Il velo, la grande paura delle donne irachene di Giuseppe Zaccaria

Il velo, la grande paura delle donne irachene UN'ATTIVISTA DENUNCIA LA «RIVOLUZIONE STRISCIANTE» CHE STA RIPORTANDO UNA SOCIETY LAICA AL MEDIOEVO Il velo, la grande paura delle donne irachene Con la vittoria elettorale degli ayatollah si sta imponendo la legge islamica inchiesta Giuseppe Zaccaria Inviato a BAGHDAD CHI ha paura degli sciiti al potere? Nell'Iraq di questo secondo dopoguerra la risposta più esatta è: quasi tutti gli altri e cioè i sunniti, che si vedono togliere un potere amministrato da sempre; l'ossatura laica del Paese, che dopo essere stata messa da parte adesso rischia la scomparsa definitiva; lo stesso Allawi, tuttaltro che sicuro di rimanere in sella, e perfino i curdi che nonostante le pressioni americane tentennano all'idea di assodarsi nell'Assemblea nazionale a rivali troppo forti. Soprattutto però la proclamazione dei risultati elettorali, rinviata più volte come per esorcizzare una svolta storica, fa paura alla società civile, a quella che un tempo era la classe media urbana, alla galassia di associazioni, gruppi e fondazioni che ancora tentano di tenere in piedi quel poco di modernità sopravvissuta nella terra dei due numi. Forse mai vittoria fu così densa dì pericoli: man mano che s'approssima il giorno dell'annuncio dei risultati (ad un certo punto la commissione dovrà pur smettere di cercare impossibili alchimie) l'Iraq si troverà ufficialmente di fronte al fatto di essere dominato dagli sciiti e questo già scatena ogni sorta di paure. Ciò che si profila non è soltanto un successo elettorale ma il tentativo di rivincita di una civiltà oppressa per cinque secoli. L'Alleanzabenedetta dall'ayatollah Al Sistani sembra avviata a superare il sessanta per cento dei voti, il cartello dei curdi si annuncia secondo partito con circa il venticinque per cento, Allawi potrebbe essere il terzo e Tafiluenza al voto del 30 gennaio, celebrata come grande vittoria della democrazia, probabilmente era stata inferiore al 50 per cento. La «tolleranza» di Sistani non sembra il grado di calmare la furia dei due partiti vittoriosi, gli appettiti di potere del Dawa e la vogha dello Sciri, o Consiglio islamico della rivoluzione, di imporre una svolta nei costumi. «Temo più di ogni altra cosa che la rivoluzione striscian- te portata avanti finora si tra sformi in valanga che ci sommergerà tutte», ci dice una giovane donna bruna che a Baghdad già pare una sepolta viva, non va più a casa e trascorre giorni e notti nella villetta protetta da armati dell'«Owfì», ovvero orcanizzazione per la libertà della donna. Jehaar Mohammed viene da Erbil, tiene i familiari lontani da Baghdad e tiene lontane le mogli dai mariti che vogliono ucciderle o sfigurarle col fuoco. «L'altro ieri qui c'era ima giornalista irachena che voleva intervistarmi, ho notato che aveva strani segni sul viso, è scoppiata a piangere e mi ha raccontato la sua storia. Il suo primo marito era morto nella guerra di due anni fa, lei si è risposata con un islamico e via via l'uomo si è fatto sempre più intollerante e dispotico». Alla donna è stato offerto rifugio presso l'associazione, lei ha rifiutato dicendo che ormai non c'è alternativa, preferiva tornare ed essere picchiata ancora piuttosto che ri¬ schiare la morte. «Le sto parlando di una persona colta, pensi a cosa accade alle migliaia di donne delle classi più povere. Ormai neanche la polizia interviene più, se una viene ricoverata in ospedale e dice che a picchiarla è stato il marito, gli agenti stendono un verbale e poi lo consegnano alla vittima che deve decidere se darlo o meno ai giudici. Ma intanto le tocca tornare a casa...». Nei tribunali non esistono sezioni specializzate