COSTANTINI L' icona dello scrittore

COSTANTINI L' icona dello scrittore COSTANTINI L' icona dello scrittore Lele Luzzati ANNI fa mi trovavo in giuria (la «Biennale dell'Illustrazione» di Bratislava) insieme al direttore della più importante scuola di illustratori di Francia e, parlando del più e del meno ho nominato Flavio Costantini: il professore mi ha guardato con ammirazione e mi ha detto: «Ma lei lo conosce?» «Certo, è il mio mighore amico!». E allora lui mi ha spiegato che, avendo avuto per le mani un suo libro (credo Ravachol S- C, pubblicato anche in Ftancia), Iha adottato come libro di testo per i suoi allievi per mostrare la defonnazione della prospettiva che resta sempre piatta in tutti i suoi movimenti; anche in questo momento che mi trovo a letto per una caduta, nella parete di fronte ho appesa una serigrafia con la banda Bonnot: c'è una macchina che comincia di faccia e finisce di profilo; però nulla è ostentato, tutto sembra naturale, quasi oleografico, eppure ogni volta che guardo quel quadro, come tanti altri che ho appesi in casa, provo sempre un senso di turbamento: nella sua fissità quella scena è molto più tragica di quelle, del tutto «illustrative» dei vari Guttuso, Caruso o Vespignani. Anche quei mari fatti a strisce che sembrano così sereni, con quel blu degradante su cui posa un piccolo iceberg o una navetta o un transatlantico ci attirano per la loro bellezza, ma poi d accorgiamo che sono presagi di una tragedia. Io uso spessissimo nelle mie scenografie, spesso fatte a collage, elementi di Costantini; quasi mai per drammi ma quasi sempre per ambienti borghesi, dove tutto sembra scorrere tranquillo, ma il pubblico già capisce che non tutto è giusto, a suo posto. Ho usato Costantini per Svevo (La coscienza di Zeno), per vari Feydeau, dove sotto l'apparenza di una solida borghesia c'è tutto un mondo in sfacelo e tutto sembra vero ma è assolutamente finto. Recentemente ho dovuto allestire La lezione di Jonesco al Teatro della Tosse; ho usato una monotonissima tappezzeria a righe presa da uno dei quadri di Costantini e ai lati due sue porte mezze aperte e mezze chiuse e in mezzo una sua finestra; la scena ha funzionato perfettamente; un'immobile camera borghese dove, immutato negli anni, un professore dà lezioni alle allieve: tutto sembra tranquillo, normalissimo nella sua banalità, ma ci accorgiamo nello stesso tempo che c'è qualcosa di inquietante in quella monotonia e infatti in quella stanza ogni giorno si consuma un omicidio, ma nella maniera più banale, come se tutto fosse predisposto naturalmente. Io credo che nessun pittore oggi sia così «estetico» e così ((tragico» come Costantini. I suoi quadri sono belli, anzi, bellissimi, anche se c'è del sangue per terra, anche se i figh dello Czar sono larve, ombre di fanciulli che stanno per morire o già morti, anche se le stanze lussuose del Titanic sono già piene d'acqua. Quello che si può assolutamente dire di Flavio è che è unico. Non risente di nessuna corrente della nostra epoca, non è realista, né surrealista, e tanto meno astratto; si è inventato il suo mondo tutto da solo, incominciando a disegnare motivi floreali per stoffe di abbigliamento dopo aver capito che il mondo del mare non era tutto per lui (è stato per alcuni anni ufficiale di marina) e senza dubbio il mare ha giocato e gioca ancora un gran ruolo nella sua pittura, poi è stato affascinato dal mondo di Kafka, indi da quello delle