DONGO La memoria divisa di Mattia Feltri

DONGO La memoria divisa DONGO La memoria divisa Dove Mussplini fu preso per essere ucciso, tutti ricordano, ma non c'è una targa reportage Mattia Feltri NESSUN cartello indica Dongo sinché non si arriva a Dongo. Si sale da Lecco verso la Valtellina, a ColiccM gira a sinistra in direzione Valchiavenna, dunque di niìovo a sinistra in direzione Menaggio. Si attraversano i paesi della sponda settentrionale del Lago di Como senza sapere, se non ci si è diretti, che da un momento all'altro si farà, ingresso nel paese dove la mattina del 27 aprile 1945 fu arrestato Benito Mussolini. «Dongo - Località di interesse storico» dice finalmente la toponomastica, lasciando nell'oscurità chi ignorasse gli eventi che hanno fatto di Dongo una capitale della Seconda guerra mondiale, della Resistenza e della Liberazione. I visitatori più istruiti, di solito, si concedono una sosta e pongono due domande. La prima: chi ha ucciso Mussolini? La seconda: chi si è preso il tesoro dei fascisti? E a quel punto che gli abitanti di Dongo risprofondano nelle acque del loro dilemma. Anche oggi, 25 aprile (ieri per chi legge, ndr), nulla testimonia la straordinarietà del luogo e della data. Non è un'eccezione: i centri precedenti e quelli successivi si sono concessi qualche bandiera tricolore, davvero poche, e celebrazioni proporzionate alla densità abitativa. Dongo, metropoli della zona, conta tremila e cinquecento abitanti. Oltretutto piove, come pioveva a dirotto sessant'anni meno due giorni fa, la mattina in cui ilDuce scortato dai partigiani scendeva dal camion e veniva scortato dentro palazzo Manzi, la bella sede municipale d'inizio Ottocento. Stamane, 25 aprile 2005, c'è stato il discorso delle autorità, una messa in suffragio dei caduti per mano nazifascista, la fanfara che suona il Sol dell'Avvenire in piazza e al cimitero. Fine. Poi si va tutti al ristorante, il sindaco con gli assessori, il parroco, i carabinieri, i rappresentanti dell'Associazione nazionale partigiani, quelli della Guardia cu Finanza. .L'ospite col taccuino ha l'aria di essere l'unico interessato al feticismo, forse persino al voyeurismo, comunque al ricordo. Non è che nessuno abbia voglia di parlare di Mussolini e di Claretta Petacci. E' che, con il contributo del resto del mondo, a Dongo stanno cercando di capire che fare di Dongo. Il solito dilemma. E infatti un vero monumento, ^ui, è Vilma Conti, settantasei anni, staffetta partigiana. «Guardi, io ero fascista. Fascistissima. Ero una ragazza e amavo il Duce. La mia era una vecchia famiglia sociali-, sta. Fra le foto nel cassetto tenevamo (niella di Giacomo Matteotti, ben nascosta. Io non sapevo che fosse l'immagine di Matteotti. Pensavo fosse quella del nonno che non avevo mai conosciuto», dice Vilma. Aveva quattordici anni ed era infiammata per il fascismo e il babbo le diceva: «Sei giovane. Dovrai ben crescere». Poi venne l'S settembre, la guerra civile, le violenze. Vilma assistette ai suoi eroi che si facevano carnefici. Cominciò a portare il pane e le calze ai ribelli in montagna. Riconobbe il padre, cur- vo e sbiancato in testa dopo la prigionia e la tortura, solamente per la fattura e il colore della giacca. Fu nominata staffetta e il suo compito era di portare biglietti al Comitato di liberazione di Como. «Un incarico rischioso,' sa?». Dalla sua finestra sul lungolago vide sfilare la carovana di camion diretta in Svizzera, la vide bloccarsi perché la strada era stata interrotta coi tronchi e , le pietre e poi vide i partigiani affannarsi fra un autocarro e l'altro, li vide prendere i ministri della Repubblica sociale, e lei non sapeva chi fossero «perché non c'era la tv e le foto sui giornali erano poche». Infine vide il Duce tenuto per le braccia da due partigiani attraversare la strada, la piazza ed entrare in Comune. Vilma volle vederlo. «Ero la staffetta. Conoscevo i partigiani e mi fecero entra¬ re». Mussolini era seduto. La Petacci era stata condotta in una stanza attigua. Vilma ricorda le parole del capo del fascismo: «Tenete la porta aperta, che possa vedere la signora». l Ma perché Vilma volle quella