«Forse gli stessi che presero la Hassan»

«Forse gli stessi che presero la Hassan» LE IMMAGINI PASSATE ALLA MOVIOLA RICORDANO MOLTO DA VICINO QUELLE DELL'OPERATRICE UMANITARIA INGLESE «Forse gli stessi che presero la Hassan» Gli investigatori spiegano: sono molte le analogie nel filmato Francesco Grìgnetti ROMA Ci sono le parole, inequivocabUi: «Dovete porre fine all'occupazione, è l'unico modo per uscire da questa situazione». Poi ci sono le lacrime, in un moto di commozione che la squassa e le blocca le parole in gola. Infine ci sono le mani, che a un certo punto si congiungono in preghiera. Il video dì Giuliana Sgrena, che s'è visto per tutto il giomo nei tg, da ieri viene passato alla moviola anche dagli analisti della polizia e dell'intelligence. Si cerca di non tralasciare nessun particolare. Gli esperti studiano l'inquadratura, fissa, dall'alto in basso, in cui la giornalista rapita compare da sola. Oppure lo sfondo, bianco, senza bandiere, orpelli, o segni di arredamento. Alle spalle ha soltanto un muro, sul quale si staglia la sua ombra. E infine la sovrascritta, nell'angolo a sinistra. Si leggono le parole «Mujaheddin senza frontiere», in caratteri arabi rossi. Anzi, per la verità la scritta non si legge nemmeno tutta, è mangiucchiata in coda. Colpa della trasmissione via satellite. Nella versione originale, in possesso dell'agenzia intemazionale Ap Television, la scritta si legge chiaramente fino in fondo. Ma mai sentiti prima, questi «Mujaheddin senza frontiere», dicono gli esperti. Comunque è una prova che Giuliana è in vita, dicono. E questo è il primo dato positivo. Il secondo è l'implicita trattativa che s'è finalmente aperta. Nel lungo rosario di video con rapiti che implorano pietà, terroristi mascherati che leggono proclami, e magari anche assassini che uccidono a sangue freddo, spiccano quelli con le donne-ostaggio. E non è un'impressione che colpisce soltanto lo spettatore disattento. Confida un pezzo grosso dell'intelligence italiana: «Sono sobbalzato sulla poltrona quando ho visto quelle immagini. Era impressionante la similitudine con un altro video che avevo ancora nella memoria, quello della rapita inglese Margaret Hassan». Non sono immagini che possono facilmente scappare via di mente. Era il 22 ottobre scorso quando la televisione araba «Al Jazeera» diffondeva le immagini dell'operatrice umanitaria angloirachena, sequestrata qualche giomo prima tra le mura del suo ufficio. Se in un primo video, ripreso a caldo, la Hassan appariva ancora con 1 suoi vestiti, attonita, ma senza parole, il secondo fu terribile: tra le lacrime, la donna chiedeva il ritiro delle trappe britanniche dall'Iraq altrimenti, diceva singhiozzando, «potrebbero essere le mie ultime ore di vita. Vi prego, aiutatemi». Di quel video della Hassan, a parte la forza del messaggio subliminale che entrambi si portano in pancia, colpiscono oggi - agli occhi degh investigatori: il pm Franco lonta, coordinatore del Pool Antiterrorismo, titolare dell'inchiesta sul sequestro Sgrena, ieri è rimasto in ufficio fino a tardi - alcune impressionanti analogie formali con quello divulgato dai rapitori di Giuliana Sgrena. Tutte e due le donne vengono riprese da una macchina ferma, nel chiuso di una stanza, con un faretto laterale che le illumina (da sinistra la Sgrana, da destra la Hassan), senza drappi alle spalle, né terroristi di mezzo. L'appello della sequestrata, in un caso come nell'altro, è diretto a guardare l'obiettivo, immediato come un cazzotto nello stomaco. Entrambe, infine, indossano vestiti puliti, sono dimagrite, ma non trasandate. Insiste l'analista dell'intelligence: «A voler continuare la comparazione tra il video dell'Hassan e quello della Sgrena, colpisce che tutte e due le donne trasmettono un'immensa solitudine, vedono la propria vita in bilico, sono terrorizzate». Si ragiona sulle analogie, insomma. Qualcuno ipotizza: forse si tratta dello stesso gruppo? E perché mai la Sgrena a un certo punto parla in francese: forse c'entra anche il rapimento di Florence Aubenas? Il particolare non è di poco conto: Margaret Hassan fu poi uccisa dai suoi sequestratori, che hanno dimostrato di non avere pietà per le donne, nemmeno quelle impegnate sul versante pacifista e umanitario. Un particolare terribile: la banda che rapi e uccise la Hassan non rispettò neppure un appello di al Zarkawi (che s'è dissociato subito dal rapimento Sgrena). E della Aubenas non si hanno mai avuto notizie né fotografìe. Ma non ci sono state soltanto le lacrime di Margaret Hassan, nella terribile storia delle donne rapite in Iraq. Ci sono state quelle di Teresa Borcz, la polacca. Di Nahoko Takato, la giapponese. 0 ancora di Fairuz Yamucky, la canadese. Tutte donne che sono state liberate. Si cerca di capire se il fatto che la rapita a un certo punto parli in francese, colleghi la vicenda a quella della Aubenas VIDEO A CONFRONTO Le prigioniere delguerriglia irachenOstagge con la faccia smagrita dai maltrattamenti e deformatdalla paura. Accanto, MargareHassan, operatrice umanitaria britannica che dopo 30 di lavoin Iraq ne era diventata cittadiMa non è stata risparmiata daguerriglia: dopo averla costretchiedere, in lacrime, il ritiro detruppe di Londra, l'hanno fucinel novembre dell'anno scorsoSotto a sinistra Teresa Borcz Khalif a, polacca sposata a un iracheno, minacciata dai suoi rapitori. Viene liberata nel novembre 2004. Dura invece appena pochi giorni del settembre 2004 l'odissea dell VIDEO A CONFRONTO Le prigioniere della guerriglia irachena Ostagge con la faccia smagrita dai maltrattamenti e deformata dalla paura. Accanto, Margaret Hassan, operatrice umanitaria britannica che dopo 30 di lavoro in Iraq ne era diventata cittadina. Ma non è stata risparmiata dalla guerriglia: dopo averla costretta a chiedere, in lacrime, il ritiro delle truppe di Londra, l'hanno fucilata nel novembre dell'anno scorso. Sotto a sinistra Teresa Borcz Khalif a, polacca sposata a un iracheno, minacciata dai suoi rapitori. Viene liberata nel novembre 2004. Dura invece appena pochi giorni del settembre 2004 l'odissea della iljitiir* «telaslyi aitili ^txiLUUil^jL&^I jQtrtj j^a J-?^*^ giornalista turca Zeynep Tugrui (a destra), forse salvata dalla sua fede musulmana. In basso, la volontaria giapponese Nahoko ' Takato che dopo la liberazione nell'aprile 2004 viene anche costretta a rimborsare le spese sostenute dal suo governo.

Luoghi citati: Iraq, Londra, Roma