UNIVERSITA vince il trittico di Ciampi

UNIVERSITA vince il trittico di Ciampi .-..■■y: ." : .....\ i'.. :.-v ' ' UNIVERSITA vince il trittico di Ciampi inchiesta Chiara Berla di Argentine LA parola al presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi: «Le università sono ima delle grandi ricchezze dell'Italia. Dobbiamo farle crescere, dotandole di mezzi necessari, operando perché questi mezzi siano bene impiegati...»(Ferrara, 28 ottobre, 2002). «Ricerca e formazione - cioè applicazione dell'innovazione al capitale umano e al capitale fisico sono le due fondamentali strade da percorrere per ritornare a primeggiare nel campo della competizione intemazionale...» (Quirinale, 28 aprile, 2002). «La ricerca deve essere finanziata non solamente dal settore pubblico anche dal privato. Siamo uno dei Paesi nei quali il livello di quella fonte è più bassa. Sarà colpa degli imprenditori, ma sarà anche, dico io, anche del mondo universitario...(non farsi condizionare) rientra nella deontologia, nell'etica di ciascuno dì voi, di ciascuno insegnante. Però cercatelo questo maggiore contatto, perché non è solamente un modo per acquisire risorse finanziarie» (Perugia, Università degli Studi, 15 ottobre, 2001). «Tutto il Mezzogiorno e tutta l'Italia deve impegnarsi di più nella ricerca. Sia come ricerca scientifica, ricerca di base o -come in questo caso di Napoli- di diffusione della ricerca, creando attraverso la ricerca applicata nuove imprese..«(Napoli, Centro della Scienza, 3 gennaio 2003). «Avete bisogno di sapere che cosa vuole l'imprenditore -in atto e potenziale- da voi e al tempo stesso dovete rendervi conto se la formazione che avete dato corrisponde effettivamente a queste esigenze. Così si crea il dialogo che porta al circolo virtuoso. Ecco, questo è quello che cerco di attivare in ogni città d'Italia...(Università di Palermo, germaio 2000). «Guardando al futuro, qui come altrove, emerge l'importanza, tra i fattori di progresso, di un costante confronto e collaborazione fra la scuola, l'università, le istituzioni culturali, le forze della produzione. La ricerca e lo sviluppo, anche a beneficio delle imprese medie e piccole, che da sole non avrebbero i mezzi per farsene adeguato carico, sono la linfa vitale per lo sviluppo di un territorio che guarda al mondo come suo spazio naturale» (Modena, 10 marzo 2003). «E' fondamentale che i distretti industriali esprimano degli "organizzatori" della ricerca. Chi possono essere? Certamente le università, quelle locali non meno dei grandi atenei. Certamente le associazioni industriali, le Camere di Commercio. Possono essere tutte queste istituzioni quanto più fra di loro dialogano. E' il metodo che chiamo alleanza delle autonomie». (Quirinale, 3 aprile 2002). «La ricerca, l'investimento in ricerca sono priorità nazionale...è auspicabile che si aumentino i flussi in entrambe le direzioni, aumentare il numero degli stranieri che vengono a fare ricerca in Italia, aumentare il numero degli italiani che, dopo l'esperienza all'estero, tornano in Italia. In sintesi, dobbiamo elevare la partecipazione del "sistema Italia" alla ricerca avanzata a livello mondiale», (Quirinale, 13 marzo, 2003). «Certo un sistema produttivo basato su milioni di medie e piccole imprese, su 70 distretti industriali, su reti produttive sparse sul territorio deve anche poter contare su uno Stato che investe molto sulla ricerca. La spiegazione fondamentale del persistente divario nella crescita tra Unione Europea e Stati Uniti d'America sta innanzitutto nel diverso impegno nella ricerca da parte sia dello Stato sia dei privati» (Quirinale, 1 maggio, 2003). «L'Italia recupererà quote di mercato, se saprà avere uno scatto d'orgoglio se tutto il sistema mirerà unito verso l'obiettivo della crescita. Per questo serve coesione, capacità di dialogo, sentimento di vivere un comune destino». Dal 1999 per ben 68 volte il presidente Ciampi è intervenuto («lo predico ovunque», per usare le sue parole) sul tema della «formazione, ricerca, innovazione», indicando questo trinomio come la carta vincente non solo per un più armonico sviluppo del