Jumblatt: i palestinesi in regime di apartheid

Jumblatt: i palestinesi in regime di apartheid PER IL LEADER DEL POPOLO DRUSO «LE COLONIE, CHE SHARON DICE DI VOLER SMANTELLARE, VENGONO INVECE ALLARGATE» Jumblatt: i palestinesi in regime di apartheid «Ci vorranno 25 o 50 anni perché l'Occidente ammetta con se stesso questa realtà e si snodi la matassa in Mediò Oriente» intervista Antonella Rampino ROMA SHARON ha sempre detto che l'ostacolo sulla via della pace era Arafat. Adesso Arafat è morto. Adesso si vedrà. Vedremo se Bush ha veramente intenzione di concretizzare le sue promesse di dare uno Stato ai palestinesi». Walid Jumblatt ha sempre guardato alla questione palestinese con gh occhi di un iiredentista. E però il principe del popolo druso, che ha tradizioni non di inimicizia col popolo israeliano, con alterne ma sovente ottime relazioni personali a Washington, al padre dell'Olp non risparmiava frecciate e battute. Di volta in volta ai suoi occhi Arafat si «copriva di ridicolo», era un «piccolo gendarme», e via di fila. Ma la questione palestinese restava per lui un'altra cosa: realisticamente, la radice di tutti i mah mediorientali. «Lei dice che Bush ha assunto l'impegno, e che dopo la morte di Arafat lo ha ribadito con forza. Bene. Allora io le dico: e il muro? Lo ha visto lei quel muro di cemento armato? Somiglia più al confine di uno Stato sovrano o alla barriera di un regime di apartheid? E le colonie, che Sharon dice di voler smantellare, vengono invece allargate...Insomma, come crede che possa nascere uno stato palestinese, senza territorio? Tutto quello che gh israeliani stanno facendo è disimpegnarsi da Gaza, e rafforzare le colonie nei Territori». Ma se anche lei dice aspettiamo e vedremo, forse nel nuovo governo Sharon, che in Europa potrebbe definirsi di unità nazionale, riuscirà a far sentire la propria voce il laburista Peres... «Shimon Peres? ma se è un'opportunista!». Il famoso sguardo tra il disincantato e il visionario, e quelle mani mobili e nodose che Walid ha preso dal padre Kamal, di cui una volta Igor Man scrisse che aveva sempre l'aria «di chi stesse passando le dita sull'arpa della Storia», si abbandonano suibraccioli della poltrona: «Certo che sono pessimista, e sa perché? Perché ci vorrà non meno di un quarto di secolo perché la matassa israelo-palestìnese si snodi. Venticinque anni: il tempo che servirà all'Occidente per riuscire ad ammettere con se stesso che quello che si sta instaurando oggi per i palestinesi è un regime di apartheid. E guardi che il problema è questo da sempre, dal 1947 : per questo non han funzionato né gh accordi di Oslo, né quelli di Camp David. Perché non si riconosce ai palestinesi il diritto alla terra, e al loro futuro. Si chiede adesso ad Abu Mazen quello che si era chiesto anche ad Arafat, di usare la polizia.e le forze militari contro Hamas e Al Aqsa. Non ha potuto. Non c'è riuscito, perché bisogna consentire il benessere ai palestinesi, se si vuole stroncare le fazioni armate. Abu Mazen è di fronte allo stesso problema». Lo sguardo, da disincantato si fa acuto, come di chi guardi oltre l'orizzonte: «Non venticinque anni, forse ci vorrà mezzo secolo perché l'Occidente possa riconoscere l'apartheid in Palestina. E questo è gravissimo, per l'Occidente. Quella palestinese è l'uni¬ ca società araba, musulmana, profondamente laica. E democratica, come le recenti elezioni presidenziali hanno dimostrato». Ci saranno anche molto presto le elezioni in Iraq... «Ah sì, l'Iraq. Anarchia con elezioni, ecco cos'è la democrazia importata con la guerra a Bagdad». Nella complessa scacchiera mediorientale, la cui politica è seconda per astruseria solo a quella italiana, il figlio del mitico