Barcellona, le icone della grande ammaliatrice

Barcellona, le icone della grande ammaliatrice Barcellona, le icone della grande ammaliatrice Renato Riso NEL 1921 ilpiùfamoso pittore catalano, Joan Mirò, incominciò un quadro che raffigurava la casa di famiglia, una fattoria a sud di Barcellona, nella quale aveva trascorso la fanciullezza. Portò con sé la tela a Parigi e la completò l'anno successivo. Dopo varie traversie il dipinto finì a Hemingway che ne fece un feticcio: «Ha in sé diceva - tutto dò che si prova in Spagna quando si è h e tutto ciò che si prova quando si è lontani e non ci si può andare. Nessun altro è riuscito a dipingere queste due cose perfettamente contrarie». Forse perché nessun altro come Mirò, artista dal cuore fanciullo, era capace di rendere altrettanto intensamente i sentimenti d'un espatriato: separazione, nostalgia. Quella sofferenza che i catalani chiamano «enyoranca» e che è stata da sempre metafora fondamentale di gran parte deha loro letteratura e di tutto h loro vivere. Ma anche rabbia per alimentare la «volontà di esistere», di cui parla Jordi Pujol, uno dei padri della nuova Catalogna che da sempre ha guardato al governo centrale e centralista come a qualcosa che impediva aha sua terra di «camminare con le proprie gambe». Non è casuale che uno dei modi di dire più usuali, ancora oggi, in molti palazzi del potere e tra la gente comune sia: «Con i madrileni non ci sentiamo frateUi. Ameno di non rispolvera¬ re la vecchia vicenda di Caino e Abele...». Robert Hughes, origine austrahana, critico d'arte del Times, innamorato di questa città «grande ammaliatrice», ne ripercorre la vita indagando «duemila anni d'arte, di cultura e di autonomia». Una storia totale che parte da quando Barcellona era una piccola colonia augustea sino alla stagione in cui è diventata metropoh cosmopolita e inesausto work in progress neha pohtica, nell'arte, nell'urbanistica. E' un'avventura raccontata per flash che ha proprio in quest'ultimo settore uno dei fili rossi del suo sviluppo. Ecco, ad esempio, le strabilianti costruzioni per le Olimpiadi, stadi, piste, piscine e uffici: un progetto che la città ha vissuto come strumento per ri¬ mettere in moto l'economia oltre che come un fine. E, nata da eguale filosofia, più recentemente, ecco la grande «bonifica» di quartieri sino a ieri baraccopoh di gitani e infezione di discariche abusive in cui sono sorti, in una scenario di 50 ettari, un centro congressi già diventato icona dell'architettura contemporanea, un auditorium, due porti turistici, eco-parchi, un campus universitario, alberghi, appartamenti. Così la metropoh-paradosso, la più grande del Mediterraneo che, però, il mare poteva solo annusarlo dietro la quinta di vecchie industrie, stazioni e containers, oggi ha cohegato questi lavori a quelli dei Giochi e fatto sorgere, tra l'altro, il più lungo arenile d'Europa, 14 chilometri d'ininterotta spiaggia. Eduardo Galeano sostiene che «non possiamo indovinare quale sarà la Terra di domani, ma possiamo immaginare come la vorremmo: il diritto al sogno non è compreso tra i trenta fondamentah proclamati dah'Onu, se, però, non esistesse, tutti gh altri diritti morirebbero». Alla capitale catalana piace sognare, ma con i piedi ben piantati per terra. Non per nulla il personaggio forse più amato di questo secolo, Antoni Gaudi, l'architetto deha Sagrada Famiha, era sohto dire che «Barcellona è concreta, mentre il resto deha Spagna è astratto». Nel tentativo di portare a termine la sua costruzione eccentrica e fantastica rimasta senza mecenati, l'inventore del goticismo endcl»; pedice, ormai povero e vestito di stracci, fermava la gente per strada elemosinando un contributo: «Faccia questo sacrificio» chiese un giorno a un possibhe donatore. E l'altro: «Con piacere, non è affatto un sacrificio». Pronta la replica di chi sa che i sogni devono avere un valore: «E, allora, faccia in modo che lo sia». Robert Hughes Robert Hughes Barcellona. Duemila anni di arte, cultura e autonomia trad. di Carla Lazzari Mondadori pp. 506.625.60 SAGGIO

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