Il sogno di mio papà: vivere a Torino

Il sogno di mio papà: vivere a Torino Il sogno di mio papà: vivere a Torino Arrivò in città nel 1911 dalla Lomellina e ne fu incantato Fu assunto come «Nino», conducente di omnibus a cavalli «Li A prima volta che Giuseppe vide Torino - racI conta Valentina Scandalitta di Nichelino - fu nella primavera del 1911. Dalla sua Lomellina era venuto a visitare con alcuni amici l'Esposizione internazionale delle industrie e del lavoro. Torino lo aveva affascinato per le vie diritte, i bei palazzi, i vidi, i portici e il bellissimo parco del Valentino. Lo incantarono le fantasmagoriche costruzioni dei padiglioni allestiti in riva al Po che rappresentavano con stili appropriati i vari Stati. Ammirava l'eleganza della gente che festante passeggiava tra i vialetti dell'esposizione. Un desiderio vivissimo cominciò a farsi strada nel suo cuore e diventò il sogno della sua gioventù: vivere per sempre a Torino. Milano era più vicina al suo paese ma chiese a suo padre il permesso di trasferirsi nel capoluogo piemontese. Dalla piccola frazione di Rivoltella (Rosasco) giunse a Torino in un giorno del mese di agosto. La città era tutto un fenomeno di scienza, di cultura, di commercio e d'arte. L'industria faceva presagire un futuro di grande benessere, Giuseppe intraprendente e ottimista anelava a un miglioramento della propria vita e lasciò senza rimpianto la risaia, il clima brumoso a lui insalubre per i . reumi di cui soffriva. Arrivò con una valigetta di legno stipata di maghe di lana confezionate da sua madre, due camice, qualche paio di calze e poche altre cose. Il rasoio con il manico d'osso intarsiato donatogli dal padre, un unico vestito, un soprabito, la bombetta e il bastoncino stile Charlot che si era comprato in un giomo di euforia. Si sistemò provvisoriamente in una camera ammobiliata, ma presto affittò due stanzette con un amico; sapeva cucinare e badare alla casa avendo sempre aiutato sua madre. Non aveva frequentato che la terza elementare, avido di lettura e aiutato dal suo parroco durante la convalescenza da una brutta pleurite si era erudito in tanti ai-gomenti e leggeva perfettamente il latino. In confronto alla media scolastica di allora era come se avesse frequentato almeno le scuole medie. Erano gh anni della grande emigrazione per l'America del Nord e del Sud, ma Giuseppe aveva già compaesani assunti dalla Soc. Belga di trasporti urbani, così venne assunto a guidare gh omnibus, tram a cavalli, e diventò un "Nino". Così i torinesi avevano soprannominato i cocchieri delle vetture pubbliche perché spesso i cavalli avevano nome Nino ed erano incitati con la frase "ale Nino!". Non era facile guidare la carrozza pubblica nel brulicare della città, dove carri, carretti a mano, carrozze, passanti e le prime sbuffanti e puzzolenti autovetture intasavano le strade acciottolate, ma Giuseppe presto si ambientò e divenne un esperto guidatore. AUa sua mamma, alla quale era affezionatissimo, scriveva delle sue giornate di lavoro in tono entusiasta, descriveva i pochi svaghi che poteva permettersi: qualche operetta, il teatro di prosa, le visite alle bellissime chiese di Torino e le passeggiate al Valentino. Aveva una voce tenorile e cantava le belle romanze che gh organetti divulgavano . per le strade. Il percorso delle carrozze che guidava era quello delle vie principali. Via Roma, Via Garibaldi, Via Po, ecc., in un traffico che era caotico specialmente in inverno. La Società Belga venne assorbita dall'ATM. e i conduttori vennero assunti come bigliettai; in seguito, con concorsi appropriati, molti di essi guidarono i tram elettrici e i primi filobus di Torino, tra questi vi fu Giuseppe. Sulle vetture soffrì il freddo perché i primi tram non avevano porte, si comprò dei guanti senza dita che si chiamavano mitene e patì molto anche per i geloni alle orecchie. La rete si era allungata e Giuseppe guidava un filobus che dal centro portava fino all'estrema periferia e a Nichelino. C'era però in lui il rimpianto del cavallo: le pariglie caratteristiche che tanto lo avevano entusiasmato ormai erano solo un ricordo, ma il nome Nino rimase e solo pochi anni prima della Seconda guerra mondiale i tramvieri lo persero. Giuseppe era il mio amatissimo papà, in un vecchio giornale ho ritrovato questa foto che forse risale ai primi del '900 e mi sono rammentata del nome Nino. E' forse una piccola storia di Torino che pochi ricordano, ma è sempre parte di un tempo che è bene non dimenticare». Primi del Novecento. Un tram a cavalli in piazza Castello, sotto un'abbondante nevicata

Persone citate: Rivoltella, Valentina Scandalitta