in abusi domestici, una legge degli Anni '50 assegna alla donna il diritto à divorziare ma nell'ultimo decennio ha anche accolto alcuni elementi del diritto islamico di «disciplina» coniugale. «Noi abbiamo creato anche un vero e proprio rifugio per donne maltrattate, molte sono corse da noi mentre quelle che se ne sono andate spesso hanno fatto perdere ogni traccia, come fossero morte», dice Jehaar. Negli ospedali si moltiplicano i casi di donne devastate da ustioni: soltanto un modo sbriga¬ tivo per liberarsene? «A volte, ma spesso si tratta anche di suicidi, estremi tentativi di donne amnientate nel corpo e nel morale di riconquistare "rispettabilità" con un atto atroce. La bellezza deriva dal Maligno, quindi distruggerla col fuoco può riavvicinare alla santità», spiega Jehaar Mohammed e continua: «Tremo ogni volta che vedo la religione sconfinare nella politica. Ebbene, in Iraq sta accadendo, qualcosa si era mossa già prima con il "riawicinamento" di Saddam Hussein ai precetti islamici ma ora la pressione si è fatta fortissima e non so quanto potremo resistere». L'«Owfi» denuncia per esempio il diffondersi di «matrimoni a tempo» soprattutto fra le studentesse di Baghdad. «Prima certi fenomeni si verificavano soprattutto in Iran e comunque mai in questo Paese, adesso invece esistono addirittura uffici che provvedono a contratti che confinano con la prostituzione». In sostanza per non infrangere i precetti del Corano certi uomini «sposano» una giovane donna per un'ora, una settimana o un mese, pagano una somma commisurata al periodo e ottengono una sorta di certificato di matrimonio temporaneo. Jehaar racconta che a Najaf nei pressi della moschea di Ali adesso c'è un ufficio in cui le ragazze possono iscriversi a una usta di candidate, da qualche tempo un"'agenzia'' simile ha aperto perfino nei pressi dell'università di Baghdad». Anche le più giovani e colte fra le donne irachene cominciano ad arrendersi a un futuro senza alternative: «Le ragazze ovviamente cedono per danaro ma anche perchè non sanno cosa potrà accadere domani e dunque questa perversa scappatoia offre loro almeno una remota possibilità. Le altre sopravvivono con il danaro ricevuto e si avviano ad un futuro di reiette». A Kharrada, le sezioni civili del tribunale in materia di divorzio hanno notato da mesi un fortissimo calo di attività, di recente il solo intervento rilevante ha riguardato un contratto di matrimonio fra un sessantenne ed una ragazza che sosteneva di avere vent'anni. Un esame medico ha rivelato che ne aveva dodici, la famigha l'aveva venduta. «Già nell'autunno scorso - conclude Jehaar Mohammed - membri sciiti del consiglio provvisorio avevano provato a introdurre la sharia nel diritto di famigha con una semplice ordinanza, la cosiddetta "risoluzione 137", poi la reazione delle organizzazioni femminili e le paure americane bloccarono quel tentativo. Però il progetto è soltanto rinviato. Ormai il velo viene imposto a qualsiasi donna che lavori, gli spazi di vita civile continuano a restringersi. Io sono costretta a vivere da reclusa con una scorta del ministero dell'Interno». Sulla porta della villetta Jehaad saluta in fretta; non ha voglia di farsi vedere, adesso che la democrazia sta per consegnare l'Iraq agli sciiti. Ormai tutte quelle che lavorano sono costrette a coprirsi i capelli I mariti stanno diventando prepotenti, picchiano e sfigurano con il fuoco le mogli, nessuna osa più ribellarsi o fuggire Crollano i divorzi mentre dilagano le agenzie di «matrimoni a tempo» che reclutano perfino le studentesse della capitale Spose giovanissime vendute dalle loro famiglie ad anziani facoltosi I I parenti di alcune vittime dell'autobomba esplosa davanti a una moschea sciita a Balad Ruz