SZEEMAN

SZEEMAN SZEEMAN Così metto in vetrina il Belgio visionario te missair» un artista ere» i Marco Vallerà EM curioso. Rileggendosi i necrologici giornalistici seguiti alla morte improvvisa di Harald Szeemann, salta agh occhi che quasi tutti hanno superficialmente ricordato le sue ultime imprese anche discutibili, legate al mondo ondivago dehe Biennali e dehe rassegnefiere, dimenticando quello che è stato il suo vero merito, le mostre-monstre-pendemonium ed orchestrate in forma non di mostra ma di mondo, di biblioteche immaginarie, di labirinto mentale. Come quella del Monte Verità, delle Macchine Celibi o dehe nazioni Visionarie, imprevedibili come la Svizzera o l'Austria. E chi ha ricordato letteralmente la sua derisoria «Agence pour le travail intehectuel à la demanda au service de la vision d'un Musée des Qbsessions»? Che era poi la sua, di ossessione: quella di poter catalogare (lui che non usava il computer, ma le vecchie fiches e carpette) tutte le «coscienze divergenti» - ovviamente al di là degh schieramenti ufficiah e dei movimenti sclerotici cari ai manuah - edin cui soltanto si trovano ancora, compresse, le «energie utopiche». Ma Szeemann, lasciandoci ahimè in un mondo di curators inamidati in odor di sartoria e di critici mercantipataccari (lui preferiva l'etichetta più maigrettiana di commissair, contro quella di conservateur) propu¬ gnando proprio due categorie, (d'intensità» e l'aaccumulo» (anche di sapienza e di conoscenza erudita) che sonp categorie così lontante dall' asfittica' e liofilizzata arte d'oggi, ebbene Szeemann si è preso una vendetta ed un risarcimento postumo, con questa grandiosa, delirante, esplosiva kermesse postuma, che si intitola «La Belgique Visionnaire. C'est arrivé près de nous». Che pare uno slogan circense e che si rifa invece ad un titolo famoso d'un film belga, dedicato al problema del trilinguismo, lacerante, del paese (c'è anche il tedesco, dimezzo). Eh già, il paese noioso e piovoso e diplomatico, tanto disprezzato dai dandy simbolisti e da Baudelaire (Pauvre Belqique, schiumava nel suo aborrito esilio... e non sono poi i belgi, per le barzellette francesi, gli equivalenti dei nostri carabinieri?) il paese, che ha uno dei governi democratici più antichi d'Europa ed un federalismo autentico, in realtà è attraversato da un fremito così vistoso per quanto sotterraneo, di follia ed eccentricità - Wiertz, Rops, Ensor, Magritte, Delvaux, Panamarenko, etc - che una rassegna documentaria e delirante come questa gh va a pennello. E diventa una specie di allegro epicedio del suo artefice (perché Szeemann era un artista, che «dipingeva» con le opere altrui). Naturalmente, trattandosi di lui, la non-mostra labirintica, è costruita come un rizoma, secondo Deleuze, un percorso sotterraneo, che partendo dahe fronde più appariscenti, scende giù giù sin nehe radici, che non si limitano soltanto a pescare la linfa nell'arte figurativa, ma coinvolgono da Eddy Mercks il ciclista al drammaturgo De Ghelderode, che miscelava baroccamente attori maschere e marionet- te e che propose a Ligeti il Grande Macabre. Tiri Tin come la Muta di Portici di Auber, l'opera lirica d'argomento rivoluzionario, che provocò la sommessa contro gh Qlandesi e l'indipendenza del Belgio. Aha follia del Mondianeum, un utopico progetto fatto di fiches, presenti qui nei vecchi schedari, che avrebbe dovuto catalogare l'intera sapienza del mondo (e Le Courbusier, coinvolto per un progetto architettonico). Ma qual è l'elemento che più caratterizza questa visionarietà belgica? fl maiale pomocrate, che sfugge aha tela satanica di Rops ed entra in tante di queste opere? Oppure i coccodrihoni, così poco nordici, di Panamarenko, che scivolano come fuori da un Escher olandese, nel salone d'entrata del Palazzo del Bozart, disegnato da Morta? L'orripilante macchina, vera e chilometrica, per «scervellare» chirurgicamente il paziente, sfilandoglielo come un gomitolo, o il sintetico Cervello del Belgio, che Charher espone in un giardino, quasi fosse una fontana? La clinica del dottor Guislan, che fu uno dei primi ad inventarsi l'art brut e far dipingere i suoi pazienti schizofrenici, oppure il delirante muratorepaleologo, che si costruì da solo l'enorme torre dell'Apocalissi, o quel Cristo vergognoso di Maieu, che si nasconde dietro la Croce? Szeemann avrebbe voluto aprire tutto con l'esplosiva Entrata in Gerusalemme di Ensor, che non è giunto, per dispetti oi-ganizzativi. Ma a cui, anni fa, Szeemann aveva scritto una bellissima lettera immaginaria (non un'intervista impossibile!) che rivelava l'esigenza del curatore di entrare in contatto con gh artisti. Per elogiare questa «sfida audace e visiona¬ ria», là sublime «dissonanza, anarchica e spettacolare, di quelle larve in maschera», l'energia derisoria: un' eresia pittorica, che doveva dar inizio a questa danza anche macabre. Forse la vera natura visionaria di questo paese, consiste nel gioco tra parola ed immagine, come ben dimostra la pittura di Magritte, ma anche la Salle Bianche di Broodthaers, che da folle nipotino surrealista venne in questo museo, negh Anni Settanta, non trovò nuha di moderno, tornò a casa e si costruì un museo immaginario, ove immagini e concetti eran sostituiti dahe parole. Parole spesso anche oscene, e blasfeme, magari tratte da giornaletti pomo, che, in un'altra intallazione, Marien ritaglia, montandole sopra riproduzioni di celebri quadri, con effetto dirompente di déplacement sovversivo. In puro stile belga. Anarchica, delirante e folle a Bruxelles l'ultima impresa del grande «commissair» che in realtà era un artista capace di «dipingere» con le opere altrui •'Ass- -"H'HisPwa --'^' ' " BBR ^"stf EisffiR^ ;■■'..,':' ■■ -r .•• v;,.^_,. ' Krj,':*KMi>u7 m ■ ^ ■''■''''"'*;:■•■.' »i ; , . ^' : . ?, ■ ' ■ MB' A^t^S^#ft>i BB. - [ H :-: "<' . eSS ■ * SS ,, . galeu«. ' I ,■:., ■ ■ :%$$■', vnu4«i£/ - :: .- ■ ■ ^ : ■'•"■"t' '- '' ■'-'^-v: L- ; i ; ■ ' ; ■ La Salle Bianche dì Marcel Broodthaers La Belgique Visionnaire. C'est arrivé près de nous. Bruxelles. Palais de BeauxArts. Orario dalle 9 alle 17, tranne lunedì. Fino al 18 maggio