soddisfazione? «Volevo vedere il mio Duce». E da allora il dilemma si è trascinato fino a oggi. E non è il dilemma di una fedeltà tradita. E' il vero dilemma della conciliazione fra quello che si è stati prima e quello che si è stati dopo. E soprattutto è il dilemma di come, dal prima al dopo, si è passati. Vilma lo ha risolto. E' stata fascista, poi partigiana, ha guardato in faccia il suo Duce. Poi ha vissuto. Qui a Dongo, per capirci, c'è la storia conservata e la storia stravolta. E' stato conservato, con cura da collezionisti, il muretto lungo il quale vennero allineati e fucilati i gerarchi di Salò. Forse quel muretto è la vera pietra tombale del Ventennio, più ancora che il cancello a Giulino di Mezzegra davanti al quale furono abbattuti Mussolini e la Petacci. E' il muretto che separa la via Garibaldi dal lago, alto una trentina di centimetri, con sopra una vecchia ringhiera. Non l'hanno mai sostituita. A guardare con attenzione, si trovano ancora ammaccature regolari, perfettamente circolari, lasciate dai proiettili sparati dal plotone d'esecuzione. Che stranezza: un piccolo monumento dell'Italia Repubblicana, un cimelio intoccato per sessant'anni con una consapevolezza romantica e scientifica. Eppure non c'è una targa che racconti, che spieghi, che giustifichi la gelosa manutenzione. I pullman dei villeggianti si fermano in piazza, la gente scende per un caffè, si appoggia alla ringhiera e guardaci lago. Ma non sa. «Anche l'altro': giorno i un fiomalista si è fermato e mi a chiesto dóve fesse stato fciso il Dacertai 'ho detto che Dongo non c'entra. Il Duce è stato ucciso a Mezzegra. Almeno quella colpa non l'abbiamo», racconta una donna fuori dalla Chiesa. Usa la parola «colpa», ma è un riflesso condizionato. Qui, in definitiva, il dilemma si concretizza fra l'orgoglio e la vergogna. Il colpo di mano dei partigiani, pochissimi, insufficienti a fermare la colonna, fu spettacolare e da giovani incoscienti. Poi, però, c'è stata l'esecuzione, c'è stato piazzale Loreto, c'è stata la furia con cui, dalla piazza del comune, qualcuno sparò e infierì sui corpi dei gerarchi uccisi. Qui ci fu il «sindaco dei due giorni», Giuseppe Rubini, nominato il 25 e dimissionario il 27 in protesta contro la giustizia sommaria voluta dai capi partigiani venuti da fuori. E il disagio di Dongo quasi una rabbia - è di passare da mezzo secolo e un decennio per assassini e ladri, assassini del Duce e ladri del suo oro. Ma come si viene fuori dal dilemma se Dongo ha la sua ringhiera senza nome? Se Dongo soffre della sua fama ma non ricorda o non ammette con una lapide che lì dentro, dentro palazzo Manzi, soggiornò Mussolini e soggiornarono per le loro ultime ore terrene i Pavolini e i Bombacci? Come, se non c'è un cippo a immortalare il punto esatto in cui la colonna si dovette arrestare? E' un chilometro quadrato di storia stravolto dalla viabilità. Ci sono due tunnel costruiti successivamente, appena a ovest di Dongo, per cui lungo i metri finali di Mussolini non ci si passa, se non ci si vuole gassare. E anche volendo, isogna essere ben istruiti per buttare l'occhio con successo. La roccia a picco sul lago ha una rientranza: ecco, è li. E pare quasi un gioco che su un pilone del viadotto, subito più avanti, si veda ancora un manifesto elettorale, mezzo strappato, di Alessandra Mussolini. Però oggi si è celebrato l'anniversario. La gente, qui, vuole una mano. Ma dietro ci sono le montagne, davanti il lago. La strada è stretta e trafficata e domani e dopo verrà percorsa dai nostalgici in camicia nera che non hanno bisogno di guide e targhe. Oggi la tesi, domani l'antitesi. La sintesi qual è? E1 stato ben conservato il muretto lungo il quale vennero giustiziati i gerarchi. Si trovano le ammaccature lasciate dai proiettili del plotone d'esecuzione. Ma nulla spiega tanta gelosa manutenzione Fra gli abitanti c'è il disagio, quasi- una rabbia,, di passare da oltre mezzo secolo perassassinieladri: quelli che ammazzarono il Duce e rubarono il suo oro IfLUIGLb5MEcdttnzand2ptM I cadaveri dei gerarchi fascisti fucilati sul Lungolago di Dongo li municipio di Dongo dove venne portato Mussolini dopo l'arresto