Non ci basta invocare i Valori

Non ci basta invocare i Valori Non ci basta invocare i Valori Ermanno Bencivenga NELL'AUTUNNO 1994 tenni un corso di Introduzione ab' Etica. Era un periodo caldo neba pobtica americana: i nodi stavano venendo al pettine per Bib Clinton, era miseramente fabito b suo tentativo di garantire alla nazione b fondamentale diritto a un'assistenza sanitaria accessibile a tutti e i reazionari di ferro di Newt Gingrich stavano affilando i coltebi e aspettando b responso debe elezioni di medio periodo. Decisi di offrire ai miei studenti due libri che rappresentavano bene le ideologie in gioco in quebe elezioni: Anorchy, State, and Utopia di Robert Nozick e Morate hy Agreement di David Gauthier. Leggendob, divenne subito chiaro chi avrebbe vinto. Lo stato ridotto ai minimi termini invocato da Nozick (e dai repubbbcani rampanti) era basato su una visione immediatamente riconoscibile e beatamente ottimista: lasciamo che tutti perseguano b proprio egoismo, la «mano invisibile» del mercato ci salverà. Gauthier, invece, si arrampicava sui vetri per dimostrare che è neb'interesse personale di ciascuno contrarre impegni etici nei confronti degb altri e la sua farraginosa argomentazione naufragava (proprio come la pobtica del primo Clinton) su una sempbce, implacabbe domanda: posto che sia nel mio interesse contrarre degb impegni, perché mai avrei interesse a rispettarb? L'aspetto penoso deba situazione è che Gauthier e soci non si rendevano conto, e continuano a non rendersi conto, che non si può cavare daba rapa debe «preferenze» private b sangue di un universo di giudizi morab; e, quando i loro tentativi, prevedibilmente, non funzionano, ritornano ad affrontare b problema con ingegnosità ancora più raffinata. Guadagnando così tempo prezioso per i propri avversari. In Genealogia della verità, Bernard Wilbams, filosofo inglese scomparso di recente, mostra piena consapevolezza del problema. «Come hanno insistito i critici di Gauthier - scrive - è molto difficbe vedere come un agente mosso dab'interesse personale non venga riportato al dbemma del Prigioniero: ciascuna parte temerà che l'altra non agisca come massimizzatore vincolato e, per questo, non lo farà neanche lui». In generale, non è possibbe fondare l'etica strumentalmente: le virtù morab devono avere «un valore intrinseco». Le virtù che interessano a Wbbams, in questo libro, sono quelle concementi la verità, in primo luogo sincerità e precisione; b compito, dunque, è dimostrare che «per scopi e bisogni umani fondamentali gb esseri umani devono trattare tab virtù come un bene intrinseco». Si tratta di un compito molto ambizioso, riconosce Salvatore Veca neba prefazione; e lo stesso Veca ammette, sia pur tra cordiab manifestazioni di stima per «uno dei più grandi filosofi deba seconda metà del secolo scorso», che b risultato è insoddisfacente. L'essenza deb'argomentazione di Wilbams è di banale ovvietà: gb esseri umani non potrebbero cooperare se non si informassero reciprocamente e le loro informazioni sarebbero inutib se non fossero ricercate con cura e comunicate con schiettezza. Questa argomentazione, però, ci lascia abo stesso punto di quella di Gauthier: certo mi conviene che gb altri siano precisi e sinceri, e anche che pensinodi me che lo sono, ma chi me lo fa fare a esserlo davvero? È qui che Wilbams, con grande disinvoltura, cambia discorso. La filosofia, dichiara, «si spinge solo fino a un certo punto, ci fomisce solo alcuni tipi di spiegazioni», quindi deve «aprirsi alla storia», cioè ai modi contingenti in cui sincerità e precisione hanno acquisito l'importante ruolo «intrinseco» che hanno per noi. Centrale nel nuovo discorso è b ruolo deb'ibuminismo, e del liberabsmo che su di esso è fondato: «una società liberale ha una relazione definita con la storia veridica: anzi ne ha due, differenti fra loro. Essa aiuta a rendere possibbe ima storia veridica, tramite assetti che incoraggiano l'incontro fra varie spiegazioni. Abo stesso tempo, necessita in maniera del tutto specifica di storia veridica»: liberabsmo e bluminismo tendono ad assumere una posizione critica e distruttiva nei confronti dei miti e debe favole. È una conclusione edificante, ma