La vedova Biagi: «Lo Stato fece di lui un facile bersaglio»

La vedova Biagi: «Lo Stato fece di lui un facile bersaglio» IL PROCESSO ALLE BRIGATE ROSSE PER L'OMICIDIO DEL GIURISTA La vedova Biagi: «Lo Stato fece di lui un facile bersaglio» Vincenzo lessandoli Inviato a BOLOGNA E' lacerante ascoltare il bilancio di ima vita che ti è stata rubata. Lo è ancora di più quando chi lo fa sottolinea ciò che poteva, doveva essere e non è stato, certo non per fatalità, ma per un'insana idea di rivoluzione. Marina Orlandi Biagi, la vedova del professore assassinato il 19 marzo 2002, ha evitato l'aula della corte d'assise dove sono sotto processo i brigatisti rossi duemila, gh uccisori, presunti fino a sentenza, del marito, e dal silenzio ha urlato il suo dolore con una lettera struggente letta dal presidente Libero Mancuso. Trentacinque righe per ricordare dolore e rabbia immensi e «quanto fosse unita la nostra famiglia». Ma era davvero scritto nel cielo che Marco Biagi dovesse morire quella sera, sotto le finestre di casa? A dispetto delle grandi e torbide speranze dei terroristi, non lo era: sarebbe stata sufficiente una scorta, magari minima, lo hanno ammesso pure loro, che parlano di grande politica e strategie militari e che, in fondo, non riescono a mostrare altro che un immenso, sterile odio verso il mondo. Per questo, le parole di Marina Biagi suonano come una condanna senza appello, e non soltanto per gh assassmi. «Nel lavoro Marco trasfondeva forti motivazioni etiche e una passione civile che lo hanno spinto, pur temendo per la sua vita, a continuare nel progetto di rifonna del mercato del lavoro anche quando lo Stato, al cui servizio aveva messo tutto se stesso, la sua intelligenza, le sue competenze, le sue energie fisiche, lo aveva abbandonato, togliendogli la scorta e facendone un bersaglio troppo facile». Se i colpevoh sono questi nella gabbia, davvero interpretano una parte molto difficile mentre tentano di apparire impermeabili a tutto. Nadia Desdemona Lioce, forse la più importante del gruppo, ride mentre il presidente avanza nella lettura. «Chi lo ha ucciso non solo ha tolto la vita a un uomo indifeso, ma ha anche cambiato per sempre le nostre vite, toghendoci serenità e certezze. Senza tuttavia riuscire a toglierci la fiducia nella giustizia». Eppoi, gh mearichi del professore: «Era stato scelto quale consulente da ministri di governi di differente colore -politico: dai ministri Treu, Bassolino, Piazza e,-da ultimo, dal ministro Maroni». Lo aspettavano, ieri, Roberto Maroni, avrebbe dovuto deporre, ma «precedenti impegni istituzionali» lo hanno tenuto lontano dall'aula. Eppoi, la siflata delle rovine, quelle che si sono tirate dietro i brigatisti. Loretta Pozzi, moglie di Roberto Merendi, ha il viso rigato dalle lacrime e subito dice che sì, si avvale della facoltà di non rispondere; lo stesso fa Alessandra Blefari Melazzi, sorella di Diana, che neppure alza gh occhi verso la gabbia mentre la terrosista, lei sì, la cerca con gli occhi. E ancora. Franco Foggiani, tassista a Pistoia, racconta di quella sera di marzo quando andò a prendere «una coppia» a Forretta e poi riconobbe Cinzia Fanelli. Ma sì, è tutto così lacerante ascoltare il bilancio di una vita.

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