AUDITEL L'Italia allo specchio di Fabrizio Rondolino

AUDITEL L'Italia allo specchio GIUDICE IMPARZIALE Q TRIBUNALE Pi PARTE? AUDITEL L'Italia allo specchio analisi Fabrizio Rondolino IL Parlamento, si diceva un tempo, è lo specchio del Paese: erano gli anni della proporzionale, dei partiti e della Prima repubblica. In quei tempi le crisi erano continue ma i sommovimenti minimi, ogni anno si rifaceva il governo ma per decenni non si cambiava la maggioranza, ci si appassionava alle campagne elettorali come se ogni volta fossero in gioco i destini dell'umanità e subito dopo si gioiva (o ci si disperava) per mezzo punto percentuale in più o in meno. Quel mondo non c'è più, sebbene siano in molti a rimpiangerlo e, qualche volta, a sforzarsi di ricondurlo in vita: ma ne esiste un altro assai simile, che gode di ottima salute - il magico, misterioso, terribile e gioioso mondo dell' Auditel, che ogni mattina ridisegna la mappa del potere televisivo (e dell'immaginario degh italiani) per resituircelo identico la sera, giorno dopo giorno e anno dopo anno. I trionfi di norma durano un giorno, e così le cadute, ma non per questo sono meno spettacolari e fragorosi, e il circo mediatico si nutre di cifre, dati e percentuali proprio come la Prima repubbhca si nutriva di pacchetti di tessere, elezioni amministrative parziali e congressi di corrente. L'Auditel ama gh italiani perché ne sa coghere un aspetto essenziale: quel misto di sensazionalismo e conservatorismo, di gusto per lo scandalo e ipocrisia benpensante che ci fa desiderare ogni giorno un'emozione forte, una «svolta» o una «crisi» e, contemporaneamente, la conferma che tutto è come prima. Cambiare tutto per non mutare nulla: l'Auditel è gattopardesca perché non procura mai veri scossoni, ma ogni giorno illumina il suo schermo di trionfi e tracolli di cartapesta, in un teatrino senza fine che, di nuovo, somiglia da vicino alla politica delle dichiarazioni incendiarie e delle dimissioni sempre minacciate e mai attuate. L'Italia ricambia l'amore che l'Auditel nutre per noi, e se ne appassiona con sempre crescente entusiasmo. Parole come «share» e «audience» appartengono oramai al gergo del bar Sport, come «trequartista» o «quarto uomo», e i commenti sugli ascolti della sera precedente, un tempo riservati ad una ristrettissima cerchia di addetti ai lavori, dilagano negli uffici e ai mercati, proprio come se si trattasse della Nazionale di calcio - e un tempo, forse, proprio-così si discuteva di Craxi e Andreotti e Berlinguer. Sono insomma quéi minimi spo- stamentipercentuah che appassionano tanto, che ci fanno sognare e litigare. Certo, accade a volte il «ribaltone», può cioè succedere che un programma ne sorpassi un altro, che un equilibrio che sembrava consolidato venga capovolto, che un leader che appariva indiscusso sia criticato e persino deposto. Sono cose che capitano: in politica, e nel mondo dell'Auditel. Emblematico lo scontro fra Bonolis e «Striscia», il sorpasso del primo e la lunga guerriglia della seconda, gli scambi di insulti e il ricorso ai trucchi più smaliziati per rosicchiare un punto, per frenare un calo, per consolidare un primato. Fino a che Ricci r proprio come Berlusconi, che all' indomani delle elezioni del '96 sostenne che gli elettori forse si erano sbagliati - non disse, più o meno, che l'Auditel è tutta un imbroglio e che i veri ascolti sono altri. D'accordo, ma quali? Il sistema di rilevamento dell' Auditel nasce in Italia nel 1984, ed è culturalmente figlio della televisione commerciale, dove non conta tanto IVindice di gradimento» di un programma, quanto la sua visibilità, la sua