REYNOLDS Come inventare il mito della celebrità

REYNOLDS Come inventare il mito della celebrità REYNOLDS Come inventare il mito della celebrità manti nde famoso rivismo atti Marco Vallerà C# E' un gesto emblematico di Joshua Reynolds, che spiega molto del suo «arrivismo» culturale. Giovane, appena giunto a Londra dalla provincia, ove il padre pastore pretestante voleva che divenisse farmacista Reynolds non credette ai suoi occhi avidi quando in una sala d'asta di Londra si trovò di fronte, vivo, fremente, corroso di creatività (come poi lo avrebbe effigiato: modema medaglia latina) il suo mito vivente, Alexander Pope, il poeta, che tanto aveva riflettute al tema settecentesco della Fama e del Genio. Poiché una folla di ammiratori gh si era fatta intomo, Reynolds non si perdette d'animo: infilzò sotto il braccio il primo ammiratore che si trovò davanti e riuscì a raggiungere il poeta, per stringergh simbolicamente la mane. Era come se il contatto con la celebrità, che gh avrebbe segnato l'esistenza, si fesse acceso per sempre. Buona idea, questa, del curatore Martin Posile e di Andrea Buzzoni, di «ritagliare» il prolifico ed incontenibile sir Joshua, a partire da questo tema astute deU'«invenzionedeha celebrità». Lui stesso lo ammetteva, se anche avesse dovuto diventare medico, per volere del padre, sarebbe «diventato il più grande medico del mondo». Gl'importava essere the Best. Così non è simpaticissimo, come uomo: sgomita per diventare famoso, fa di tutto per essere ammesso nei club esclusivi, furbo ne trama anche lui (il chiaccherato The Club, per antonomasia, in cui fonde Edmund Burke, il teorico del sublime, con il biografo Boswell, l'umori- ' sta Steme, con il suo sorrisino sarcastico, e il collezionista Walpole e il commediografo Goldsmith: non sbaglia un colpo). Mancia sempre fuori casa, sino a rovinarsi il fegato, ma deve stringere stategie e moltiplicare contatti. Le sue cene sono temute dai nobili amici, perché sempre ridondanti di ospiti. E poi grandi slalom per entrare neUe case aristocratiche e far parlare di sé i giornali. Ha capito che è questo il nuovo destino della modernità: e si affida ad abili gazzettieri sotto pseudonimo, che si chiamino Pudenda e Candide (però da intellettuale cosmopolita frequenta anche il nostro poligrafo Algarotti ed il filologo torinese Baretti, miopemente assorto nella lettura). Ma soprattutto ha capito che sta cambiando un mondo: inutile adulare una corte che non lo vuole, re Giorgio HI lo vede come «il fumo negh occhi» e gh preferisce lo scozzese Romney. Può fame a meno e non si scompone: politicamente si stringe al partito avverso dei whig, aristocratici liberali, che come lui amano gh strapazzi sessuali e il gioco d'azzardo. Non lo vogliono come pittore di corte, ma pazienza: lui nel frattempo è divenuto il tirannico «re» della Royal Accademy. Quando muore Ramsay e paventa che al suo posto gh sia preferito l'odiato rivale Gainsboureugh, ricatta il Re con minacce d'abbandonare, per ripicca, l'Accademia. Sino a che non ottiene il posto, che poi snobberà. Tanto ha capito che gh conviene specializzarsi nei ritratti dei nobili wigh, degh eroi militari, dei divi del teatro, come il grande mattatore Garrick, amico-nemico. È lui che decide il proprio Pantheon ideale, lanciando artisti alla moda e ricevendone luce e benefici. Per esempio il ricco birraio Thrale gli commissiona una serie di ritratti dei suoi ospiti, tra cui brillano l'itahano Baretti, precettore della fighe, il viaggiatore Charles Bumey, autore del leggendario Viaggio musicale, e il Dr. Johnson. L'arte virtuosa, sir Joshua, Iha appresa soprattutto nel suo viaggio in Itaha: da buon farmacista mancato ama strane resine e pigmenti, e mutua le sue tonalità, crepuscolari e febbricitanti, soprattutto confron¬ tandosi con l'ultimo Tiziano e con Tintoretto. Anche se il suo mito rimane il «divino» Michelangelo, lo dimostra il suo Autoritratto aba Van Dyck, destinato a Pitti, in cui il giovinetto, dalla carnagione già burrosa, si pavoneggia, stringendo tra le mani, quasi dei guanti galanti, i «disegni del Divino». Si dice che quando il ritratto arrivò a Firenze, il pittore Zoffany non resistesse alla tentazione di abbracciarlo, come se fosse l'amico vivo. Michelangelo e pure Raffaello, anche se dall'Italia invia una screanzata parodia della Scuola d'Atene, in cui gh amici parvenu del Grand Tour hanno sostituito Omero ed Orfeo. Quando vecchio, ormai cieco, non si dedicò che alle sue brillanti conferenze. volle che la sua ultima parola fosse: Michelangelo. All'autoritratto dedicò una sessantina di tele, dalla giovinezza spavalda, sino alla vecchiaia dolente, con occhialini goyeschi. Saccheggiando sfrontatamene Rembrandt: ma in lui non c'è l'ossessione dell'interrogarsi. Semmai la smania dell'auto-promuoversi, del dimostrare pubbhcamente e pubblicitariamente le proprie doti. Non a caso la bella mostra si apre sull'adescante autoritratto, con la mano sugb occhi, per schermarsi dalla luce, che pare figgere gli occhi nei nostri, ed invitarci: venghino, signori, venghino, l'odore della pittura fresca è sempre vivo. Diventate famosi anche voi, non per i quindici minuti warholiani, ma per l'eternità. Al Palazzo dei Diamanti di Ferrara una grande retrospettiva sul pittore inglese famoso per lo sfrenato arrivismo oltre che per i ritratti del bel mondo Autoritratto di Yoshua Reynolds, il pittore inglese cui il Palazzo dei Diamanti dedica una retrospettiva Joshua Reynolds e l'invenzione della celebrità Ferrara. Palazzo dei Diamanti. Orario 9 alle 19. Fino al 1 maggio

Luoghi citati: Atene, Ferrara, Firenze, Italia, Londra