Il favoloso messo a nudo Andersen

Il favoloso messo a nudo Andersen Il favoloso messo a nudo Andersen Antonio Faeti QUANDO penso ad Andersen, penso inevitabilmente anche a Gianni Rodari. E questo collegamento deve essere inevitabile permeiti, se si rammenta quel «favoloso Gianni», tante volte, più o meno consapevolmente, fatto scaturire dal film II favoloso Andersen di King Vidor, che mi irritò tredicenne, nel 1952, e che già allora mi fece capire quanta calcolata superficiabtà si appbca al grande narratore danese. Mi stupivo, nell'accostare la sorridente efficacia sociologica delle Favole al telefono, pungenti riletture dei nostri Anni Sessanta, capaci perfino di alludere alla Pop Art, alle tenebrose invenzioni nordiche di Andersen. Rodari amava molto le fiabe di Andersen: nel 1970 curò una bella scelta di esse per Einaudi, con un'introduzione molto penetrante. In fondo, tanto Andersen quanto Rodari erano «grammatici della fantasia)) catturati - come scrisse Rodari - dal fascino di tante loro «fiabe segrete», ma anche at¬ tenti a ordinare con lucida severità, motivi, pulsioni, ombre, chiarori, pene, asprezze. Lo scorso novembre ho partecipato, come relatore, a un convegno organizzato da un circolo gay e quasi interamente rivolto ad analizzare il rapporto tra l'omosessuabtà di Andersen e le sue fiabe. Temo che si crei una nuova «vulgata», tutta fondata sugb anatroccoli esclusi, derisi e offesi, mentre ci sono tanti altri elementi da utilizzare e spazi da illuminare. Una sua fiaba molto famosa divenne un celebre slogan del Sessantotto, anzi Il Re Nudo fu anche una rivista battagbera e irriverente. Ma, come Andersen stesso dichiarò, J vestiti nuovi dell'Imperatore non è propriamente una sua fiaba: la ricavò da una novella spagnola, Di ciò che accadde a un re con gli imbroglioni che fecero la stoffa, scritta da don Juan Manuel, un dignitario di corte, nel 1335. Infatti Andersen era davvero immerso nella cultura del fiabesco e, se è pur vero quanto asserì una volta lo scultore Tborvaddsen - «Lei può trarre una fiaba da qualsiasi cosa, perfino da un ago da rammendo» -, è anche certo cbe l'officina del grande narratore di Odense era molto complessa, piena di strumenti, di echi, di memorie, di letture. Acquistai, nel 1959, un curioso libro edito dalle Edizioni Paoline nel 1959: La favola della mia vita di Hans Christian Andersen. Visto dal di fuori, con il lucido cofanetto e la lucida sopraccoperta, sembrava un dono alle abbonate di Grazia o di Arianna, con un Andersen variopinto che indossava uno strepitoso cilindro, tanto da sembrare una comparsa fuggita da un film della serie di Sissi. Ma le pagine del libro erano lontanissime da quella illustrazione: con la nonna di Andersen che curava il giardino del manicomio e una abenata che si spoigeva dalla cella per catturarlo e lui «mezzo morto dipaura)). Per capire Andersen è indispensabile collegarlo con la cultura Biedenneier e con la presenza, assolutamente ingombrante, di Hoffinann. Lo stile Biedenneier condizionò l'immaginario europeo: oggetti che sembravano persone, presenze di tavob, sedie, letti, vasi, specchiere in cui la stravaganza, l'Ars Combinatoria più comples¬ sa, gb accostamenti meno giudiziosi, le forme più bizzarre si rinchiudevano entro un assetto rigido, sobdo, spesso nero e anche solenne. Più che un estro inspiegabile è certo una consobdata «grammatica della fantasia» che induce il raccontafiabe di Odense a far volare baub e trarre fiabe da una domesticità salutarmente incongrua: «Quando il cancelliere Soeren Hempel, il libraio, mi condusse sulla torre che aveva fatto costruire nella sua villa per dilettarsi di astronomia, da dove la mia vista spaziava sulla città e sui campi, e giù nella piazza dei Cappuccini, alcune povere dell'ospizio mi indicarono, facendo segno che ero proprio io che stavo lassù, quello che avevan conosciuto bambino, mi sentii al culmine della fortuna». Storie di una vita Biedenneier, dove la stranezza di Odense si fa fiaba quasi da sola. E Hoffinann, scrisse Freud, è insuperabile nel descrivere il Perturbante; ma le Scarpette Rosse di Andersen e dell'inquietante capolavoro filmico di Powell e Pressburger, Hoffinann non le ha mai trovate. Sognava di scrivere romanzi per adulti malinconici e amari Marta Morazzoni NELL'OPERA teatrale I serpenti della pioggia Enqnist gli fa dire: «Mi conoscono nel mondo per qualcosa che non ha valore», mentre Kierkegaard dichiarò di lui che non sapeva nemmeno scrivere favole per bambini. Stiamo