La Farnesina e la svolta: «E' partita da noi» di Emanuele Novazio

La Farnesina e la svolta: «E' partita da noi» LA DIPLOMAZIA ITALIANA ALLE PRESE CON LA NUOVA ROTTA DELLA POLITICA ESTERA USA La Farnesina e la svolta: «E' partita da noi» Ma l'attivismo di Francia e Germania preoccupa Roma per il seggio all'Onu Emanuele Novazio ROMA Nessun viaggio in Europa di George W. Bush è mai stato seguito con tanto interesse, e con tanta apprensione, dalla diplomazia italiana. Mai, prima d'ora, gli appuntamenti umciali e ufficiosi dell'«amico americano» - pranzi e cene comprese sono stati vagliati con tanta attenzione alla Farnesina e a Palazzo Chigi. Forse perchè mai prima d'ora una missione europea di Bush figlio ha assunto il carattere di cartina al tornasole del nostro ruolo in Europa e nel mondo, del nostro interesse nazionale, delle nostre prospettive di media potenza: più che la trama dei discorsi ufficiali, questa volta grava sui nostri analisti il puzzle dei nuovi equilibri transatlantici propiziati dal disgelo fra Washington, Parigi e Berlino, e dal raffreddamento delle relazioni fra America e Russia. Sono due le domande, ancora in attesa di risposta, che tormentano i piani nobili del ministero degli Esteri e di Palazzo Chigi mentre Bush si appresta a cenare con Chirac e poi a pranzare con Schroeder, in attesa del delicatissimo incontro di Bratislava con Putin: se Francia e Germania tornano ad essere interlocutori credibili di Washington, che ne sarà della «relazione privilegiata» fra l'Italia di Berlusconi e l'America di Bush? E se la Russia torna ad essere un partner scomodo o meno affidabile per gli Usa, non ne risentirà anche la vantata amicizia fra il presidente del Consiglio e il capo del Cremlino, con ripercussioni negative sulle nostre celebrate qualità di mediatori transcontinentali? Senza contare che il recupero con Washington potrebbe fruttare alla Germania l'appoggio americano alla richiesta di un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. E che il riconoscimento politico dell'Ue da parte del presidente Usa - per la prima volta in visita alle due principali istituzioni europee. Commissione e Consiglio - cancella la visione delle «due Europe» in forza della quale il nostro Paese ha potuto cumulare crediti con Bush I. Dunque? Le attese e gli umori, nei corridoi della Farnesina, sono difformi. Emerge, prima di tutto, una preoccupazione trasversale: «Scontiamo un europeismo tiepido, troppo tiepido soprattutto a Palazzo Chigi e in certi settori del governo. La politica delle pacche sulla spalla col presidente americano adesso ci spiazza», riassume un diplomatico di rango. «Sarà difficile recuperare dopo avere allentato i legami con gli alleati europei più vicini a noi come Francia e Germania: non abbiamo costruito solide alternative», insiste un collega che negli anni ha vissuto in diretta «miserie e splendori della nostra politica estera», come tiene a far sapere. «La nostra partita a scacchi è stata impostata in una sola dimensione, non ci sono variabili a portata di mano», è l'analisi di una feluca di solida esperienza. Rammarico e prudenza, insomma. Ma non solo: «È stata la presidenza di turno italiana a favorire il disgelo fra America e Unione europea accogliendo Colin Powell a Bruxelles nel dicembre 2003. Siamo stati noi a preparare la dichiarazione Uè sulle relazioni transatlantiche superando le riserve di Francia e Germania», ricorda imo stretto collaboratore del ministro Fini. La diplomazia italiana può apparire «sbilanciata», di fronte al recupero di scena di Parigi e Berlino: invece, corregge un alto funzionario di Palazzo Chigi, «esaurita questa fazione di 'mediatore onesto', restano inalterati i veri obiettivi strategici». Come dire? «Che continueremo a parlare con gli uni e con gli altri sui problemi reali», risponde un altro uomo di Fini, «faremo di tutto per evitare nuove divisioni, d impegneremo nella soluzione delle crisi regionali a cominciare da quelle nel cortile di casa come i Balcani. E cercheremo di alleggerire le nostre responsabilità m Iraq e altrove: grazie, anche, al recupero di Francia e Germania». Molto, è opinione condivisa, dipenderà dalle qualità di Fini, un «animale politico nel senso mighore del termine», come lo definisce un diplomatico non sospettabile di simpatie per AN. Il nuovo capo della diplomazia italiana può vantare ottime carte europeiste, maturate nei mesi di lavoro alla Convenzione di Giscard. E il suo ruolo di vicepremier lo rende un interlocutore forte con i partner: in grado di «correggere» Berlusconi, come Fini ha fatto fin dal suo esordio a Bruxelles, il 22 novembre scorso, inserendo l'interesse nazionale in una logica europea. Ma se stima e rapporti personali hanno un peso nelle relazioni intemazionali, molto di più ne ha la strategia di Paese: «E quale valore aggiunto possiamo fornire noi oggi alla Francia, alla Germania, alla Spagna?», si chiede un navigato analista del nostro ministero. «Siamo in tanti a contare su Fini, quale che sia la nostra parte politica, ma il ministro ha di fronte un compito difficilissimo e ci vorrà comunque tempo: davvero ne abbiamo, in un'Europa in corsa?». Il ministro degli Esteri Gianfranco Fini «Il secondo mandato di Bush sarà diverso dal primo, c'è la volontà di coinvolgere Onu ed Europa».