«Serve un sistema mondiale di prevenzione» di Giacomo Galeazzi

«Serve un sistema mondiale di prevenzione» IL RESPONSABILE DELLA PROTEZIONE CIVILE «Serve un sistema mondiale di prevenzione» Bertolaso: «Dobbiamo imparare subito la lezione di questa catastrofe» intervista Giacomo Galeazzi ROMA «Ospedali da campo, team di medici, centinaia di tende d'emergenza, aerei per trasportare cibo e farmaci, attrezzature sanitarie trasportate dai 707 dell'Aeronautica militare. Il nostro è uno sforzo enorme, una massiccia mobilitazione di uomini e mezzi a sostegno delle popolazioni maggiormente colpite. In queste ore stiamo ultimando il secondo centro di accoglienza sulla costa nordorientale dello Sri Lanka, controllata dai guerriglieri Tamil. Nessuno laggiù sta facendo tanto: la nostra è l'unica presenza straniera nella zona maggiormente devastata dal maremoto». All'unità di crisi della Farnesina il capo del dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso fa il punto. Tra ponti aerei e campagne di assistenza medica finora sono stati spesi 70 milioni di euro di aiuti. E' una cifra sufficiente? «Le dimensioni della catastrofe sono tali da richiedere uno sforzo fuori dall'ordinario e l'Italia è impegnata in prima linea nei soccorsi. Rispondiamo concretamente agli appelli alla solidarietà del Papa e del presidente Ciampi, lavoriamo senza sosta, in totale e silenziosa dedizione. Per noi ciò che conta sono i fatti. Ringrazio gli italiani per la straordinaria voglia e capacità di solidarietà di cui stanno dando prova. Sentiamo la tremenda responsabilità di fare sì che tutti i fondi che si stanno raccogliendo in Italia siano usati nel modo migliore: nel modo più efficace e con il massimo di trasparenza. Intanto il ponte aereo si è praticamente concluso: i turisti italiani individuati sono tornati tutti, quelli che volevano tornare. E sono già stati rimpatriati anche numerosi feriti. L'impegno dell'Itaba e della Protezione Civile nel sudest asiatico, però, continua, alla ricerca del maggior numero dei circa seicento connazionali che ancora mancano all'appello ma pure negli aiuti a quelle popolazioni alle quali tuttora manca quasi tutto. E c'è ancora bisogno di tutto: dai viveri, ai cibi, ai medicinali, all'assistenza. Altri due Canadair italiani sono arrivati nelle zone colpite per favorire ricerche ed aiuti». Si può parlare di colpe nella sciagura? «Non si tratta della sconfitta della scienza, come sostiene qualcuno perché in Giappone o alle Hawaii sono in grado di giocare d'anticipo rispetto ai danni provocati dagli tsunami, semmai è una disfatta della politica intemazionale. Nell'area devastata, infatti, non esistono sistemi di previsione e allerta per disastri simib e ciò rappresenta ima misura del sottosviluppo di quelle nazioni. Ho lavorato per vent'anni nel Terzo mondo e conosco la fragilità di quelle terre. Questa è stata la più grossa catastrofe della nostra storia, con migliaia di vittime anche occidentali. Sfruttiamola per imparare a investire nella prevenzione per tutti i paesi, perché tanto noi stiamo dappertutto e quindi possiamo sempre essere coinvolti da qualche vicenda drammatica». E i dispersi? «L'arretratezza degli stati colpiti e la conseguente difficoltà di mettersi in contatto con l'Italia tiene in vita le ultime speranze di ritrovare in vita molti nostri dispersi. Dopo l'Epifania saran¬ no solo gli strumentidiidentifi-. cazione del Dna a fornirci il reale bilancio delle vittime. Stiamo verificando villaggio per villaggio l'eventuale presenza di italiani e le condizioni della popolazione. Una presenza che non possiamo escludere. Anche la situazione degli aiuti risente delle difficoltà di comunicazione e di collegamento, specie nelle isole. I pescatori locali, giustamente, evitano di mettersi in mare, quindi q diffieDe trovare mezzi per atoavers^re gli arcipelaghi e molti,villaggi sono irraggiungibili a causa dello sbriciolamento delle strade. Perciò la localizzazioùe delle , persone ancora dispèise a un compito improbo». ; ' .'V, ^ 1 .' Quanto conta il filo-diretto l tra i paesi ricchi e le zone devastate dal cataclisma? «E' decisivo. Dal punto di vista umanitario parliamo di zone con altissima densità di popolazione. Questi paesi sono totalmente impreparati a gestire ima situazione del genere. Mancano sistemi di allarme e gestione e qualsiasi tipo di sanità locale. Il rischio più grave è ora il diffondersi di epidemie. Ci sono migbaia di cadaveri sparsi lungo gli 8mila chilometri di costa colpita dal maremoto. Fare bilanci resta molto difficile, ci sono molte zone che non sono coperte dalle comunicazioni, in alcuni aeroporti, come quello di Male alle Maldive, è mancata per giorni l'assistenza radio e i piloti faticavano ad individuarlo. Finora ci siamo divisi fra Colombo, Phuket e Male . Nel¬ l'isola di Phuket in Thailandia, poco distante dall'epicentro, circa 1.500 chilometri, e orientata verso oriente era un punto critico, il 26 dicembre, con il fuso orario la gente era in piedi già da 2 ore prima del sisma, in barca o in immersione subacquea, senza sentire quindi il terremoto e soccombendo all'onda anomala arrivata un'ora dopo. Eppure adesso possiamo smantellare il nostro centro sanitario perché le condizioni lo consentono. E' un segnale incoraggiante che rincuora la nostra azione e ci consente di ridistribuire le forze dove c'è ancora estremo bisogno, come nel nordest dello Sri Lanka». ééSl sta "™ ultimando il secondo centro di accoglienza sulla costa nordorientale dello Sri Lanka controllata dai guerriglieri tamil, è l'unica presenza straniera nell'afe? più sconvolta Cfe ancóra bisogno di viveri; medicine e assistenza 99 !7' i M /filli Nell'ospedale di Phuket uno dei feriti italiani piange davanti alle foto dei dispersi

Persone citate: Bertolaso, Ciampi, Guido Bertolaso

Luoghi citati: Giappone, Hawaii, Italia, Maldive, Male, Roma, Thailandia