Lacrime e applausi per rultimo saluto «Subito Santo»

Lacrime e applausi per rultimo saluto «Subito Santo» Una lunga cerimonia in San Pietro aperta alle 10 dalla campana di Sant'Andrea Mentre la folla invocava il Pontefice, i sediari mostrano la bara per trenta secondi Lacrime e applausi per rultimo saluto «Subito Santo» Una messa indimenticabile tra le grida di entusiasmo dei giovani Il Decano del Collegio è stato interrotto 13 volte dalla piazza Alla fine del rito la supplica di Ruini: «Signore, accogli il tuo servo» Marco Tosatti CinA DEL VATICANO «Nostro fratello, indimenticabile»: il canto greco dei patriarchi orientali ha salutato Giovanni Paolo n con queste parole, che restano come un epitaffio sulla sua ultima messa. Una celebrazione, anch'essa, indimenticabile; un lungo momento di amore e di addio da parte soprattutto dei giovani, ma non solo. Alle 10 di eri la campana di Sant'Andrea, quella stessa che ha annunciato sabato scorso la morte di Papa Wojtyla, ha fatto sentire i suoi rintocchi, e dall'interno della basilica sono apparsi i «sediari», sulle spalle il feretro di legno chiaro, cipresso, con incisa ima croce e la «M» dello stemma papale. Sulla bara, un vangelo, aperto, le pagine squassate dal vento. Ieri mattina, nella basiUca, si era svolto a porte chiuse un altro rito, riservato a poche persone: il segretario del Pontefice, monsignor Stanislao Dziwisz, e il Maestro delle Cerimonie, monsignor Piero Marini, avevano steso un velo di seta bianca sul volto di Karol Wojtyla; e poi il coperchio era calato sulla bara. Insieme a lui, è stato sepolto il «rogito», la storia della sua vita. «Custode del deposito della fede, egli si è adoperato con sapienza e coraggio a promuovere la dottrina cattolica, teologica, morale e spirituale, e a contrastare durante tutto il suo Pontificato tendenze contrarie alla genuina tradizione della Chiesa». E' stata una singolare messa di esequie, quella di ieri, in cui le lacrime si sono mescolate alle grida di entusiasmo. E agli applausi. Tredici volte il cardinale Joseph Ratzinger è stato interrotto nella sua omelia. Il primo, un vero boato, è esploso quando il Decano del Collegio cardinalizio ha ringra¬ ziato «in modo speciale i giovani, che Giovanni Paolo II amava definire futuro e speranza della Chiesa». E poi ancora e ancora. «Il nostro Papa, lo sappiamo tutti, non ha mai voluto salvare la propria vita, tenerla per sé; ha voluto dare se stesso senza riserve, fino all'ultimo momento, per Cristo e anche per noi», ha detto il porporato bavarese, affermando anche che «il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo». La realtà umana del già Prefetto della Fede - un'immagine che lo vuole freddo, tutto testa e ragione - si è svelata alla fine dell'omelia. Indicando la finestra al terzo piano del Palazzo apostolico, la voce improvvisamente venata di tene- rezza, ha detto: «Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del palazzo apostolico e ha dato la benedizione Urbi et Orbi». Ha poi alzato Io sguardo al Palazzo, e al cielo, e ha continuato: «Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica Santo Padre». Di fianco ai Potenti, c'era la famiglia del Papa: monsignor Stanislao, gli occhi arrossati di lacrime, e Angelo Gugel, il volto impietrito nello sforzo di controllare l'emozione, suor Tobiana e le con¬ sorelle che avevano con lei cura di Karol Wojtyla. Una manciata di persone, quasi perse nel mare di porpora dei cardinali, del violetto dei vescovi, degli abiti da cerimonia di Capi di stato e ambasciatori; vivevano il loro dolore, così personale, in una cornice grandiosa. Termina la messa, e i centosessanta cardinali lentamente abbandonano i loro scranni, e si dispongono in due siepi ai lati della bara. Tocca al Cardinale Vicario Camillo Ruini guidare «la supphca della Chiesa di Roma» : uno dei momenti più intensi ed emozionanti del rito: «O Dio che dai la giusta ricompensa agli operai del Vangelo, accogli - ha invocato - il tuo servo e nostro Papa Giovanni Paolo perchè contempli in etemo il mistero di pace e di amore che egli, come successore di Pietro e Pastore della Chiesa, dispensò fedelmente alla tua famiglia». E subito si sono levate le note del «Magnificat». Quindi i Patriarchi, gli Arcivescovi Maggiori e i Metropoliti delle Chiese Metropolitane «sui iuris» orientali cattohche, si sono recati davanti al feretro per leggere in greco la supphca delle Chiese Orientali. Infine il Decano prima asperge il feretro di acqua benedetta, e poi, lentamente, lo inonda di incenso. La piazza esplode in un grido scandito; «Santo, santo», e poi «Santo subito». I sediari riprendono sulle spalle la tavola ricoperta di stoffa rossa su cui giace la bara, e si avviano verso la basilica. Sulla porta si fermano, e per l'ultima volta Giovanni Paolo II si volta verso la piazza, verso il suo popolo che lo saluta. Venti, trenta secondi, interminabili; come se i «sediari», che hanno vissuto quotidianamente con il Giovanni Paolo H, non si rassegnassero a condurlo alla sua dimora definitiva, nelle Grotte. I patriarchi delle Chiese Orientali hanno recitato in greco davanti al feretro in legno chiaro Un'immagine dall'alto della concelebrazione dei funerali del Pontefice [FOTO POLIZIA DI STATO/ MASSIMO SESTINI]

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