parlando di Hans Christian Andersen, della cui quabtà di autore di fiabe oggi non si dubita (le sue Fiabe e storie sono ora riproposte in una speciale edizione integrale a cura di Bruno Bemi da Donzelli, pp. 1032, «54 ndr). Anzi, se ne è talmente certi, da aver messo in ombra il versante di narratore per adulti, su cui invece lo scrittore danese aveva fatto qualche conto. Gli sarebbe piaciuto essere un grande romanziere e un uomo di teatro. Non andò così, e le tracce di quella sua ambizione oggi sono più deboli, ma ci sono e valgono la pena di un'occhiata attenta: per esempio è un divertente osservatore nel Bazar di un poeta, resoconto di un viaggio a Sud - dalla Germania all'Itaba fino alla Grecia e alla Turchia - scritto nel 1842, suba scia di grandi predecessori, primo tra tutti Goethe, cbe lo aveva affascinato con il suo Viaggio in Italia (il diario itabano esce ora da Robin, pp. 186, 612, ed è annunciato in versione integrale da Giunti, in libreria a giugno, pp. 480, 27,90 ndr). Fu questo, per Andersen, il secondo di tanti vagabondaggi, e se lo lasciò meno entusiasta della prima volta, lo rese però più riflessivo, ora cbe era svanito «il profumo deUa novità». Ma la sua espressione più compiuta è IZ violinista (Fazi, trad. di Lucio Angelini, pp. 350, 215), romanzo in cui la fiaba del Brutto anatroccolo prende un amaro risvolto e ci dice cbe non basta l'uovo a fare il cigno, se nessuno lo cova con amore. Così il valente Christian, protagonista del Violinista, rimane nell' anonimato di suonatore di paese, lontano dalla scena maggiore, illuso e deluso di un futuro che non si reabzza mai. Scritta nel 1837, quest'opera rappresenta una lettura crepuscolare di un mondo in cui anche i vincitori assaggiano l'amaro delle cose, magari a un passo daba febeità e respinti però nella zona d'ombra. Ne è il paradigma, in questo senso, la bella Noemi, che verso la vita è imperativa e autoritaria, affronta avventure e disavventure, in netto contrappunto con il debole afflato vitale del violinista, ma è in altro modo incompiuta: due emarginati dalla febeità, il povero cristiano e l'ebrea ricca. due volti diversi della sconfitta. Andersen qui attribuisce tutta l'energia alla donna, da cui traspaiono nel bene e nel male la forza e la luce aggressiva del Mediterraneo che lei porta nei suoi caratteri genetici e neUa fisionomia: un omaggio al gentil sesso e insieme anche lo svelarsi della soggezione che lo scrittore sembra aver provato nei riguardi deU'universo femminile, fino al larvato sospetto di una latenza omosessuale. Non è un caso che Noemi risulti più inquietante e seduttiva quando la sorte le impone un travestimento maschile. C'è un reticolo sottile intomo alla qualità di romanziere di Andersen, la vena di un gioco semiserio in apparenza, quello che chiameremmo una specie di basso profilo, che diventa stibsticamente un modo disinvolto e coinvolto del narrare: le riflessioni più profonde arrivano sommesse e infilate di sbieco in un quadro giocato su tinte acquarello e, diciamolo pure, fiabesche: la festa in casa di Noemi, nello sfarzoso palazzo di Copenaghen, vista e vissuta dalla parte stupefatta, ancora prima che umiliata, del povero violinista, o la magica avventura sui ghiacci deU'Oresund. Insomma, la fiaba è b, latente nel reabsmo dei suoi romanzi, ma è una fiaba cruda, esemplificata anche nella ferocia del mondo animale cbe l'autore osserva con amore e con dolore, ma in cui si combatte senza tregua per la vita: prima di intraprendere la migrazione a Sud, le cicogne eliminano a colpi di becco i soggetti troppo debob per affrontare il viaggio. È, questo episodio che chiude il romanzo, la chiave di lettura di un mondo senza reali vincitori. Tra le righe passa un giudizio sconfortante sub'umanità insieme all'arida consapevolezza dell'effimero; la fama di oggi, si domanda il violinista senza fama, cosa sarebbe mai nel lungo trascorrere del tempo? Il dantesco battere di ciglia commisurato con l'eternità. Ma che poca consolazione in questo! cbe malinconia grigia sulla tomba dell' artista ignorato dal mondo, accanto a cui passa, ignara a sua volta, la bella Noemi! Come la fine del soldatino di stagno, sciolto nel fuoco e buttato via dalla donna di servizio insieme ai lustrini anneriti della ballerina. E così, tra fiaba e realtà non fa poi una gran differenza. Mostre e spettacoli perii signore delle favole di Fabio Sindici A PAGINA 12 Il favoloso messo a nudo Andersen

Luoghi citati: Copenaghen, Germania, Grecia, Italia, Turchia