Rigore e humour Le due anime del nuovo Papa

Rigore e humour Le due anime del nuovo Papa IL RITRATTO Airinizio degli Anni 60 appare come uno dei «maitre à penser» della nuova stagione della Chiesa Ma quando Paolo VI gli affida la guida della diocesi di Monaco abbandona l'ala «progressista» Rigore e humour Le due anime del nuovo Papa Sempre vicino a Wojtyla: di corsa rientrò a Roma per dirgli «addio» Nel 1984 disse: i regimi comunisti? Una vergogna del nòstro tempo Lo studio prima di tutto. «Ma io non sono il Grande Inquisitore» Marco Tosarti CIHA DEL VATICANO E' stato certamente l'uomo più vicino a Giovanni Paolo n, quello di cui il Pontefice appena scomparso non poteva fare a meno; dal giorno in cui l'ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, il 25 novembre di ventiquattro anni fa, l'ha eletto a suo uomo di fiducia, proprio nel campo in cui si sentiva, lui filosofo e appassionato di antropologia, meno sicuro: la teologia. E Joseph Ratzinger non l'ha mai tradito. Ha chiesto, è vero, un paio di volte di potersi svestire di quella divisa da «carabiniere della fede» che certamente gli impediva di mostrare la pienezza delle sue doti umane di simpatia e di humour; ma ogni volta ne ha avuto un rifiuto. E alla fine, ha desistito dal tornare ai suoi studi, abbandonati quasi cinque lustri fa; nell'ultima fase dell'esistenza di Papa Wojtyla l'affetto e la solidarietà hanno prevalso sui legittimi impulsi della natura umana. Il primo aprile, la sera precedente alla morte di Giovanni Paolo n, era tornato da Subiaco, dove aveva ricevuto un premio, per dire «addio» al suo «amato» Pontefice. «Come posso andarmene a riposare, quando vedo che il Papa, malato com'è, prosegue nella sua missione?» aveva detto due anni fa, a chi gli chiedeva se ancora sognava un «buen retiro» di studio nella sua casetta sui Castelli romani. E non se ne' è andato, anzi; è stato l'uomo investito dell'eredità spirituale di Giovanni Paolo n. A cominciare dalle «Meditazioni» della Via Crucis, della Pasqua scorsa, in certi punti così amare e lucide sulla vita della Chiesa, meditazioni in cui si parlava di «sporcizia», e della Chiesa stessa come di una barca che sembra in procinto di affondare; passando per l'omelia ai funerali del Pontefice polacco, con quei tocchi finali pieni di umana tenerezza e affetto verso l'amico scomparso; e infine per chiudere l'esposizione di quello che può veramente essere interpretato come il Testamento spirituale ed ecclesiale di Giovanni Paolo n con l'omelia, fortissima - un programma di pontificato - pronunciata appena ieri l'altro alla messa «Pro eligendo Pontifice», per l'elezione del Papa. Eppure fino a qualche mese fa, non sembrava così sicuro che il teologo bavarese, uno degli «animatori» del Concilio Vaticano n, potesse giungere a sedersi sul soglio di Pietro; o che avrebbe accettato di prendere sulle sue spalle il fardello, enorme, del ricordo di Wojtyla. Voci di successione insistenti. «Non potevo prenderle molto sul serio, dato che i limiti della mia salute erano altrettanto noti come la mia estraneità a compiti di governo e di amministrazione; mi sentivo chiamato a una vita di studioso e non avevo mai avuto in mente niente di diverso». E' Benedetto XVT che scrive, quello che fino a ieri era Joseph cardinal Ratzinger; ma non parla della sua candidatura al soglio di Pietro, a cui è giunto con una rapidità sbalorditiva (uno dei conclavi più rapidi della storia moderna), bensì del momento, nel 1976 - trentacinque armi fa - quando alla morte del cardinale Doepfner fu indicato fra i successori^ Eppure anche nei giorni scorsi' più volte, a quanto pare, avrebbe avuto qualche dubbio, se accettare o meno. Alla fine la fede e, probabilmente, il senso del dovere, hanno prevalso. Joseph Ratzinger nasce il 16 aprile 1927 un sabato santo, a Marktl am Inn, nella diocesi di Passau, da ima famigha solidamente cattolica. «Fui battezzato il mattino successivo alla mia nascita con l'acqua appena benedetta nella note pasquale», ricorda. Il padre si era esposto parecchio, contro il nazismo, e fu così obbligato ad abbandonare la sua città, e a trasferirsi con la famiglia ad Anschau sul!' Inn. Suo padre era poliziotto, e soffriva, scrive il Papa, «stare al servizio di un potere statale i cui vertici considerava