Kamal che morì in una trappola dei siriani ha spesso giocato un ruolo di primo piano. Relazioni con Mosca e Washington, visite a Pechino, una stretta amicizia con Craxi ed Andreotti, ma anche con il pei di Berlinguer prima, e di Natta poi. Erano i tempi, quelli, in cui praticamente ogni anno al principe dei drusi riusciva di scampare ad un attentato dei siriani. Finita la guerra, il Libano sta riprovando ad essere un'isola democratica dove possono anche fiorire i mighori affari del mondo. Ma tra affari {benzina, e un magnifico blanc de blanc coltivato nella valle della Bekaa, e «che per fortuna piace tanto ai francesi») e molta politica, essendo Walid Jumblatt signore feudale di trecentodnquantamìla anime, l'aura di eroe romantico che avvolgeva uno degli ex signori della guerra in Memo Oriente s'è vistosamente appannata. Ma Walid resta il leader del Partito progressista socialista. Ed è a Roma per vedere il cardinal Sodano, segretario di Stato vaticano, e il ministro degli Esteri monsignor Lajolo. Una strateg|ia di contrattacco, spiega, a dieci anni esatti dal suo incontro con Wojtyla, perché Beshir Assad «è già stato qui a Roma, in Vaticano». L'incontro con Jumblatt è sta¬ to tenuto segreto. Ma fonti della Segreteria di Stato assiemano che è stato «lungo, molto cordiale e molto poco protocollare», com'è presumibile, trattandosi di Jumblatt. Il Vaticano, «segue con grande attenzione l'evoluzione della situazione politica in Medio Oriente, e in Libano in particolare». Sul perché, non c'è bisogno di disturbare fonti autorevoli: è bene per la stabilità della regione che il Libano resti e si rafforzi in quanto ìsola di democrazìa. Ma ì prodromi delle elezioni di maggio non sono tanto favorevoli: ì ventìnove deputati socialisti progressisti sono finiti all'opposizione, ritirati anche i tre ministri al governo, in segno di protesta contro un emendamento alla Costituzione che prolunga d'ufficio di tre anni il mandato al presidente Lahoud. Questo ritenuto uno stretto alleato del governo siriano, e dunque automaticamente nemico del capo dei drusi. «Siamo contro il potere che la Siria continua ad esercitare sul libano. Vogliamo il ritiro totale delle loro truppe dal nostro territorio», questo il principe druso ha detto in Vaticano. Questo ripeterà nei suoi incontri nel mondo. Non in Italia, per ora. «L'ultima volta che sono stato in questo albergo» dice distogliendo lo sguardo liquido ed indolente dai gabbiani che svolazzano sul panorama di Róma, «in quella poltrona davanti a me era seduto Bettino Craxi. Grande politica intemazionale, all'epoca, quella italiana. Adesso chi avete? Berlusconi?». 6t^ Si era chiesto "" anche al Raiss di usare la polizia e le forze militari contro HamaseAlAqsa.Non ha potuto. Non c'è riuscito perché ad un popolo bisogna consentire il benessere se si vogliono vincere le fazioni armate. Anche ora il problema resta lo stesso 99 I drusi: comunità etnico-religiosa islamica di 350.000 persone, concentrata nelle regioni montuose del Ubano e delia Siria meridionale. 1 membri delta comunità sono tenuti all'osservanza di precetti che comprendono prescrizioni etiche come l'obbligo all'assistenza vicendevole. Walid Jumblatt (a sin. in una foto recente) pur sostenendo i palestinesi aveva un rapporto confi ittualecon Yasser Arafat Walid Jumblatt, leader dei drusi libanesi, figlio del leader assassinato Kamal Jumblatt, presidente del ps progressista, più volte ministro. Uno dei più esperti poiitici del Medio Oriente, profondo conoscitore degli Usa, dell'Occidente. Relazioni con Mosca eWashington, visitea Pechino, una stretta amicizia con Craxi ed Andreotti, ma anche con il pei di Berlinguer prima, e di Natta pòi. IL PERSONAGGIO IL PE^3