corride dove ha cominciato ad esprimersi già con quello stile, ancora in embrione, che andrà via via sviluppandosi fino agli ultimi quadri. Poi dopo la delusione dello stalinismo in un viaggio in Unione Sovietica si è buttato nel mondo degli anarchici, ma anche questi lo hanno deluso; ecco allora la serie degù affondamenti del Titanic: la fine di un mondo che si credeva sicuro nella sua opulenza; e ora la fine degli Czar, solo un'ombra di un mondo che non c'è più, un ' mondo che lui non giudica, che forse non era né bello né brutto, ma certo è finito. Eppure, cosa strana, i quadri di Costantini che (ripongono davanti a problemi terribih: fucilazioni, uccisioni, morti, affondamenti, non si può dire che siano tristi, c'è una vitalità, una forza, una bellezza estetica nei suoi colori, nelle sue forme distorte, ma classiche, che stimolano e invitano alla riflessione. I suoi quadri possono essere tragici, mai tristi; un po' lo stesso sentimento che si prova davanti a «Guemica» di Picasso; è troppo bello per essere triste. La tragicità spesso ha il suo fascino, la tristezza mai! E spesso il tragico ha anche il suo lato umoristico e l'umorismo in Flavio è fondamentale. Se no non sarei certo suo amico! l'inqualificabile mostra, ora a Roma, sul De Chirico sacro, goffo vignettista dell' Apocalissi). Ma ci pensò lo scrittore Giorgio Soavi a rimettere alla scrivania artisti diligenti e fantasiosi come Davide Pizzigoni o Graziella Marchi, Lele Luzzati, Topor o Folon, per ridar vita, nella collana Olivetti, a colorati capolavori, minuziosamente chiosati di tavole. In realtà, a ben guardare, per le forche caudine del libro illustrato, ci son passati un po' tutti, gli illustri pittori italiani, e i più vari, da Guttuso a Zigaina, da Fabrizio Clerici a Guccione, da Vespignani a Caruso (indimenticabili le immagini «veriste» per Sciascia ed Arpino) da Gentilini a Campigli, e poi, scegliendo a caso, da Scialoja a Casorati, Manzù e Savinio, Maccari e Alberto Martini, Mattioli e Gianquinto, per giungere sino al giovane Velasco, incendiato illustratore del Dio di Roserio di Testori. Ma ben pochi accetterebbero quell'attributo tecnico, perché effettivamente essi non ricalcano, non descrivono, non traducono pedissequamente, ma rubano dettagli, prelevano immaginario, succhiano suggestioni, poi rielaborate in soggettiva. Esempio illuminante di un decano del libro ripensato, Flavio Costantini, che alla soglia degli ottant'anni, inaugura una ricca retrospettiva alla Galleria Davico di Torino, dopo quella alla Triennale milanese, sulla Luce del Silenzio. Oltre ai suoi libri commentati da un forte segno grafico, per Conrad o De Amicis, Costantini, ex-capitano di lungo corso votato al disegno, e cantore della tragedia del Titanic, è stato uno dei primi a proporre delle immagini-icone di letterati prediletti, come Kafka o Poe, prbtagb'Aistt dèi pStìsiero, come Jung o dell'azione quale Rosa Luxemburg o raccontare la storia degli anarchici, da Bakunin a Ravachol sino ai rivoltosi dell'America. Rifacendosi agli esperimenti della Nuova Oggettività e del fotomontaggio dada, alla Heartfield, Costantini gioca con il suo tratto riconoscibilissimo e come ritagliato, su uno sfondo di collage fotografico, surrealisteggiante e spaesante. Più realistico ma non meno incisivo il goriziano Franco Dugo, ritrattista incisivo di letterati e recente illustratore del Milione. Ancora diverso il «taglio» di Tullio