Dalla Cina alla Malesia Vlanganelli mai asciò la sua stanza di Marco Belpoliti

Dalla Cina alla Malesia Vlanganelli mai asciò la sua stanza Dalla Cina alla Malesia Vlanganelli mai asciò la sua stanza Marco Belpoliti ALL'INIZIO degli anni Settanta Giorgio Manganelli prese a viaggiare. Andò in Africa, da cui trasse un resoconto rimasto inedito; poi, per il Corriere della Sera, si recò in Cina, nelle Filippine e in Malesia, da cui inviò una serie di articoli, confluiti successivamente in un libro, Cina e altri Orienti, l'unico pubblicato da Bompiani, nel 1974. Vennero quindi altri viaggi, verso Nord e verso Sud, per La Stampa, per iZ Messaggero e per L'Espresso. Il "malinconico tapiro", come lo ha battezzato Pietro Citati, era diventato un viaggiatore, dedito all'esotismo, non solo dei luoghi, ma anche dell'anima. Non a caso il viaggio in India nel 1975, edito postumo con il titolo dii'sperimento con l'India, ne costituisce il baricentro, il punto di equilibrio tra i viaggi mobili e quelli immobili: là, nell'Altrove, Manganelli scoprì di non possedere più la combinazione per uscire da se stesso, dal sarcofago in cui era rinchiuso. Graziella Pulce in un recente e utile libro-mappa dedicato allo scrittore, Giorgio Manganelli. Figure e sistema, ricorda come l'immagine del viaggio riguardi da vicino la pratica psicoterapeutica, la cura della depressione e della nevrosi, stati che lo scrittore affrontò nella sua vita. Il viaggio è per Manganelli visione, immersione in se stessi, tanto da farci ritenere che i suoi scritti del genere appartengono alla categoria del "viaggio intomo aha propria stanza", piuttosto che a quella del viaggio avventuroso da compiersi all'aria aperta con camicia cachi, scarponcini, calzoni corti e moleskine, alla Bruce Chatwin. In realtà, il viaggio conosce nell'opera dello scrittore itahano una serie di differenti dechnazioni, come ha messo in luce Andrea Cortehessa, curatore di un suo nuovo e ghiotto libro di viaggi in Itaha: Lafavolapitagorica. Si tratta di una serie di brevi scritti, reportages, dedicati a città e regioni italiane, pubblicati in differenti sedi giornalistiche tra il 1971 e il 1990, che appartengono, come scrive Cortehessa, più allo "scrittore di luoghi" che non allo "scrittore di viaggi". La distinzione tra i due è sottile, e serve anche a fare un po' di chiarezza nel genere che oggi affolla con buon successo gli scaffali delle librerie. Il viaggiatore di luoghi è un descrittore, uno ohe tratta «un luogo alla stessa maniera con cui trattianio sostanzialmente un libro». È, in altre parole, un recensore che legge il mondo come se fosse un accumulo indistinto di segni da cui trae, a proprio modo, un ordine o almeno una parvenza d'ordine. Manganelli interpreta Firenze o l'Abruzzo come se si trattasse di un dilavato manoscritto medievale, una pergamena su cui sono state incise da mani diverse differenti scritture. A volte Manganelli è un paziente lettore, come nel caso della città toscana, da lui amata e odiata - «Se una città è bella, ci deve essere del marcio. Io non ci vado» -, a volte invece è un rapido recensore, come capita nel bellissimo viaggio tra i paesi dell'Abruzzo, vero baricentro del libro, di cui fornisce una delle più affascinanti descrizioni, tanto da indurre nel lettore il desiderio di precipitarsi nelle silenziose città del centro Itaha per una necessaria visita. Il viaggiatore di luoghi possiede la capacità di commuo- versi, più che di meravigliarsi. È uno scrittore tutto di un pezzo, ovvero irrigidito dai propri pregiudizi, manie, durézze e fissazioni, ma allo stesso tempo, arrendevole, tenero e delicato di fronte a tutto ciò che lo colpisce, lo rende attonito, lo spiazza: uno scrittore del cuore, ma senza sentimentalismi. Melanconico e speranzoso. Manganelli scrive: «Il viaggio è fatto in primo luogo di se stesso», consiste nel «lasciarsi cadere nel fondo di quella magica fessura che ci porta da un luogo all'altro». Per questo Manganelli vede cose che nessun altro scorge e ci restituisce l'immagine davvero straordinaria dell'Italia. Il segreto deha sua formula è quello di mettere il reportage al servizio deha letteratura, e mai il contrario. La rigidità meditativa di Manganelli consiste in questa predominanza del letterario. E l'io dello scrittore di viaggio? Che fine fa l'io debordante che spinge ogni scrittore di questo genere ad usare in modo estenuante la prima persona singolare? Manganeli si nasconde dietro agh aggettivi, si ripara all'ombra delle proprie fissazioni, usa, ad esempio, il cibo come un grimaldello per fare saltare la serratura della realtà, senza tuttavia mai mancarle di rispetto, senza prevaricarla. Il vero viaggiatore procede dentro spazi longilinei, dentro gli interstizi deha realtà. In questo modo anche una passeggiata per lui diventa un viaggio. ln giro per il mondo e attraverso l'Italia, articoli, brevi scritti, note, reportage: il «malinconico tapiro» dedito all'esotismo, non solo dei luoghi, ma anche dell'anima Giorgio Manganelli La favola pitagorica Adelphi. pp.214.613 Graziella Pulce Manganelli Figure e sistema Le Monnler. pp. 183. 612,50 SAGGI

Persone citate: Bruce Chatwin, Giorgio Manganelli, Graziella Pulce, Pietro Citati