In Asia un abbraccio fra tre fedi di fronte alla tragedia

In Asia un abbraccio fra tre fedi di fronte alla tragedia In Asia un abbraccio fra tre fedi di fronte alla tragedia Ad Aceh le moschee sono state il primo rifugio anche per i missionari cristiani. L'imam Bukhaimi: «Spero che questo avvertimento divino spinga tutti i musulmani a tornare sulla retta via indicata dal Corano» reportage Pierangelo Sapegno inviato a BANGKOK NON è l'America che cambia. Forse è solo il mondo che s'è fermato. Dalla base militare di Utapao, nel Nord della Thailandia, da dove partivano i B-52 per bombardare Hanoi durante la guerra del Vietnam, adesso gh americani coordinano gh aiuti nella regione dello tsunami, dallo Sri Tanlfa all'Indone sia, per spedire i Tir con la scritta Usaid bene in vista che portano i sacchi di riso, il cibo, i medicinali, e gh uomini in divisa, un esercito di 1 Smila soldati di cui 2200 marines che scendono dagh elicotteri con un pezzo di pane al posto del mitra, in giro fra le spiagge che non ci sono più, le case cancellate, i villaggi devastati, fra i morti accatastati e i vivi inebetiti, come se distribuissero anche religiosamente parole di amore e resurrezione. E da Banda Aceh, a Nord dell'isola di Sumatra, a meno di 150 chilometri dall'epicentro del terremoto che ha provocato l'onda anomala, dove oggi è arrivato Kofi Annan, l'imam Cut Bukhaimi tuona contro i fratelli musulmani, perché è colpa loro se il mare si è ribellato, e se «Allah è diventato furente perché la maggior parte di voi non obbedisce né alle leggi del Corano né agh scritti sulla vita del Profeta». I musulmani non devono più uccidere altri musulmani, urla ai fedeli in ginocchio. Parla di pace, come fanno gh americani che combattono in Iraq. In questi giorni, davanti ai cadaveri che puzzano sotto al cielo, fra le trincee scavate di fresco a Bang Muang, nel Sud della Thailandia, ai margini della strada provinciale che corre verso il mare, attorno ai lunghi fossati riempiti da file di sacchi di plastica lunghi due metri e anche la metà, perché è quel che basta per chiudere al mondo i suoi bambini, in questi giorni sembra quasi che sia la natura, e proprio la sua forza distruttrice, a chiedere la pace attraverso la morte. Non è neppure il mondo che cambia. Forse è davvero solo il cielo che s'è fermato, e adesso con il suo silenzio concede a tutti di mettersi insieme a pregare, e allo stadio di Phuket erano venuti da tutta la Thailandia mercoledì sera per rendere omaggio ai morti, i 1200 monaci con la tuta arancione e i crani rasati, seduti sulle gradinate di fronte aibuddisti, ai cristiani e ai musulmani assiepati sul tappeto verde, mischiati insieme da un abbraccio multicolore, religiosamente illuminato dai lampioni che pendevano sul campo gremito. «L'arancione e la luce sono lì per uccidere l'oscurità che ha vinto i cuori», diceva Tawaisak Yatisakko, un monaco di Bangkok. Nella Thailandia del dopo tsunami è come se la parola fosse tornata al Signore Supremo, quello che non distingue i ricchi dai poveri, e forse neppure i vivi dai morti, quello che hanno chiamato in tanti modi, nella storia e nei luoghi diversi, ma che alla fine riunisce tutti, come in quello stadio di Phuket, o nella regione di Aceh, una delle più colpite, dove i missionari erano in prima linea accanto agh imam più radicali e più infuocati, come se per una volta non ci fosse differenza davanti alla vio- lenza del mondo, e l'uomo fosse tornato a essere uno solo, inghiottito dalla rabbia del mare, né cristiano né musulmano, e neppure infedele. Nei villaggi di Aceh le moschee sono state il primo rifugio degh sfollati, e lì sono andati anche i missionari, mentre le autorità religiose coordinavano la distribuzione di ac¬ qua e di viveri, molto prima che potessero arrivare gh aiuti deUa politica nazionale. E mentre aiutava il suo popolo, l'imam Cut Bukhaimi