imDosto il velo a scuola di Giuseppe Zaccaria

imDosto il velo a scuola COME VIVE LA MINORANZA RELIGIOSA UN TEMPO PROTETTA DATAREK AZIZ imDosto il velo a scuola Le famiglie tentano di lasciare il Paese dall'agosto scorso, quando una serie di attentati hanno colpito le chiese alla periferia della capitale retroscena Giuseppe Zaccaria BAGHDAD FINO ad oggi in Iraq gli attacchi alla minoranza cristiana hanno seguito un andamento asincrono rispetto al ciclico riawampare delle violenze, quasi a rimarcare l'assoluta marginalità in cui i cattolici di rito siriaco, caldeo, armeno e melchita sono sprofondati dopo la fine del regime baathista e soprattutto del loro grande sponsor, Tareq Aziz. Nei rari momenti in cui s'attenuavano le campagne di aggressione contro la polizia, la guardia nazionale o le basi della coalizione gli attentati contro esponenti del clero o soprattutto chiese hanno ricordato ai cristiani di Mesopotamia che nel futuro dell'Iraq difficilmente ci sarà spazio per loro. Oggi anche la tempistica sembra cambiata. Fino a quando Tareq Aziz aveva mantenuto nel regime una posizione di preminenza e fino a quando il suo «clan» deteneva ancora una posizione di potere - con una certa influenza sui traffici di petrolio dal Kurdistan e sugli approvvigionamenti clandestini ottenuti da aziende italiane, francesi e spagnole - i circa 700 mila cristiam del Paese, più della metà del quali concentrati a Baghdad, avevano goduto di una sorta di extraterritorialità. Dopo la prima guerra del Golfo l'Iraq di Saddam Hussein aveva progressivamente abbandonato il laicismo originario per virare verso una solidarietà islamica alquanto di maniera però ai cristiam era stato concesso di proseguire le attività abituali, prima fra tutte le vendita di alcolici. Poi lentamente, con l'invasione americana di due anni fa ed il tracollo di qualsiasi struttura, anche gli spazi lasciati alla minoranza cattolica hanno preso a restringersi. I primi attentati si svolsero sunito dopo la caduta del regime: a Sadr City, la Soweto di Baghdad, la popolazione veniva colpita e nei grandi centri del sud, Bassora in primo luogo, i negozi di alcolici saltavano in aria uno dopo l'altro. Pochi mesi dopo ebbe inizio anche la silenziosa migrazione dalla capitale. A Baghdad la minoranza cattolica si raccoglie soprattutto nel quartiere semi periferico di Al Majida e le famiglie caldee cominciarono ad abbandonare ima dopo l'altra le villette della zona. Proprio in quei giorni un commerciante di nome Georguis Polus ci accolse nella sua casa mentre di fuori un camion caricava sul cassone le ultime cose. «I tempi della convivenza sono finiti», preconizzava l'uomo che ci raccontò anche di guella catena di piccole e grandi violenze che stavano suggerendo ai cristiani di emigrare verso Nord. Polus aveva due fighe che aveva dovuto ritirare da scuola: prima era stato loro imposto di indossare il velo, cosa che le ragazze rifiutavano di fare, poi una serie di ceffi le avevano minacciate di rapimento. Altre ragazze cattoliche erano sparite senza lasciare traccia e dunque dinanzi al ricatto familiare, alla mancanza di lavoro ed al progressivo isolamento la decisione di andarsene era parsa la più saggia. Fino a quel momento però la migrazione dei cattohci era avvenuta quasi alla chetichella, dall'agosto dello scorso anno una catena di attentati alle chiese la rese massiccia. La sera di domenica primo agosto, sei autobomba esplosero all'ora dal vespro contro altrettante chiese cristiane, quattro delle quali a Baghdad e le altre a Mossul. La scelta degli obiettivi rispondeva ad una logica precisa, i cristiani che lasciavano la capitale si dirigevano proprio nei villaggi che circondano Mossul, dove la chiesa apostolica romana è presente da secoli. Quel giorno i morti furono ima quindicina, il patriarca Emmanuel Delly ed il vescovo di Baghdad, Warduni, dovettero affrontare gruppi di cattohci inferociti che chiedevano alle gerarchie aiuto, se non protezione. Anche il nunzio apostolico intervenne per calmare il timore dei fedeli e qualche settimana dopo, in occasione del primo lungo assedio delle truppe amencane a Falluja, la chiesa caldea dell'Iraq fu la prima a mandare due camion di aiuti alla popolazione civile, con questo dimostrando ima chiara volontà di collaborazione e convivenza. Da quel momento però la situazione dei fedeli e le loro condizioni economiche non sono per nulla migliorate: da un lato, probabilmente il Vaticano ritiene pericoloso intervenire massicciamente con sostegni ed aiuti a favore dei cattohci in ima regione in cui il confronto con l'Islam è cosi rovente; da un altro verso, le comunità si sono notevolmente impoverite e non sembrano più in grado di praticare forme di solidarietà un tempo molto forti. Qualche che sia il futuro che si disegnerà con le imminenti elezioni, questo sarà un futuro a maggioranza sciita e la circostanza certamente non aiuta i cristiani della Mesopotamia. Da qualche mese ormai le famiglie caldee, siriache, melchite chiedono alla gerarchie ecclesiastiche non più aiuti ma visti di espatrio, la diaspora dei ' cattohci si dirige principalmente verso il Canada, dove già esistono comunità provenienti dall'Iraq ma sta cercando sbocchi anche in Italia. Il rapimento di ieri sembra avere anche significati più contingenti, legati esattamente quelle consultazioni che il terrorismo sunnita tenta di impedire ad ogni costo. Nell'area di Mossul la presenza cristiana infittendosi sta modificando gli equilibri ed in particolare gh esuli da Baghad adesso appartengono a quella minoranza che vuole recarsi a votare, non tanto perché creda ad un futuro di democrazia ma perché è convinta che solo un esponente cristiano in posizione di potere potrà salvare tutti gli altri.

Persone citate: Emmanuel Delly, Saddam Hussein, Sadr City, Soweto, Tareq Aziz, Warduni