«Educare la gente a riconoscere i maremoti» di Maurizio Molinari

«Educare la gente a riconoscere i maremoti» IL DIRETTORE DEL MAGGIOR CENTRO DI OSSERVAZIONE DEL MONDO A HILO HILO, NELLE HAWAII «Educare la gente a riconoscere i maremoti» Walter Dudley: lezioni nelle scuole, cartelloni sulle spiagge Intervista Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK IL centro di studi sugli tsunami di Hilo Hilo, nelle Hawaii, è il maggiore punto di osservazione dei maremoti del pianeta. E' da qui che partono gli allarmi ed è qui che si accumulano dati e grafici. Fra i più noti esperti del terrificante fenomeno marino c'è Walter Dudley, direttore a Hilo Hilo del Kalakaua Marine Education Center e autore di «Tsunami», un libro pubblicato anni fa in Italia dall'editore Piemme. Di fronte a quanto avvenuto nell'Asia del Sud Dudley avverte che «ovunque, anche nel Mediterraneo, vi sono rischi» e propone come contromisura non solo il sistema di allarme globale invocato dalle Nazioni Unite ma educazione nelle scuole e sulle spiagge, affinché si sappiano riconoscere subito i «sintomi» dei maremoti. Come funziona il sistema d'allarme che protegge la costa occidentale degli Stati Uniti? «E' basato sul sistema di rilevamento dei terremoti. Quando si riscontra che un terremoto ha magnitudine 7, e quindi può generare uno tsunami, si monitorizza con delle sonde il movimento delle onde nella zona attorno all'epicentro, ma ciò che più serve sono le sonde sottomarine. Gli Stati Uniti hanno sei sonde e anche Giappone e Cile ne possiedono alcune. Stando sul fondo degli oceani monitorizzano tutte le onde che gli passano sopra». E' un sistema che funziona? «Sì, è diventato molto efficiente negli ultimi dieci anni. Prima di allora ogni quattri tsunami tre erano di dimensioni troppo piccole per essere rilevati. Adesso le nuove sonde e la mighore qualità delle comunicazioni, unita all'uso dei computer, garantisce l'allarme sui piccoh tsunami». Potrebbe funzionare anche nell'Oceano Indiano? ((Assolutamente sì. Gli tsunami si generano in tutto il mondo e ovunque possono essere monitorati allo stesso modo». Quanto costerebbe creare un sistema di monitoraggio nell'Oceano Indiano? «Con esattezza non posso dirlo, ma sarebbe certamente meno costoso rispetto a dieci anni fa. La nuova tecnologia ha abbassato i prezzi di molto». Che cosa manca tecnicamente a Indonesia, India, Birmania, Thailandia e Sri Lanka? «Hanno già il monitoraggio dei terremoti, ciò che 'gli manca sono le sonde sottomarine e il sistema di comunicazione per gestirle, per raccogliere i dati». Ma se serve un sistema d'allerta nell'Oceano Indiano perché non anche nell' Oceano Atlantico? «Il motivo per cui c'è nel Pacifico è che qui gli tsunami sono più frequenti, ma il sistema di allerta deve essere globale. Serve ovunque, anche nell'Atlantico, perché ciò che è avvenuto nell'Asia del Sud dimostra che una catastrofe è più letale quando arriva dove nessuno se la aspetta». Alcuni studiosi hanno ipotizzato lo scenario di uno tsunami originato da un vulcano delle Canàrie capace di raggiungere New York e le coste atlantiche dell'Europa. Può davvero avvenire? «Gli studi sulle Canarie non sono completi, lo scenario è remoto. Sappiamo però che i Caraibi hanno subito più tsunami in passato, così come avvenuto per il Mediterraneo». Tsunami nel Mediterraneo? ((Ai tempi dell'Antica Roma ve ne furono che colpirono l'Italia e la Grecia, non furono catastrofici solo perché all'epoca le coste non erano molto popolate. Uno tsunami nel Mediterraneo non si può escludere a priori, potrebbe originarsi da terremoti sottomarini come fu all'epoca». Vi sono altri scenari di disastri che possono colpire l'Europa? «C'è il precedente che risale al 1755, quando un terremoto nell'Atlantico causò gravi Hanni in Marocco e Portogallo e portò le onde fino ai Caraibi, toccando anche le coste del Nord America che non erano però molto popolate. Bisogna tener presente che il terremoto è solo ima delle cause che possono produrre gli tsunami. Un'altra sono le valanghe. E' successo in passato nei fiordi norvegesi. In tempi preistorici un gigantesco tsunami si originò in Norvegia e investì la Scozia. Vi sono poi i vulcani che esplodono, come avvenuto nel 1883 in Indonesia con il Krakatoa. Il Mar Mediterraneo è pieno di vulcani». Crede all'ipotesi che lo scioglimento dei ghiacciai causato dal surriscaldamento del clima possa provocare inondazioni come quelle portate sul grande schermo da «The Day After Tomorrow»? «Il surriscaldamento del clima favorisce gli tsunami poiché alza il livello dei mari e dunque rende le isole più vulnerabili». Birmania, Isole Seychelles e la base militare di Diego Garcia denunciano danni minimi. Come si spiega che le onde-killer li abbiano risparmiati? «Nel 1960 il Cile fu colpito da uno tsunami di grandi proporzioni ma la Polinesia francese fu salvata dalla barriera corallina, come in questa occasione forse è avvenuto alle Seychelles e a Diego Garcia. Diverso il caso della Bii aania, dove è ragionevole pensare che il governo stia nascondendo cosa è successo davvero». Quali sono le lezioni che ha tratto dallo tsunami che ha colpito l'Asia del Sud? «Era ampiamente prevedibile, per impedire il ripetersi di tali disastri bisogna investire in comunicazioni e in educazione. Il sistema di allerta globale consentirebbe ai governi di intervenire, ma è l'educazione il rimedio-base da promuovere nel lungo termine. Se la gente avesse saputo riconoscere i "sintomi" di cosa stava avvenendo si sarebbero salvate migliaia di persone. Quando l'oceano si è ritirato molti non hanno capito, nessuno gli aveva mai spiegato nulla. Per educazione intendo non solo lezioni nelle scuole, programmi intemazionali, ma anche semphci cartelloni o volantini illustrativi sulle spiagge». Un'immagine ripresa dall'aereo della devastazione a Banda Aceh, in Indonesia

Persone citate: Banda Aceh, Diego Garcia, Walter Dudley