Diamanti, yacht e cocaina i nuovi «khan» e i loro figli

Diamanti, yacht e cocaina i nuovi «khan» e i loro figli UN MONDO GOVERNATO DAGLI STESSI POTENTI DELIBERA SOVIETICA. QUANDO ERANO SEGRETARI GENERALI DEL PARTITO O CAPI DEL KGB Diamanti, yacht e cocaina i nuovi «khan» e i loro figli Il kìrghizo Akaev è caduto, ma in tutte le repubbliche asiatiche resistono altri despoti con famiglie intrecciate non solo dagli affari personaggi AJDAR Akaev ha sposato Alia Nazarbaeva, appena ventenne, così graziosa nel suo vaporoso abito bianco che costava quanto dieci famiglie kìighìze guadagnavano in un secolo, che i due papà degli sposi avevano lasciato a casa le loro maschere impenetrabili da uomini potenti per sorridere commossi alla giovane coppia. Poi il matrimonio è fallito, anche perché l'incantevole sposa preferiva passare il suo tempo in patria dove i divertimenti e la cocaina non finivano mai, piuttosto che tra le maestose e povere montagne kirghize. Gulnara Karimova invece è riuscita a rifarsi la vita dopo un primo matrimonio fallito, con l'ex consorte che le chiedeva tre milioni di dollari per divorziare e ora la sua bella faccia appare sulle copertine delle riviste patinate. Ha messo la testa a posto, insomma, come anche Dariga Nazarbaeva, sorella maggiore di Alia, che ha accettato senza battere ciglio l'esilio del marito per diventare il braccio destro del padre. Non come quel scapestrato di Murad Nijazov, che nonostante sia il delfino del Turkmenistan non rientra nel poker delle alleanza dinastiche: si dice che a 40 anni sarebbe già al quarto matrimonio e che avrebbe perso in una sola notte in un casinò europeo 12 milioni di dollari. Sembrano personaggi a metà tra Dallas e Novella 2000, questi giovani, belli, ricchi e potenti che si sposano, si lasciano, finiscono nei guai, intrecciano intrighi e si godono la vita, nati ai piedi di troni perennemente vacillanti ma finora mai caduti. Viziati come i figli della nomenklatura comunista e arroganti come sceicchi arabi: Dinara Nazarbaeva, la seconda delle tre sorelle, ha fatto una volta scendere ì passeggeri dì un aereo di linea per non viaggiare insieme alla plebe. Si laureano ad Harvard, ma sono stati addestrati a tutti i trucchi orientali di potere. Frequentano il Palazzo di Vetro e i grattacieli petroliferi di Houston, ma tengono sempre a mente il complesso schema dei clan e delle parentele. I loro yacht sono attraccati a Montecarlo, il loro shopping è a Bond Street. Gulnara, diplomatica di rango, possiede anche la compagnia dì Gsm uzbeka, Ajdar è consigliere del ministro delle Finanze kìrghizo mentre sua sorella Adii è sposata con un tycoon dei media. Murad Nijazov vive a Vienna dove firma contratti per la vendita del gas del padre (con qualche guadagno extra in traffico d'armi) e gode dell'esenzione fiscale sull'importazione di tabacco e alcol in Turkmenìa. Dinara Nazarbaeva presiede una fondazione di beneficenza che porta il nome di suo padre. Sua sorella maggiore Dariga oltre a dirigere l'impero televisivo «Habar» è leader di un partito che ha conquistato la maggioranza alle parlamen- fari del 2004. E se qualcuno avesse da ridire il genero del presidente è stato capo del Kgb kazàkho. In altre parole, lo Stato sono loro. Ma prima di prendere in giro questi figli di papà con le loro Ferrari e ì loro diamanti, molti si mordono la lingua: domani la seria Dariga, lo sciagurato Murad e la brillante Gulnara potrebbero diventare capi di Stato ricevuti alla Casa Bianca e corteggiati dal Cremlino, padroni di ricchezze naturali e steppe sterminate, oltre che di cospicui conti in Svizzera (Nursultan Nazarbaev ha giustificato il suo come un fondo per le emergenze che il popolo kazàkho gh avrebbe affidato in trust). Oppure potrebbero finire fuggitivi come Ajdar (che forse non era poi così un buon partito) e le sue sorelle, casus belli di rivolte che sulle loro bandiera hanno gh slogan di libertà occidentali scritti in