«Joseph», e un fremito percorre San Pietro

«Joseph», e un fremito percorre San Pietro L'ANNUNCIO Uno striscione sistemato all'ultimo palazzo di via della Conciliazione è ancora appeso da dieci giorni Invoca «Giovanni Paolo II santo». Tocca adesso a Ratzinger dire sì o no a quella richiesta «Joseph», e un fremito percorre San Pietro Alle 18,42iÌDalmente la folla urla, applaude, piange e canta DALLA PRIMA PAGfNA Federico Geremicca E! RA un venerdì, era l'S di i aprile e Ratzinger pregava per Wojtyla in diretta universale, commuovendosi e cercando le parole per celebrare lo straziante rito funebre. Oggi è Karol, forse, che prega per Joseph, finalmente affacciato lassù, sulla loggia centrale della Basilica di San Pietro. La folla urla, applaude, piange e canta. Sono le sette della sera. La vita continua, la storia continua. Morto un papa, un altro se ne fa... Diffìcile dire cos'è diventata Roma, come si è di nuovo trasfigurata la cittadella del Vaticano quando tutte le campane della città hanno cominciato a rintoccare senza sosta. Non c'è un'immagine che possa rendere quel misto di frenesia, fede e curiosità che s'è impossessato all'improvviso di decine e decine di migliaia di perso¬ ne. Non c'è un'immagine. A meno di non voler riqorrere "a'ùìi'imma'gflie blasfe'liìa. Lo stadio, la partita di calcio, la fretta, le corse, le bandiere, i cori. Alle sei del pomeriggio non somiglia ad altro la fiumana che si è impossessata di corso Vittorio Emanuele e fluisce a ogni velocità possibile verso piazza San Pietro. Gente che corre, motorini impazziti, clacson che suonano a festa, un inferno che mescola romani e turisti, bandiere papali e bandiere di Roma, come fosse appunto - l'imminenza di una attesa e decisiva partita di calcio. Perfino le troupe che stazionano a palazzo Grazioli, residenza di Silvio Berlusconi, abbandonano in tutta fretta la postazione per tentare di raggiungere San Pietro, avendo capito quale è - oggi - la notizia, l'immagine che conta per davvero. Corso Vittorio Emanuele, il ponte sul Tevere, via Pio X, via della Conciliazione ed eccolo, lì in fondo, il Cupolone. La piazza è stracolma. L'emozione fitta e densa co¬ me una nebbia. La fumata è stata. bianca, le campane suoriàho ovunqtiè mail nuovo Papa c'è e non c'è: lì dentro, nelle stanze vaticane, ne conoscono già il volto, il nome e la nazionalità; la piazza invece freme e aspetta, divisa - del tutto divisa in questo attimo presente - tra la nostalgia per un passato che non vorrebbe mandar via e l'attesa per un futuro che ancora non è. I romani: «Ahò, annamo più vicino, che armeno vedemo se è bianco o se è nero». Gli stranieri. Confabulano in ogni lingua, e i più nervosi sono i tedeschi, che hanno un candidato in prima fila. Le campane suonano, ma il grande balcone della loggia centrale non si apre. I maxischermi che sono sulla piazza inquadrano le grandi tende di velluto rosso, socchiuse e immobili. La banda dei carabinieri fa il suo ingresso a San Pietro facendosi largo tra la folla, ma nulla accade per una raffica di interminabili minuti. Poi, alle 18,40, accade qualcosa che è come un segno del destino. 11 vento soffia.., via le nuvole, e un fasciò di luce/ una lama di sole, colpisce la piazza. In quel preciso istante le tende rosse che chiudono per metà il grande balcone della loggia si aprono. E' un boato. Ma non succede niente. Un interminabile minuto ed ecco - finalmente - la berretta rossa di Jorge Medina Estevez, cileno, protodiacono del collegio dei cardinali. E' lui che darà l'annuncio, con una lentezza studiata, assassina, estenuante. Saluta i «fratelli e le sorelle» in più lingue, si interrompe, fa una, due, tre pause. Poi, alle 18,42, dice la parola. Non «habemus papam», che quello la piazza l'aveva capito: ma «Joseph». L'urlo è immediato, la piazza rimbomba. I tedeschi li riconosci perché si abbracciano e piangono, urlano e saltano. Erano novecentocinquanta anni e tre giorni che aspettavano un Papa tedesco... La gioia è grande, ma dovessimo dire che è un tripudio, beh, questa sarebbe una bugia. La gioia è grande, ma anche dire che Joseph Ratzinger è il Papa che tutti volevano, sarènbe una bugia. La gioia è grande perché il seggio di San Pietro non è più vacante: ma gli italiani volevano un Papa italiano, alcuni altri un Papa latino-americano e poi, insomma, i ritratti di Ratzinger «custode dell'ortodossia», di Ratzinger «conservatore» e di Ratzinger «nemico delle donne e dei gay», non sono stati precisamente una gran pubblicità. Dunque, eccolo l'uomo, Io studioso, il cardinale, il Papa che s'affaccia e con modestia curiale si definisce un «semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». Eccolo «il tedesco» che dice «cioia» invece che gioia, e se non fosse il Papa verrebbe da sorridere. Eccolo, infine, il Santo Padre che raccoglie la ingombrante eredità di Karol Wojtyla e dal quale ci si aspetta poco o niente, e invece chissà... Non è uno che manchi di coraggio, Joseph Ratzinger. E non è uno che abbia vissuto fuori dal mondo, fino a ieri. L'Italia la conosce, e non ha timori nel parlarne: «In Italia è sempre difficile :dire fino a che punto qualcosa è stato sconvolto. I sistemi politici crollano e poi, di fatto, non cambia proprio niente», spiegò non molti anni fa nel suo libro-intervista «Il sale della terra». Né è possibile pensare, ovviamente, che perfino nelle cose della politica sia uno sprovveduto. Nello stesso libro, avvertiva: «La Democrazia cristiana aveva sottolineato l'esigenza per i cattolici di essere uniti nell'ambito politico. Questo non ha per niente impedito che la De crollasse, così che questo scopo dovette essere abbandonato dalla Conferenza episcopale. Oggi bisogna cercare un consenso politico nuovo, che si dovrebbe formare sulle questioni etiche di fondo. Questo potrebbe esserci nel Pds post-comunista. Rifondazione comunista, invece, resta ancorata ai principi marxisti». Ora sono le sette della sera. Via della Conciliazione è un fiume in piena che trascina verso il Cupolone giovani e bandiere, piccole suore e turiste in minigonna. Migliaia di persone vengono, altre migliaia vanno, avendo saputo chi è il Papa, avendolo visto, avendolo ascoltato. L'attesa per quel che farà è enorme. L'attesa dei ragazzi, soprattutto. Se torneranno a casa o resteranno papa-boys, cioè linfa e futuro della Chiesa, dipenderà da lui, sua Santità Joseph Ratzinger. Molte cose, da oggi in poi, dipenderanno da lui. A cominciare, forse, da quel che chiede quell'enorme e triste striscione bianco. E' sistemato all'ultimo piano dell'ultimo palazzo di via della Conciliazione, dov'è ospitata l'ambasciata di Croazia presso la Santa Sede. Tre parole e una cifra: «Giovanni Paolo II santo». Ecco, Joseph Ratzinger, due venerdì fa, benedisse la bara di Karol Wojtyla nel giorno dell'addio. Tocca a lui, adesso, scolpirne per sempre la memoria dicendo sì o no a quello striscione bianco che, incurante del vento e della pioggia, è dieci giorni che resta appeso là.

Luoghi citati: Croazia, Italia, Roma