L'autoassoluzione dei «ragazzi» della Rsi

L'autoassoluzione dei «ragazzi» della Rsi CINQUANT'ANNI Dl MEMORIE E SAGGI, SOSPESI TRA VITTIMISMO E RECRIMINAZIONI L'autoassoluzione dei «ragazzi» della Rsi Giovanni De Luna NELL'IMMEDIATO dopoguerra - diciamo tra il 1945 e il 1955 - la memoria di Salò alimentò un affollato settore dell'editoria; gerarchi e gregari si sbizzarrirono nei loro ricordi, senza sentirsi per niente «vinti»; inseriti nei circuiti della comunicazione, i neofascisti di Salò costruirono una loro prima vulgata, pienamente assolutoria, vittimistica, carica di recriminazioni. Tra gli esempi più significativi si possono citare i ricordi di Filippo Anfuso («Roma, Berlino, Salò, 1936-1945. Memorie dell'ultimo ambasciatore del duce»), Rodolfo Graziani, {«Ho difeso la patria»), Ermanno Amicucci, («I 600 giorni di Mussolini. Dal Gran Sasso a Dongo»), Giorgio Pini, («Itinerario tragico, 1943-1945»): giornalisti, diplomatici, militari, tutti posti ai vertici istituzionali della Repubbhca di Mussolini, tutti complici dell'occu¬ pazione hitleriana e passati indenni attraverso un'epurazione che fu una burla politica e una beffa giudiziaria. In questo contesto spiccano per il loro spessore letterario solo i libri di Giose Rimanelli, («Tiro al piccione», Mondadori, 1953) e Giorgio Soavi, («Un banco di nebbia. Iturbamenti di un piccolo italiano», Einaudi, 1955). Le cose cominciarono a cambiare a partire dagli Anni '60, quando, mentre defluiva l'ondata della memorialistica neofascista, apparvero più meditate ricostruzioni storiografiche, in particolare quella di Deakin, pubblicata da Einaudi nel 1963, e quella di Enzo Collotti, dedicata all'amministrazione tedesca dell'Italia occupata. La risposta neofascista fu affidata a Giorgio Pisano, («Storia della guerra civile in Italia», 1965). Negli Anni '70 la storiografia sulla Rsi si airicdù di alcuni titoh significativi (Gioigio Bocca, «La repubbhca di Mussolini», 1977; «Riservato a Mussolini», a cura di Natale Verdina, 1974), mentre nella memorialistica neofascista ai gerarchi «di regime» si sostituirono i duri e gh irriducibili dello squadrismo e del golpismo (Giorgio Almirante, «Autobiografia di un fiidlatore», 1973; Junio Valerio Boighese, «Decima flottiglia Mas», 1971). Comunque,nel dibattito politico sul biennio 1943-1945, allora la vicenda di Salò interessava solo pochi nostalgici, mentre divampava la polemica che investiva la Resistenza, contrapponendo il Pei e gli altri partiti - che insistevano sul suo carattere patriottico e nazionale ai gruppi extraparlamentari che ne sottolineavano, invece, gli aspetti rivoluzionari. Come sempre, le posizioni più inquietanti e originali furono quelle affiorate nel film di Pier Paolo Pasolini («Le 120 giornate di Sodoma»), che analizzò il nesso tra l'esperienza della Rsi e un progetto biopolitico di morte, un nesso che allontanava Salò dalla poUtica per consegnarla a una plumbea dimensione esistenziale, a una raccapricciante pornografia in grado, tuttavia, di restituirne il significato storiografico più profondo. Con gli Anni '80 e '90 ci fu un'inversione di tendenza. La produzione editoriale dei reduci di Salò diventò un fiume in piena. Il libro più significativo, quello che porrà le basi alla sua successiva evoluzione in direzione di una sempre più piagnucolosa aggressività, fu quello di Carlo Mazzantini, «A cercar la bella morte», 1986. La memoria dei militanti neofascisti prese ad affollare librerie, tv, giornali. Una nuova vulgata agiografica si impose in concomitanza con l'ingresso di Alleanza nazionale nel governo. Nel settembre '95 Carlo Mazzantini pubblicò «I balilla andarono a Salò. L'armata degli adolescenti che pagò il conto con la storia». H libro era dedicato ai «ragazzi di Salò», «mossi soprattutto dalla volontà di preservare l'onore della patria e la propria dignità di uomini». Un anno dopo, il presidente della Camera, Luciano Violante, si rivolse ancora ai fascisti che avevano militato nella Rsi, chiamandoli «ragazzi di Salò». Il termine trovava così una propria legittimazione: il mantello assolutorio dell'adolescenza veniva disteso sui protagonisti di quella oscura vicenda; e l'adolescenza evoca¬ va l'irresponsabilità, o meglio la deresponsabilizzazione, spalancando la strada a una visione giustificazionista. A quel punto si verificò un paradosso; emaiginata e minoritaria nel dibattito mediatico, la ricerca storica su Salò conobbe in quegli anni una grande stagione, ricca di studi significativi (Klinkhammer, «L'occupazione tedesca in Italia, 1943-1945», 1993; Gagliani, «Brigate Nere», 1999; Ganapini, «La repubbhca delle camicie nere», 1999; De Febee, «Mussolini l'alleato, 1940-1945. IL La guerra civile, 1943-1945», 1997). E tuttavia lo spessore di questi studi non bastò: sul piano della trasmissione del sapere storico e nella costruzione del senso comune storiografico il loro ruolo è stato misconosciuto, se confrontato, ad esempio, con lo straordinario successo del libro che Giampaolo Pausa («fi sangue dei vinti», 2003) ha dedicato al martirologio dei «ragazzi di Salò». Con gli Anni'80 e'90 la produzione editoriale dei reduci fascisti è diventata un fiume in piena