Pericoli, magico, visionario metteur en scène del Robinson Crusoe e straordinario «critico» per immagini di poeti e narratori, che "recensisce" con la sua infallibile matita, in flash riassuntivi, che valgono un denso saggio esplicativo. Allievo, per quanto riguarda i suoi paesaggi robinsoniani, di Saul Steinberg, Pericoli non ha mai negato la sua dedizione al ritrattista David Levine, che non disdegna l'epiteto di caricaturista, di disegnatore satirico. Definizione del suo ultimo Calendario 2005 per la New York Revue of Books. Anche se si dice erede di Tenniel, illustratore storico di Alice nel Paese delle Meraviglie, Levine deve molto al vecchio prototipo della caricatura alla Nadar: corpo minuscolo, testa macrocefala, con dettagli simbolici. La pipa di Faulkner, il cappellone esotico di Hesse, il sigaro provocatorio di Castro. Un punctum simbolico, che toma anche in Pericoli, che ha decisamente superato il suo maestro, con una grande fantasia narrativa, un gioco continuo con le tecniche, una mobilissima intelligenza grafica. L'ultimo suo libro Adelphi, dedicato alla Casa Ideale di Stevenson, è una sorta di manifesto della sua poetica. Pericoli pare rovesciare i ruoli e proporre delle tavole che non commentano il testo, ma cbe danno l'impressione di generarlo. Come se il vero illustratore non fosse lui, ma il narratore Stevenson. Una sfida speculare. Pittore, scenografo, ritrattista, ,, in particolare di scrittori. E' un viaggio nell'opera di Flavio Costantini la mostra che si inaugura a Torino, Galleria Davico (in Galleria Subalpina), il 20 gennaiò.(resterà aperta fino al 19 febbraio, .orario 10-12.30, 16-19.30, chiusura lunedì e festivi); in catalogo una testimonianza di Lele Luzzati che anticipiamo qui a lato. J Costantini, quasi ottantenne ^ (è nato a Roma nel 1926); ^* - capitano di lungacorso, ha É partecipato fra l'altro nel 1985 4' alla Biennale di Venezia e nel 2000 alla Triennale di Milano. ^ E' presente alla X Quadriennale Nazionale d'Arte al Palazzo delle | ' Esposizioni di Roma. 1 : ;; A Torino, tre sue opere I sono permanentemente esposte al Caffè Torino di piazza San Carlo, entrando nella salettà a destra; rappresentano, rispettivaménte. Luigi Einaudi, Cesare Pavese e Giovanni Arpino. '' L'omaggio a Costantini avvia una nuova stagione della Galleria d'arte, fondata nel 1970 dà Silvano Gherlone e Luca Davico. i F nra nnirlata ÌS| (Silvano Gherlone ri/nane ìc come consulente) 1 da Renata Lattes, ■,, figlia del pittore e scrittore J| Mario (di cui Aragho . " ha da poco pubblicato 1 il romanzo «Il Castello d'Acqua») i e Emilio Gargioni, collezionista. UNA MOSTRA A TORINO |. DEL PITTORE COSI'I ESTETICO É COSI' TRAGICO CHE HA RITRATTO I MAGGIORI LETTERATI M i SUOr QUADRI POSSONO ESSERE TRAGICI, MAI TRISTI; i UN PO'IL SENTIMENTO" fc ;': ' ' ■- - .1 ' ' : ^ ';^CHE SI PROVA DAVANTI ^rA «GUERNICA» DI PICASSO g SI E INVENTATO IL SUO MONDO DA SOLO, ALL'INIZIO DISEGNANDO MOTIVI FLOREALI PER I* STOFFE DI ABBIGLIAMENTO NON RISENTE DI NESSUNA CORRENTE DELLA NOSTRA EPOCA, NON E REALISTA, NÉ SURREALISTA, - ' E TANTO MENO ASTRATTO ,, J ^ ^* É 4' ^ | 1 : ;; A I soal enraLue GL'oundefodàe Li F nÌS| (Sìc co1 da■,, figJ| M" ha1 il ri e |. I M immr SI MALMI* STMg .- ' ' MMM O ; i O" fc ';^;VÌ ' .■■:' '' I ^r ^1J ì ì^ O g NCO«*B«sa«sa i EP1 N1 , ' - : ^ iy ' * E DaNaneCOSTANTINI L' icona dello scrittore Dall'alto Carlo Levi, Natòlia Ginzburg e Mario Soldati nei ritratti dì Flavio Costantini