Paese ma, soprattutto, per giocare ad armi almeno pari con i nostri concorrenti la sfida del made in Italy sui mercati mondiali. Nelle udienze al Quirinale e nel suo lungo viaggio attraverso l'Italia, sia che parli agli accademici, agli imprenditori, alle autorità locali o agli studenti il presidenteeconomista, allievo della famosa Scuola Normale di Pisa, segue il suo fil rouge. Parla dei nostri deficit ma, anche di come riuscire a colmarli e costruire un futuro per le nostre università, per i nostri giovani. A certi facili promesse e slogan demagogici Ciampi preferisce opporre i suoi ricordi di studente: «Ho scelto da giovane di occuparmi di filologia classica poi mi sono indirizzato nel campo della statistica economica. Ho sempre sostenuto che il rigore - che mi avevano insegnato gli illustri docenti, che ho avuto la fortuna di avere come insegnanti - sia nell'approfondimento delle fonti che nella tecnica di ricerca filologica sui testi, confrontando le varie dizioni, mi è servito successivamente quando mi sono interessato di statistica economica. Ciò conferma che il metodo rimane, comunque lo si faccia, non è solo una disciplina nel senso esteriore della parola, ma è un modo di pensare, un modo di apphcare con una onestà intellettuale qualunque iniziativa si decide di attuare, qualunque sia l'applicazione». Mi è sembrato giusto iniziare quest'ultima puntata della nostra inchiesta sul mondo dell'università, sui suoi problemi immensi e immense risorse, sottolineando (in corsivo alcune parole che mi sembrano chiave) questa «lectio magistralis» del Capo dello Stato. Ricordame passaggi e contenuti, prima di tutto, ai deputati della Commissione Cultura che, nelle prossime settimane, hanno la responsabUità di riesaminare il testo della riforma. Impres¬ sioni di cronista: nonostante il sottofinanziamento l'università italiana non è allo sfascio; uno dei problemi prioritari è la govemance degli atenei, l'autonomia praticata quasi con paura, a volte senza reponsabilità; accanto agli sprechi mille ostacoli burocratici e corporativi rendono difficile la vita anche ai professori più seri e innovativi. «Lavorare in questo condizioni è una fatica di Sisifo. Ci vuole più autonomia, anche finanziaria. Come faccio, per esempio, a invitare un professore straniero senza potergli pagare il biglietto del viaggio?», accusa il sociologo Guido Martinotti. Piccolezze che possono diventare macigni. Allora la sfida è persa in partenza? Progetto ministeroConfindustria per incentivare le lauree scientifiche (chimica, fisica, matematica hanno perso in 15 anni il 500Zo delle iscrizioni); 600 corsi di laurea e 50 consorzi gestiti da università e Associazioni industriali, più di 100 mila offerte di stage. Poli d'eccelenza come la famosa Etna valley a Catania o quello ad Alessandria per le materie plastiche; «Senza dimenticare», sottolinea Giovanni Puglisi, rettore dell'università lulm di Milano, alludendo a certe polemiche sui corsi di Scienza delle comunicazioni, «che la ricerca si sostiene imparando anche a comunicare meglio». «Da parte nostra ci vuole ancora più impegno, in Finlandia il VO1)*! delle piccole-medie imprese ogni anno hanno rapporti con l'università, da noi le cifre sono irrisorie. Da parte dello Stato ci vorrebbero enti regolatori più leggeri. Il centralismo ammazza ogni riforma», sostiene Gianfelice Rocca, vicepresidente della Confmdustria per l'Education. Ricorda, Rocca come in tutto il mondo le università sono gestite da cda con rappresentanze miste, non solo del mondo accademico, e responsabilità precise. In attesa di una simile, improbabile rivoluzione un comitato bipartisan (tra gli estensori Aldo Schiavone ed Enesto Galh Della Loggia) ha presentato, il 24 maggio 2004, all'Accademia dei Lincei, un Decalogo -10 punti: dal «carattere pubblico del sistema» ai «poli di eccellenza» - che finora la Conferenza dei rettori non ha sottoscritto. Eppure, proprio dagli atenei dove si pratica e forma l'eccellenza, arriva la richiesta di maggior rigore, anche nella delicata vicenda dei 22 mila ricercatori. «I problemi ora sul tappeto derivano da politiche assolutamente