto dello «spinning», cioè della capacità di orientare la pubblica opinione con mirate campagne di comunicazione, il pùnto forte della sua sopravvivenza. Di certo tuttavia ci sono sul tavolo di Downing Street due indagini preelettorali, l'una peggiore dell'altra. La prima è stata ordinata dallo stesso Labour - ma, appunto, è finita, non a caso, immediatamente sulla prima pagina di un quotidiano, il «Guardian» - e rivela che il margine di vantaggio di Blair è in alcuni casi di solo il 207o, In alcuni casi questo 2 per cento, è addirittura a vantaggio dei conservatori. L'altra inchiesta è stata fatta per il «Financial Times» e conferma il dato del 2 per cento, ma ne spiega meglio le dinamiche: il Labour infatti rimane nella opinione popolare ancora il più favorito dei partiti. Se si chiede ai cittadini in generale qual è il loro partito, il Labour conferma un margine del 10 per cento sui conservatori. Ma tra coloro che hanno sicuramente deciso di votare il Labour ottiene solo il 36 percento, i conservatori il 34 e i liberal il 23 per cento. La grande incognita che si è aperta è dunque quella dell'astensionismo: secondo il «Financial Times», solo il 61 per cento oggi si è deciso a votare; secondo i dati dell'inchiesta del Labour si tratterebbe addirittura del 58 per cento. Ma la parte più pericolosa per Blair è la tendenza che si esprime dentro questa intenzione di voto: in calo per il suo partito e in contemporanea risalita per gli altri due, i conservatori e i Liberal Democrats. Così ad esempio, la percentuale dei Tory che voteranno è l'SC per cento questa settima¬ na, contro il 71 per cento della settimana scorsa; per il Labour si tratta del 64 per cento, contro il 66 per cento di una settimana fa. I dati fotografano Blair in una difficile partita: stretto a tenaglia fra due sfidanti che riescono a motivare i loro elettori, mentre lui ne sta perdendo la fiducia. L'inchiesta del Labour si conclude con una cruda presa d'atto di questo stato delle cose: «Nessuno dei rilevamenti mostra il sicuro livello di crescita nelle intenzioni di andare a votare, come invece era successo quattro anni fa. Il Labour non ha più il vento nelle vele come nel 1997. Ma nessun governo che è stato al potere per otto anni ce l'ha». La brutalità di questa analisi è molto anglosassone. Pochi partiti nel mondo annuncerebbero infatti con tale severità la propria difficoltà, a otto giorni dal voto. Ma è anche molto blairiana. Non a caso, come si diceva, il rapporto riservato è stato reso pubblico immediatamente: la difficoltà in cui è incappato il Labour, con tìpico stile dell'attuale leader inglese, è divenuta non ragione dì fuga, bensì dì trasformazione dell'orientamento della campagna. Da ieri così è stato lanciato, nelle scuole, nelle sale comunali di tutti i paesini e nelle fiere dì tutti i passoni di Inghilterra, un nuovo mantra: «Se non volete i conservatori, state attenti: votateci». Dopo mesi Ianni, in verità) dì grande sfoggio dì fiducia in sé stesso, il primo ministro inglese si è improvvisamente trasformato in un leader preoccupato, quasi affannato: dalla serenità, dalla benevolenza, è passato alla denuncia. In questa riaccellerata allarmata impressa alla campagna elettorale, Blair tuttavia non ha scelto dì attaccare la sua sinistra. È un punto rivelatore del suo modo di far politica. Ha gettato invece tutto il peso contro ì conservatori, accusandoli in particolare di un reato quanto mai odioso agli occhi della cultura anglosassone: fare una campagna negativa, mirata cioè a sminuire l'avversario più che al confronto fra i contenuti. E qui entrano in scena gli australiani - come in un romanzo del Booker Price , premio lettera¬ rio che è divenuto, nelle sue scelte, lo specchio in cui scrittori spesso di origine «coloniale» riflettono sui frammenti di una cultura imperialista. Arrivano dunque gli australiani: si tratta di Lynton Crosby che è stato chiamato in Inghilterra dal candidato conservatore Howard per dirigere la sua campagna. Compito quasi impossibile, visto che Howard ha legato il suo nome, come membro del governo Tatcher, alla più sfortunata proposta di tassazione, dall'epoca di quelle imposte sul the alla colonia americana nel 1700: la poh tax, che finì cancellata dopo una breve stagione dì scontri nelle strade londinesi. L'australiano Lynton tuttavìa ha già nel suo curriculum un successo inatteso: la vittoria a sorpresa dei conservatori nel suo paese, nel 2001. E con il metodo dì quella campagna sì è messo al lavoro: un metodo defunto da Blair infame. Invece che dì faccia a faccia, Lynton si sta spendendo infatti soprattutto sul- rincrudimento dei temi elettorali e dell'attacco personale. Come in Australia, ha scelto come centrale il tema della immigrazione: li in «down under» vìnse terrorizzando il paese per sbarchi dì clandestini fra cui erano infiltrati terroristi, vinse accusando i democratici dì essere deboli con il, crimine dianno le mani sporche dì sangue delle vittime», diceva un suo manifesto. In Inghilterra ha scelto lo stesso tema, aggiungendo il dubbio sulla buona fede, sulla sincerità, sulla personale onestà di Tony Blair, soprattutto sulla guerra. Un attacco questo che alla fine, come si vede, si incrocia con quello che gli portano ì Liberal Democrats in relazione all'intervento in Iraq. Nasce cosi la «tempesta perfetta», per Blair; quel luogo nello spazio e nel tempo in cui si allineano tutte le turbolenze. È una situazione seria, anche se non è ancora il caso di dire grave. Il dubbio sulla vittoria del Labour ancora non c'è; ma la matematica elettorale rimane brutale. Il sistema elettorale inglese, con i suoi premi di maggioranza, porta a una conclusione sola: per poter riconfermare la sua attuale forza, cioè una maggioranza dì 165 seggi, Blair ha bisogno che voti l'SO per cento dei suoi elettori. All'attuale livello di votanti avrebbe una maggioranza molto ridotta e il suo ruolo non sarebbe più quello che è finora stato, il kingmaker di Inghilterra. Allora si aprirebbe davvero la stagione del suo addìo. Si è aperta la grande incognita dell'astensione Solo il 60 per cento andrebbe a votare mentre «liberal» e conservatori sono in forte crescita Blair e Gordon Brown, il ministro dell'Economia, alleato e avversario

Luoghi citati: Australia, Inghilterra, Iraq, Londra