penetrazione, e insomma la sua quota (share, appunto) d'ascolto. La Rai, Mediaset e l'Upa (Utenti Pubblicità Associati, cioè gh inserzionisti) ne possiedono entrambi un terzo. E' dunque un giudice imparziale, almeno nelle intenzioni; ma è anche un tribunale di parte, perché sceglie un solo aspetto del fenomeno televisivo e del suo successo (il numero di spettatori) e ha un solo autentico committente: chi decide di spendere i propri soldi per farsi pubblicità in tv. Il punto, in ogni caso, non è la veridicità assoluta dell'Auditel, quanto la sua verosimiglianza relativa, e la sua credibilità. Finché gli spot si vendono sulla base degh ascolti, gh ascolti sono «veri» - punto, non si discute. Così la politica: quante discussioni sono state fatte, quanti anatemi sono stati lanciati sull'astensionismo, sulla disaffezione, sul crescere di schede bianche e nulle? Non si ragiona allo stesso modo quando si incolpa l'Auditel di non rappresentare à Paese televisivo e di ignorare quell'altro Paese che la tv non la guarda proprio? Eppure è sempre il Parlamento a fare le leggi anche se lo votasse, per assurdo, un solo italiano, così come è l'Auditel a fare i palinsesti anche se la gente magari fa (e vede) altro. D'altro canto, i sommovimenti che provoca sono nninimi anche quando appieno epocali: la vittoria netta di Bonohs su «Striscia» si è tradotta, per una sorta di fenomeno dei vasi comunicanti, in un paio di punti percentuah in più per il prime time di RaiUno, che sopravvanza dunque Canale 5. E' un risultato importante, ma del tutto contingente, come ben sanno gh strateghi dei due fronti, tant'è che le «Scimmiette» della Ventura un'altra regina degh ascolti a rischio detronizzazione - faticano a mantenere il primato Rai in quella fascia. Non solo: la grande spartizione dell'etere è di fatto consolidata e assai stabile: un 4507o alla Rai, altrettanto a Mediaset, e 0 resto alle tv locah e al satellite, che nel gergo politico della Prima repubbhca avremmo identificato come forze extraparlamentari o magari «esteme all'arco costituzionale». Il bipolarismo di fondo, insomma, è un dato di fatto, proprio come centrosinistra e centrodestra si dividono più o meno a metà l'elettorato, infischiandosene non senza ragione di chi non va a votare. Certo, le vittime dell'Auditel esistono. D'altronde, il popolo a volte ha bisogno di veder scorrere un po' di sangue. Sangue esemplare, simbolico, spettacolare. Non solo: che un sistema profondamente conservatore come l'Auditel sa trovare al proprio interno il rinnovamento e il ricambio necessari, ottenendo il massimo del risultato con il minimo del cambiamento. Così come la Democrazia cristiana ha saputo mandare in pensione Fanfani sostituendogli Zaccagnini senza per questo mutare in pressoché nulla la propria natura, allo stesso modo la caduta di Maurizio Costanzo, che deve lasciare un talk show di seconda serata che vale almeno quanto un ministero di prima fascia, e la sua probabile sostituzione con Enrico Mentana, non cambieranno radicalmente l'identità di Canale 5: sempheamente, la svecchieranno più o meno come fece Zac con lo Scudocrociato. La televisione, come la pohtica, preferisce il restyling al cambiamento radicale, la promozione-rimozione al licenziamento. E chi cade - altra intramontabile lezione che ci viene dalla Prima repubbhca - può sempre risalire, perché nessuno è mai veramente annientato e perché, come ama dire un grande leader de, «la ruota gira». E' tornato Andreotti un'infinità di volte: per dire, nel 1972 uscì di scena come capo di un governo di centrodestra che aveva il liberale Malagodi come vicepresidente, e vi