MAO prende il tassì di Francesco Sisci

MAO prende il tassì ARRIVANO I CINESI: L'ARTE CONTEMPORANEA DI PECHINO CONQUISTA IL MERCATO INTERNAZIONALE MAO prende il tassì Francesco Sisci PECHINO LA prima mostra di arte contemporanea cinese si aprì nel 1988 e si chiuse il giorno dopo. Un giovane voleva imitare le performing arts occidentali e sparò un colpo di pistola a soipresa in mezzo alla folla, fu fermato da agenti che pensavano fosse un terrorista o un pazzo. Il giorno dopo i vecchi soloni del partito, formati su decenni di realismo socialista, sbarrarono i battenti: l'evento era troppo bizzarro, irriverente, e semplicemente fuori dai canoni. La protesta di Tiananmen, non mighorò la situazione, anzi. Gli studenti dell'istituto centrale di belle arti, che allora aveva sede a 200 metri da piazza Tiananmen, costruirono la statua della «dea della libertà», sìmbolo stesso della protesta e richiamo evidente alla statua dela libertà di New York. La statua venne fatta a pezzi dalle truppe, e l'istituto venne messo sotto ghiaccio per quasi un decennio. Le cose cominciarono a cambiare quando si fecero vivi i collezionisti stranieri. In un Paese sensibile ai segnali di mercato, l'attenzione di decine di miliardari di mezzo mondo per dei pittori squattrinati era un elemento strano. Ragazzi allora trentenni o quarantenni vendevano tele gigantesche in uno stile ginrnl pop a migliaia di dollari, cifre che allora un impiegato non vedeva in una vita di stipendi. Tra i gli artisti di maggior successo degli im'^i degli anni '90 c'era Feng Mengbo che disegnò una serie divenuta poi un classico: Mao zhuxi da di, il presidente Mao prende un taxi. Era la riproduzione a colori sgai^ianti della celebre posa di Mao con la mano destra alzata davanti a un piccolo furgoncino, che allora faceva da taxi popolare. In quella immgine c'è tutta la Cina dell'epoca. C'era la voglia di emancipazione sociale nel prendere i primi taxi e lasciarsi alle spalle la bicicletta o gli autobus sovraffollati, c'era la continua presenza nell'immaginario collettivo di Mao Zedong, dio, spirito guida della Cina, c'era l'ottimismo, l'allegria della posa e dei colori. Quelle pittine finirono tutte all' estero, spesso nelle collezioni di un grande imprenditore svizzero Uli Sigg, oggi proprietario della maggiore collezione di arte contemporanea cinese del mondo, più completa di quella di qualunque museo. Sigg è diventato nel frattempo così importante che i prezzi delle opere cinesi si affermano solo se lui le compra. L'affermazione culturale di questa pittura e il crescente giro di affari, fecero cambiare molte idee sull'arte moderna. L'arte era una forza economica e imo mezzo di diffusione di valori e idee culturali. Visto che era inarrestabile il governo avrebbe fatto bene a cavalcarla e non a cercare di mai'ginalizzarla. Contemporaneamente cambiava anche la sensibilità all'arredo urbano. I primi anni'90 era- no dominati da una specie di neoclassico ispirato e protetto dall'allora segretario del partito di Pechino Chen Xitong. L'idea non era sciocca. Diceva che le nuove architetture cinesi dovevano rielaborare elementi dell'architettura cinese tradizionale. Erano le tesi di liang Sicheng, padre dell'architettura cinese moderna. Ma tali tesi vennero apphcate come un dogma scolastico e così la leggenda riferisce che i progettisti dell'ufficio pianificazione del comune di Pechino avevano sempre in tasca un tetto a pagoda che imponevano come un cappello su tutti i nuovi grattacieh della città. Oggi i tetti a pagodina pullulano nel panorama urbano della capitale, Un'immagine ma stanno diventando rapidamente una minoranza confusi tra forme che sembrano prese dai fumetti di fantascienza: angoli che si incrociano, forme che salgono e scendono, buchi nel centro d'un palazzo. Insomma non ci sono più limiti alla fantasia tranne quelli imposti dalle leggi fisiche del cemento armato. Questa nuova libertà espressiva, incoraggiata dall'allora presidente Jiang Zemin, diede nuova spazio anche ai pittori. Gli artisti cinesi divennero una costante delle mostre di ogni Paese straniero. I più ricchi cominciarono ad aprire ristoranti alla moda, dove era bello andare per il cibo, ma anche per l'idea di essere a casa di un artista. I prezzi delle opere nel frattempo sono lievitate oltre le decine di migliaia di dollari, cifre che hanno raffreddato gli estimatori più vecchi, ma die hanno attirato quelli più ingenui, che nel prezzo alto hanno visto l'affare e il calore di questo nuovo mercato. Così all'inizio del nuovo secolo Pechino, con l'aiuto anche della Biennale di Venezia guidata allora da Franco Bemabè, varò la sua biennale di arte e l'anno scorso anche una biennale di architettura. È stata anche la rivincita dell'istituto centrale di belle arti, trasferitori nel frattempo in una nuova sede alla periferia della città. Questo centro, insieme a quello di Hangzhou, vicino a Shanghai, sono oggi forse le due dinamo della scena artistica cinese. Producono pittori, disegnatori di cartoni animati, graficipubblicitari, design industriali. Il suo nuovo centro di animazione mette in riga una decina di supercomputer ultima generazione donati dalla Apple. Di qui non passa semplicemente la scena artistica cinese, ma una nuova concezione del bello, die ha negli artisti la loro punta di lancia. Non c'è uno sguardo uniforme. C'è tutto e il contrario di tutto. Ci sono quelli che riproducono con una tecnica ad olio da fot egra- fia le vecchie immagini della tradizione cinese, ci sono quelli che cuciono insieme i topini, quelli che deturpano i cadaveri, quelli che cercano un nuovo modo di ripensare la tradizione del paesaggio di fiumi e monti disegnati con l'acquerello. Il loro nuovo luogo di incontro è la fabbrica 798, un ex stabilimento militare oggi «occupato» da artisti che ne hanno fatto il loro luogo di ritrovo. Tutti vogliono venire in Italia a vedere la luce, i panorami i colori del rinascimento, e in questo sono incoraggiati aiutati anche da italiano come Andrea Cavazzuti che lavorano sull'arte moderna cinese da 25 anni. Il presidente è un'icona che percorre le opere nelle forme più varie: c'è anche chi lo colloca a un tavolo di casinò con Valeria Marini Il tempio della nuova creatività è una vecchia fabbrica militare trasformata in atelier Il governo sembra chiudere un occhio sulle intemperanze dei giovani talenti da quando si e accorto che i collezionisti occidentali sono disposti a spendere decine di migliaia di dollari per i loro lavori Un'immagine en travesti di Ma Liuming Una foto di Weng Fen. A sinistra il dipinto China 2004 n. 7 di Feng Zhengjie