Al «manifesto» lacrime e speranza di Riccardo Barenghi

Al «manifesto» lacrime e speranza fr TRÀI COLLEGHi DELLA dlORNAlllSTÀ RAPITA Al «manifesto» lacrime e speranza Il paradosso del giornale d'opposizione: governo Riccardo Barenghi ROMA Si piange al «manifesto», si piange quando Giuliana compare sullo schermo e parla e piange anche lei. E quando riappare su un altro canale e piange di nuovo, di nuovo tutti piangono. Fa impressione vederla lì, «così umiliata» come sussurra Giovanna Pajetta. Vederla fisicamente nei panni di un ostaggio, un'amica, ima compagna di lavoro che sei abituato a incontrare nei corridoi, a discutere con lei nella riunione o davanti alla stampante, una che non ti negava mai il suo sorriso, ironico al punto giusto. Una che negli anni ti è capitato anche di vedere piangere, magari per qualche brigata di lavoro. Ma le lacrime di oggi sono altre lacrime, prigioniere, disperate, lacrime che non puoi asciugare con un gesto della mano. La commozione si mischia alla rabbia, la rabbia all'impotenza. Ma chi fa un giornale, impotente non è. Ed è sul giornale, infatti, che si tenta di concentrare le forze e i sentimenti. La riunione di redazione la apre uno storico forze e i sentimenti. La riunione di redazione la apre uno storico pseudonimo del manifesto, Galapagos (per gli amici, Roberto Tesi). Illustra rapidamente il video, che comunque tutti avevano già visto, e poi spiega più o meno come sarà il giornale del giomo. Otto pagine su Giuliana, il resto segue. Gabriele Polo, direttore insieme a Mariuccia Ciotta, spiega che il video non è giudicato un segnale negativo dai govemo italiano. E il «manifesto» si fida del govemo italiano, sarà un paradosso ma è giusto così. La prima cosa è che Giuliana è viva, sta bene fisicamente, certo è scossa ma chi non lo sarebbe? E poi sembra a tutti evidente che si tratta di un messaggio che ne contiene un altro. Giuliana chiede drammaticamente il ritiro delle truppe ma in realtà tutti sappiamo (tutti speriamo) che sono altre le richieste dei suoi rapitori. Si va avanti, si parla della manifestazione di sabato, promossa appunto dal giornale. Non è facile organizzarla, le adesioni aumentano, dopo il video raddoppiano, triplicano. Da Prodi all'ultima associazione di provincia e viceversa, sabato a Roma ci saranno tutti per chiedere la liberazio¬ ne di Giuliana. M; anche Giuliana. Mag ne di Giuliana. Magari ci sarà anche Giuliana. Magari. La redazione è sotto assedio, colleghi giornalisti, cameraman, fotografi, amici, compagni, dirigenti politici, microfoni, telecamere, luci. Non l'ho vista così nemmeno quando, nel dicembre del 2000, fu colpita da una bomba piazzata da un fascista sbandato. Ma è un assedio che non dispiace, ci si sente meno soli, meno impotenti. Valentino Parlato entra e esce dalle stanze, concede interviste, telefona, scappa al bar «a bere una cosa», toma su e ricomincia il giro. Ha una parola e un gesto per tutti, se non ci fosse (ma c'è da trentacinque anni) bisognerebbe inventarlo. A pranzo, il solito panino nel baratto lì sotto, in mezzo al mercato, con i banchetti che chiudono e i resti di frutta e verdura sparsi ovunque. Micaela Bongi, caposervizio del politico, racconta che quando è arrivata al giornale con la sua panciona (Maria nascerà a maggio), la centralinista Stefania Zaccheo l'ha avvertita: «C'è un video terribile». «Ho pensato il peggio, sono scoppiata a piangere. E non mi sono più fermata anche se l'ho vista viva». Carla Casalini, che al «manifesto» sfa da prima che «il manifesto» nascesse, non dormiva da due notti. «Stanotte invece ho anche sognato. Ho sognato che a Baghdad avevano preparato uno spettacolo, tutto organizzato, il palco, i posti, le luci. Ma noi non lo sapevamo, lo scoprivamo vedendolo. E lo spettacolo era bellissimo, la liberazione di Giuliana. Peccato che quel sogno si sia avverato solo a metà, lo spettacolo c'era ma il copione era un altro». Arriva Pier Scolari, il compagno di Giuliana, viene sepolto da telecamere e microfoni. Come sempre, da tredici giorni ormai, riesce a parlare con straordinaria lucidità, è ovviamente turbato ma anche sereno, si commuove quando commenta l'appello che lei rivolge direttamente a lui. Ma non si ferma anche se ha due lacrime grandi così negli occhi. Dice che lei gli chiede di fare cose che sa perfettamente che «noi stiamo già facendo. Dice cose che ha sempre detto e pensato, che tutti noi pensiamo». U vignettista Vauro questo concetto l'ha già messo nella sua vignetta, oggi non ha voglia di fiori, è incazzato con chi sequestra Giuliana e il suo personaggio è più incazzato di lui. Stefano Chiarini sarà dimagrito dieci chili. Non è un uomo che di solito ha paura, stavolta racconta che lì, a Baghdad, non si può stare, «la situazione è invivibile, non sai con chi hai a che fare, non puoi muoverti, non puoi fidarti di nessuno. Ho fatto le valigie». È in questa Baghdad, in questo Iraq che Giuliana Sgrena oggi è imprigionata, chissà dove, chissà da chi. Ottimismo e pessimismo si succedono senza sosta, si spera ma si sente addosso la paura, il terrore «Hai visto, l'hanno vestita come Margaret Hassan, dio mio», «ma no, ma no, quello era al Zarqawi che stavolta non c'entra nulla. Dai, coraggio, vedrai che toma pre- sto. E toma viva». Speriamo. C'è solo da sperare ma c'è anche un giornale da fare. E come sempre gli è successo, nei momenti più difficili «il manifesto» dà il meglio di sé. Nessuno risparmia le forze, si lavora a ciclo continuo, anche la domenica, non ci si riposa, si è disposti a scrivere di tutto, a spostarsi da una sezione all'altra, giornalisti che fanno i fattorini e viceversa. E allora via a fare le pagine, discutere gli articoli, cercare interviste. L'intervista tocca ad Andrea Colombo, ma non è un'intervista come un'altra. Oggi di Giuliana, dell'Iraq, della guerra e dell'occupazione, sul «manifesto» parla Romano Prodi. Tutti piangono davanti alla tv: «Fa impressione vederla così umiliata», sussurra Giovanna Pajetta Il direttore Gabriele Polo spiega che le immagini da Baghdad sono considerate un segnale «non negativo» Donne con il burqa fotografate a Kabul da Giuliana Sgrena In alto, striscione sulla sede de «il manifesto» a Roma. Altre due foto scattate dalla reporter rapita: accanto, bimba ferita da una cluster bomba Milla, Babilonia. Sopra, bambini palestinesi