rientrò quattro anni dopo come capo del governo che per la prima volta dal 1947 aveva il Pei nella maggioranza. Ed è tornato Pippo Baudo, sconfìtto dall'Auditel e da Costanzo (ma «la ruota gira», appunto) quand'era a Canale 5, e poi di nuovo inabissatosi a RaiUno, e infine riapparso con buon successo sugli schermi (per lui) improbabili di RaiTre, fra il «Blob» di Enrico Ghezzi e i notiziari di TeleKabul. A scorrere la top ten dell'anno scorso, resa nota ieri con l'enfasi che si riserva di sohto ai premi Nobel, non soltanto si scopre che i programmi, come i partiti, son sempre quelli, ma anche che gh equUibri di potere non mutano perché in qualche modo rispecchiano l'articolazione profonda della società. Vincitrice assoluta, con il 71,250Zo, una partita di calcio della Nazionale - che, proprio come il Quirinale, è al di sopra delle parti e riscuote il consenso di tutti. Seguono, pressoché a pari merito, i duellanti della stagione: «Affari tuoi» di Bonolis con il 45,890Zo e «Striscia» (che è andata in onda più a lungo) con il 45,720Zo. Sarà sicuramente un caso, ma le percentuah somigliano da vicino a quehe che Polo e Ulivo raccolgono nei vari sondaggi; e non è difficile vedere in Bonolis il volto rassicurante del conservatore che diverte prendendo in giro il povero senza mai offendere il ricco, e in Ricci il leader di una televisione graffiante, demistificante, sovversiva e salottiera. Insomma, destra e sinistra televisive. Che si rispecchiano in un altro pareggio: quello fra «Ehsa di Rivombrosa» (41,540zo) e «Paolo BorseUino» (41,950Zo), fra buoni sentimenti e impegno civile, fra fotoromanzo e reportage. L'equilibrio, insomma, è garantito, e il problema della governabilità è (quasi) sempre brillantemente risolto, in pohtica come in televisione. Il terremoto è sempre e soltanto metaforico: una volta con una crisi pilotata, un'altra con un rimpasto, un'altra ancora con un rinvio o magari con un incarico esplorativo, si trova sempre la risorsa tattica capace di arrivare al giorno dopo. Ogni «svolta» è in realtà un passo sul cammino della continuità: e nulla sembra essere più rassicurante che confermarsi neUe proprie convinzioni. Il mondo dell'Auditel riproduce l'Italia che voghamo veramente, e che esiste proprio perché la desideriamo così, perché così la rappresentiamo in televisione e perché così dalla televisione è rappresentata. H suo strapotere è soltanto apparente, e denunciarlo con sdegno fa parte del gioco: del resto, non sono mancati né mancano i partiti che convocano manifestazioni contro la partitocrazia o che promuovo referendum contro il finanziamento pubblico dei partiti. L'importante è che ciascuno abbia la propria quota: perché l'Auditel, direbbe Andreotti, logora chi non ce Iha. Parole come «share» e «audience» appartengono al gergo del bar Sport, come «trequartista» o «quarto uomo» E i commenti sugli ascolti della sera precedente, dilagano negli uffici e nei mercati, come se fosse la Nazionale di calcio Sili Bli l bdt'tt i Sd Silvio Berlusconi con la bandana quest'estate in Sardegna La televisione, come la politica, preferisce il restyling al cambiamento radicale, la promozione-rimozione al licenziamento E chi cade può sempre risalire Un sistema che sa cogliere un aspetto essenziale del Paese, un misto di sensazionalismo e di conservatorismo di gusto per lo scandalo e ipocrisia benpensante Maurizio Costanzo Simona Ventura uno dei volti simbolo della riscossa Rai con «L'isola dei famosi» adesso erede di Paolo Bonolis nel preseraie L'occhio del «Grande Fratello» Qui sopra il Tapiro di «Striscia la notizia»

Luoghi citati: Bonohs, Italia, Sardegna