piccolo sotto uno a caratteri cubitali: «Via le famigliel». A Bishkek la telenovela dinastica dell'Asia Centrale ha subito un'interruzione improvvisa che ha lasciato di stucco le famiglie regnanti delle capitali vicine, come sempre incredule di fronte all'esplosione della rabbia di sudditi per decenni docili e miti. Ma è un meccanismo che non si è ancora fermato, quello del passaggio di potere dai padri ai figli nelle repubbliche ex sovietiche. Il primo a collaudarlo è stato Ghejdar Alìev, inossidabile leader dell'Azerbajdzhan, che è riuscito a governare la sua repubbhca prima in qualità di generale del Kgb e cocco di Breznev e poi nella veste di moderato satrapo orientale che compie il «haji» alla Mecca e attira sulle coste del Caspio la British Petroleum. Dopo la sua morte, tanto per non fare perdere agli azeri l'abitudine di farsi governare da un Aliev, il figlio Dham è stato eletto presidente. I Suharto, gh Assad e i Kim avrebbero qualcosa da imparare da questi papà che sono stati tutti membri del Pohtburò del Pcus per poi creare in modo indolore nei loro Stati - diventati indipendenti più per causa di forza maggiore che per convinzione - dei khanati moderni con un autoritarismo senza soluzione di continuità. Prima si sono autoprorogati i mandati a colpi dì emendamenti costituzionali e referendum che ne hanno allungato a dismisura la possibilità di rimanere in carica: Emomali Rakhmonov guiderà il Tagikistan fino al 2020 e il tiranno turkmeno Saparmurad Nijazov, per non dover tornare sull'argomento, si è fatto proclamare presidente a vita. Poi hanno proceduto a matrimoni di Stato come Akaev e Nazarbaev e a pensare agli eredi. La prevalenza del cromosoma X nella discendenza non ha messo in imbarazzo queste società tradizionali e la bella Gulnara, cintura nera di karaté diplomata ad Harvard, ha sposato il ministro degli Esteri uzbeko Sadik Safaev: forse sarà lui a ereditare il trono, forse rimarrà principe consorte. Dariga Nazarbaeva onnai appare l'erede designata, anche se lo nega, ma dovrà regnare sola: il marito, l'ex onnipotente Rabat Aliev, è stato considerato dallo suocero troppo ambizioso e impaziente e ora è in esilio come ambasciatore del Kazakhstan a Vienna. In difficoltà è Emomali Rakhmonov del Tagikistan: sette fighe tutte ben piazzate e due maschi ancora piccoh. Ma il rinvio della scadenza del mandato al 2020 darà a Rakhmonov Jr. di appena 3 anni il tempo di crescere. In quasi tutte le capitali postsovietiche regna una «famiglia», termine nato per Boris Eltsin con la sua indomabile figlia e poi migrato a Kiev dove Leonid Kuchma, anch'esso non benedetto da prole maschile, è stato spazzato via dalla ((rivoluzione arancione» insieme al suo genero Viktor Pinchuk. Ma in Asia Centrale i passaggi di potere dinastici venivano visti di buon occhio non solo da im Cremlino che non osava fare altrettanto, ma anche da una Washington che preferiva - almeno fino a poco tempo fa - ì presidenti-khan ex comunisti che però garantivano gh investimenti e rappresentavano unabarriera contro le opposizioni islamiste. A Baku la rivolta che ha accompagnato l'elezione di Alìev Jr. avrebbe avuto tutti i numeri di una rivoluzione di qualche colore pastello se il dipartimento i Stato non si fosse affrettato a riconoscere il voto. A queste condizioni la successione dinastica sembrava garantita e il voto appariva una pura formalità. Fino a che non si è scoperto che il momento elettorale offre forse l'unica occasione di ribellarsi e che in queste nuove Indonesie i sistemi di clan che monopolizzano tutto il potere politico ed economico possono venire eliminati soltanto con una rivoluzione. Giovani, belli, ricchi e potenti. Si sposano si lasciano, finiscono nei guai ai piedi di troni che non erano mai caduti Finora hanno garantito Mosca e gli Usa dal pericolo islamista. Ma la caduta di Bishkek può segnare la loro fine Nursultan Nazarbaev, il potentissimo presidente del Kazakhstan