lascia intatta la sostanza deba difficoltà che stavamo considerando: ammesso che molti intomo a me siano fedeb, almeno a parole, ai principi del liberabsmo illuminista, e ammesso che mi convenga pronunciarmi a mia volta fedele agb stessi principi, perché mai non dovrei, quando si tratta di agire davvero, ribellarmi a questa «storia» e manipolare l'eventuale sincerità e precisione altrui a fini del tutto egoistici? Forse perché la storia mi ha condizionato a non farlo? E sarebbe intrinseca, questa motivazione? Il registro morale, ci ha insegnato Kant, è indipendente da ogni considerazione fattuale ed empirica. Al suo intemo è possibbe in linea di principio emettere giudizi giusti e sbagbati, ed è probabbe che nessuno sarà mai in grado di stabilire in modo definitivo che un dato giudizio è giusto. Ma lo stesso vale per b registro cognitivo: le teorie scientifiche vengono costantemente contraddette e gb esseri umani continuano a cercarne di migbori, secondo i criteri che hanno corso in queba particolare area di attività. Wilbams sembra capire qualcosa del genere quando afferma che i valori deba sincerità e deba precisione vanno cobegati «con altre cose di cui sappiamo di aver bisogno e a cui tributiamo valore»: quando cioè intuisce che esiste una sfera integrata di discorso sul valore dotata di una sua struttura interna e irriducibbe aba sfera stru¬ mentale. Per lui, però, questa rimane una pura esigenza: Kant è lontano e b registro empirico/ cognitivo è l'unico praticabbe. Di una «visione morale autosufficiente» occorre chiedersi non quale ne sia la logica ma «come mai è arrivata a esistere». C'è un altro scopo ambizioso nel libro di Wilbams. Nel primo capitolo viene identificata una tensione fra «un impegno profondo nei confronti deba veridicità o, comunque, un sospetto diffuso nei confronti deb'inganno» e «un sospetto nei confronti deba verità stessa: ci si chiede se ci sia per davvero; e se c'è, ci si chiede se possa essere qualcosa di più che una materia relativa o soggettiva». La tensione ha prodotto una spaccatura tra i filosofi del senso comune, tra quanti cioè ritengono che, indubbiamente, certe frasi siano vere e altre no, e i «negatori» aba Rorty che ci invitano a fare a meno deba verità - o, come dicono loro, deba Verità. Wilbams considera la posizione dei negatori potenzialmente catastrofica per la filosofia, per le scienze umane e forse per l'intera civbtà occidentale; quindi ci si aspetterebbe cbe il suo libro ci aiuti a contraddire scettici così perversi. In realtà b libro parla d'altro, o per megbo dire va in senso inverso: non definisce prima la verità e poi le sue virtù, cerca invece di convincerci che è bene essere sinceri, donde segue che la verità un senso deve pure averlo (senza che si chiarisca quale). Niente di tutto ciò impressionerà gb scettici; eppure un piccolo merito in proposito Williams ce Iha. I fautori del senso comune, in America, si trovano soprattutto nei dipartimenti di filosofia, i negatori soprattutto in quelli di letteratura; e i due gruppi, perlopiù, non si rivolgono la parola. Wilbams invece prende tutti sul serio e pone con serietà b problema sobevato dal loro conflitto. Non fa granché per risolverlo, come ho detto; ma l'averlo formulato, e b rispetto intebettuale per le opposte fazioni che mostra nel farlo, sono b migbor lascito intebettuale di questa sua ultima opera. Forse, aba sua luce, si potrà ricominciare a discutere insieme di verità e veridicità. NEL CONFLITTO SUI PRINCIPI SI FRONTEGGIANO SENSO COMUNE E SCETTICISMO, MA ENTRAMBI NON SANNO ANDARE OLTRE UNA MORALE «STRUMENTO» DEGLI INTERESSI INDIVIDUALI Bernard Williams, uno dei maggiori pensatori inglesi, ci ha lasciato un'opera, «Genealogia della verità», in cui ha affrontato, senza risolverlo, il problema del fondamento intrinseco delle virtù essenziali per la conoscenza e le relazioni sociali: la sincerità e la precisione. Una visione etica tanto edificante quanto debole, ferma alle buone intenzioni Particolare da un dipinto di Alberto Savinio Il filosofo Bernard Williams Bernard Williams Genealogia della verità Storia e virtù del dire il vero trad. di Gianfranco Pellegrino Fazi. pp.300.G.29 SAGGIO

Luoghi citati: America