diceva: «Spero che questo avvertimento spinga tutti i musulmani a tornare sulla retta via descritta dal Corano. Se così sarà. Dio tornerà a essere misericordioso e compassionevole». Ma i fedeli dovranno pentirsi, diceva: «Hanno dimenticato di pregare 5 volte al giorno, si sono concentrati più sui guadagni materiali che sui doveri religiosi». Davanti a queste lacrime religiose, davanti al potere di Dio, qualsiasi Dio, di fronte alla morte, anche gh americani cambiano strategia mostrando il loro volto cristiano, compassionevole, esibendo la parola del Signore, la sua mano tesa. Ibrabim Hooper, del Consiglio deUe relazioni americano-islamiche, sostiene che (da nostra risposta a questo disastro mondiale può avere un po' dappertutto nel mondo un impatto profondo sulla percezione delle politiche statunitensi. La gente vede gli elicotteri americani portare i viveri e i medicinah alle popolazioni isolate. Nessun altro lo fa o lo può fare come noi». Hanno portato una potenza militare dentro alle devastazioni dello tsunami. Ma questa volta è una potenza che viene pietosamente nel nome del Signore, che parla in fondo la stessa lingua di Cut Bukhaimi e Tawaisak Yatisakko. La portaerei Abraham Lincoln con 19 elicotteri e la sua squadra composta da quattro navi è ancorata al largo del Nord di Sumatra da venerdì 31 dicembre. Un secondo gruppo, composto dal portaelicotteri Bonbomme Richard e da sette navi di sostegno, si trova da martedì fra la Malaysia e la costa orientale di Sumatra. Trasporta 24 elicotteri. Un terzo gruppo di sei navi da trasporto, che portano 340mila litri d'acqua e sono capaci di produrne molte mighaia di litri al giorno, ha appena lasciato la Corea del Sud e si dirige verso la regione. Da San Diego, California, dovrebbe arrivare ima nave ospedale, il Mercy, capace di mille letti. La flotta comprende poi 16 aerei cargo CI30,9 apparecchi di ricognizione P3, quattro KC135, e 46 elicotteri die diventeranno presto 90, senza contare gli aerei imbarcati sulla Abramo Lincoln. Si tratta della più importante missione militare in Asia dai tempi della guerra del Vietnam. Ma non è solo ima missione umanitaria. E' politica e religiosa insieme, come si conviene in questo angolo di mondo dove c'è voluta una deUe più grande tragedie della natura per abbracciare una volta tanto gh dei e i loro fedeh. Proprio in questi giorni, il Los Angeles Times scrive: «Un massiccio aiuto americano all' Asia del Sud costerà solo una minima parte dei 225 miliardi di dollari che è costata fino a oggi la guerra in Iraq. E sarà sicuramente un investimento molto più utile nella guerra al terrorismo». Sarà vero? Sta di fatto che sempre in questi giorni, nella regione di Aceh, che è l'area geografica più islamica di tutta l'Indonesia (oltre il 98 per cento della popolazione è di religione musulmana), gli imam hanno tuonato contro «i musulmani che continuano a uccidere gh altri musulmani». Lo tsunami ha punito il loro peccato. L'dea che gh integralisti islamici possano aver alimentato la collera divina è quasi rivoluzionaria. Certo, per quel che vale e per il tempo che dura. Il governo centrale avrà un motivo in più per inasprire la sharia, e altre battaglie verranno e l'Iraq non si può cancellare. Non è che si annuncino giorni migliori. E' solo che in questi giorni il tempo è come se si fosse fermato. E' un respiro che vale la pena di sentire, alzando gh occhi dai morti e dal dolore di quelli che h piangono. Così, per sperare. Nient'altro che il minuto di una preghiera recitata tutti insieme, una volta tanto. IL MOSAICO DELLE RELIGIONI LE COMPONENTI NEt;D^ERSI PAESI COLPITI DAL MAREMOTO - Dati in 0Zo ^ . ,- ' *9m .Un militare americano cala sacchi di cibo da.Mn elicotterpjnun villaggio di Sumatra colpito dal maremoto Monaci buddhisti fanno offerte in denaro per le vittime dello tsunami al tempio diJokhang nella capitale del Tibet