dei criminali». La guerra lo coglie poco più che adolescente, e lo obbliga comunque a vestire, sia pure per poco, l'uniforme; lo mandano a fare il servente in ima batteria contraerea, e poi lo mettono a lavorare ai telefoni di un centralino. «A sedici anni dovetti accettare un tipo molto particolare di "internato". Abitavamo in baracche come i soldati regolari». Una breve parentesi, e poi «finalmente anche nel nostro paese arrivarono gli americani». Passò un certo periodo in prigionia e poi, infine, il congedo, e il ritomo a casa: «La Gerusalemme celeste non avrebbe potuto apparirmi più bella». Riprende a studiare: filosofia e teologia nell'università di Monaco, e alla scuola superiore di Frisinga. Nasce la vocazione, e il 29 giugno del 1951 avviene l'ordinazione sacerdotale. E' ima carriera evidentemente accademica, la sua: nel '53 ottiene il dottorato, e quattro anni più tardi è chiamato ad insegnare. Un vero e pro¬ prio «cursus honorum» universitario: Frisinga, Bonn, Munster, Tubinga e Ratisbona. A Tubinga conosce Hans Kung, protagonista con lui in anni recenti di polemiche infuocate, e ha come allievo Leonardo Boff, il religioso francescano di cui diverrà «giudice» in un famoso processo alla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1984. Ma torniamo alla fine degli anni '50, e all'inizio degli anni '60: stanno maturando tempi, uomini e idee per il Concilio Vaticano E, e troviamo il profes¬ sor Ratzinger consulente teologico del carchnaleFrings. E' il 1962, Joseph Ratzinger ha trentacinque anni, ed appare come uno dei «maitre a penser» di punta della nuova stagione della Chiesa, aperto al vento nuovo che sta soffiando sulla barca di Pietro. Si fa notare, eccome; e infatti nel 1969 arriva la nomina a ordinario di Teologia Dogmatica a Ratisbona; e qualche anno più tardi, nel 1977, Paolo VI lo pone alla guida della diocesi di Monaco, una diocesi che porta con sé per tradizione la «berretta» cardinalizia. Sono questi gli anni cruciah della maturazione e dello sviluppo di Joseph Ratzinger da teologo dell'ala «progressista» a più ponderato critico delle derive postconciliari. Dubbi e perplessità già condivisi da Paolo VI, sempre più preoccupato della svolta che stavano prendendo molte cose nella Chiesa, ma fiaccato dagli anni e dalla malattia, troppo stanco per imporre al timone una virata secca. Il 25 novembre 1981 Joseph Ratzinger sbarca a Roma, al Palazzo dell'ex Sant'Uffizio, che diventa la sua residenza per quasi cinque lustri. «Cooperatores veritatis» si legge nel suo blasone cardinalizio, e il porporato bavarese cerca di fare onore al cartiglio. Creandosi una fama pessima fra tutti i teologi troppo arditi nelle loro speculazioni, da quelli sudamericani inebriati dalla Teologia della Liberazione condita con qualche spruzzo di marxismo ai pensatori asiatici a rischio di scivolate verso il sincretismo e a aperture eccessive alla «verità» contenuta in religioni diverse dal cristianesimo. «Io non sono il Grande Inquisitore» si schermisce il cardinale, che unisce a una grande acutezza di mente doti di humour notevoli, e un'altrettanto notevole autoironia. E' ovvio che la difesa dell'ortodossia, nel corso degli anni '80, ne fa il bersaglio preferito di ogni possibile «sinistra», cattolica e non, un'eredità che si porta ancora adesso fra le pareti della Sistina, come l'ultima risacca di un'onda lunga, molto lunga. «Una vergogna del nostro tempo, i regirni comunisti arrivati al potere in nome della liberazione dell'uomo», disse nel 1984; vent' anni più tardi abbiamo sentito persone che allora si scandalizzarono esprimere, sostanzialmente gli stessi concetti. Ma tant'è, «pas tout verité est bonne a dire», affermano i francesi, e soprattutto bisogna scegliere bene i tempi, per lanciare strali. E Joseph Ratzinger, Benedetto XVI, certamente all'opportunità ha sempre preferito là verità. Strenuo difensore dell'ortodossia e facile bersaglio di ogni «sinistra», cattolica e non Le voci di successione? «Non potevo prenderle sul serio perché era nota la mia estraneità a compiti di governo» Ratzinger a Torino per l'ostenslone della Sindone ('98). Disse: «Non si possono dire parole, è una realtà che tocca il cuore»

Luoghi citati: Bonn, Gerusalemme, Marktl, Monaco, Ratisbona, Roma, Subiaco, Torino