errate e velleitarie. L'università deve trovare la forza di resistere. Quale sistema può reggere se tutti sono dei generali? Todos caballeros uguale todos peones!», dice Marco Mezzalama, pro-rettore al Pohtecnico di Torino. Non solo parole. Martedì 8 febbraio il Politecnico di Torino (rettore Gianni Dal Tin) e quello di Milano (rettore Francesco Paolo Pallio), alla presenza di Moratti, dei governatori Enzo Ghijp e Roberto Formigoni, dei smdaci Sergio Chiamparino e Gabriele Albertini, hanno presentato l'Alta Scuola, Asp: per modello, la prestigiosa Ecole Polytechnique francese, 90 posti a Milano, 60 a Torino, selezioni rigidissime (la media non inferiore al 27), anche docenti stranieri. Insomma, un'alleanza preziosa tra due poh d'eccellenza che ha trovato subito finaziamenti privati e pubbhci (2 milioni di euro dal ministero). Nei territori più difficili e fragili il rapporto università-impresa significa voltare pagina con le logiche non limpide: «autoprogettarsi il proprio sviluppo», commenta Carmela Schillaci, 45 anni, preside della facoltà di Economia a Catania, e ad. del Consortium Med-Spin (università e Sviluppo Italia, Sicilia). Scienze politiche, università degli Studi di Milano: anche l'università pubblica è capace di rinnovarsi. Nel 1991 quando il giuslavorista Pietro Ichino arrivò da Cagliari all'Istituto di diritto del lavoro di Carlo Smuraglia, c'erano due docenti molto preparate. Bianca Beccalli e Luisa Insenburg, in due stanze in via Livorno; non una biblioteca, nulla. In 14 anni grazie ai rettori (Mantegazza e De Cleva) al preside Martinelli; al Comune (una concessione edilizia data in 50 giorni); all'intervento dei privati, a cominciare dalla Banca Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani, ex allievo di Ichino ma, soprattutto, all'impegno di uno straordinario team di professori (cito solo due nomi: Michele Salvati e Giulio Sapelli) è cambiato tutto. Caso raro, la riforma del 3 più 2 ha funzionato (laurea in organizzazione e risorse umane e laurea in scienza del lavoro), in più è stato creato dal nulla il «Master europeo in scienze del lavoro», sede ristrutturata con i soldi della Popolare in via Pace, obbligo di frequenza, stage formativi in aziende ed enti, grande impegno dei docenti, dalla didattica al "rooming" (affitto di appartamenti per gli studenti, creazione di piccole comunità autogestite). L'alto standard del Master diretto da Ichino (costa 4 mila euro l'anno, agli studenti italiani vengono dati 200 euro al mese agli stranieri 400) l'ha fatto entrare in un network universitario europeo (dalla London School of Economics all'università di Barcellona) che permette ai giovani di sviluppare competenze sempre più necessarie con l'avanzare dell'integrazione europea. «Formare eccellenza costa grande fatica e impegno», commenta Ichino. Su come rilanciare le università il professore di sinistra ha idee che visto il clima generale lui stesso definisce «eccentriche»: incarichi per non più di 6,8 anni; verifiche serie sui prof, ovvero su come insegnano e fanno ricerca; incentivi ai più bravi; rette più alte ma anche più bonus e prestiti d'onore. Professor Ichino, e la questione ricercatori? «Non sono questi i veri poveri», risponde, «non è vero che in Italia degli intellettuali, come sono loro, ossia la parte più solida del tessuto sociale, non possa trovare, magari in 2, 3 anni, lavoro anche fuori dall'università». Tradotto: mobilità più rigore; non rendite parassitarie; l'università non più gestita come se fosse un ammortizzatore sociale. Il cerino acceso ritorna alla politica. chiara.beriadiargentine{5)la5tampa.it Mobilità e maggior rigore La lezione arriva da Torino e da Milano che insieme hanno creato l'Alta Scuola Politecnico Per formare le eccellenze una selezione rigidissima, centocinquanta posti media non più bassa di 27 «Formazione, ricerca e innovazione sono le carte vincenti non soltanto per un più armonico sviluppo . del Paese ma soprattutto per giocare ad armi pari con i nostri concorrenti la sfida del made in Italy sui mercati mondiali» EUROPEA UNITI GIAPPONE GIAPPONE FRANCIA CROAZIA BULGARIA ITAUA