Se la coppia va in pezzi la colpa è del mobbing di Maria Corbi

Se la coppia va in pezzi la colpa è del mobbing RECORD NELLE CAUSE DI SEPARAZIONE Se la coppia va in pezzi la colpa è del mobbing Sempre più numerosi i matrimoni distrutti da episodi di terrorismo psicologico «Le vittime non sono soltanto le donne, ormai a pagare sono anche gli uomini» Maria Corbi ROMA Laura va dall'avvocato per separarsi e si sente dire: «Ci sono gli estremi per addebitare la separazione a suo marito, colpevole di averla resa vittima di mobbing familiare». Laura non aveva mai sentito questa parola e scopre così che l'atteggiamento da «padre-padrone» di suo marito, quel suo modo arrogante di dirle continuamente davanti a tutti gli amici «zitta tu, che non capisci niente», di farla sentire sempre inadeguata, inutile, trasparente, era adesso motivo per chiedergli non solo la separazione ma anche i danni. Una storia come tante: basta interrogare un avvocato divorzista per scoprire che nelle cause di separazione ormai il concetto di mobbing familiare è usato quotidianamente. Si azzarda che oltre il 60% delle separazioni abbia a che fare con questo tipo di causa, per iniziativa sia della donna che dell'uomo. Un fenomeno sempre più diffuso, che sarà approfondito in un convegno a Roma nel prossimo febbraio. E' ormai qualche tempo che la magistratura si trova a prendere decisioni di merito per un «reato» non ancora riconosciuto dalla legge. La prima comparsa del termine in un aula giudiziaria risale a quattro anni fa, quando, nel 2000, la Corte di appello di Torino ha addebitato la separazione a un marito, giudicato «moralmente aggressivo». Un caso ricordato, insieme con molti altri, nel libro «Calci nel cuore» (SperlingSKupfer editori) di Annamaria Bernadini de Pace, avvocatessa milanese di molti divorzi vip. Ma se è vero che ci sono più vittime-donne di soprusi psicologici, è anche vero che il mobbing familiare non riguarda solo loro. Ormai anche molti uomini devono sopportare quotidianamente comportamenti opprimenti, destabilizzanti, frustranti, dalle loro compagne. E potrebbero protestare il loro «danno» davanti a un giudice. Torniamo al termine «mobbing», rubato all'etologia (dal comportamento in branco), e applicato prima nel campo del lavoro e adesso al contesto familiare. In Italia il mobbing è arrivato negli Anni '90 con Haraid Ege, che lo ha descritto come una forma di terrore psicologico messo in atto nell'ambiente di lavoro, mediante comportamenti aggressivi e vessatori ripetuti per almeno sei mesi, da parte dei colleghi o dei superiori nei confronti di una vittima designata. Quando ad agire «crudelmente» è invece il coniuge, ecco che abbiamo il mobbing familiare. Di recente ci sono stati studi e ricerche, come quelli dell'Osservatorio permanente interassociativo sulla famiglia e minori dell'Istituto degli studi giuridici superiori e appare chiaro come vada contestualizzato questo comportamento, che trascende la conflittualità coniugale. Si deve infatti parlare di guerra psicologica, dove marito e moglie interpretano due ruoli distinti: vittima e carnefice. Ruoli che all'esterno possono anche apparire ribaltati. E' una delle armi del «mobber» fare apparire, e sentire, l'altro perennemente come colpevole. L'obiettivo è sempre determinato e può essere quello di spingere l'altro ad abbandonare la casa, oppure a non abbandonarla, oppure quello di tenerlo in un recinto in cui poterlo controllare, esercitando un sadico potere. In genere la strategia è costituita da atteggiamenti offensivi e insultanti, provocazioni sistematiche, rifiuto di qualsiasi forma di cooperazione. Comportamenti che minano l'autostima della vittima, che finisce per vedersi esattamente come il coniuge «mobber» lo ha disegnato. «La vittima - spiega Annamaria Bernardini de Pace nel suo libro - nella relazione di dipendenza malata, ha fatto propria l'identità negativa che l'aggressore le ha inculcato nella mente: si sente veramente incapace, inadeguata, brutta. Sente di meritare, in fondo, quello che le è stato fatto e, soprattutto, è convinta di non avere alternative se non ritornare rassegnata nella sua prigione». Dopo i luoghi di lavoro, ètra le mura di casa che il mobbing si manifesta in modo più accentuato

Persone citate: Annamaria Bernadini De Pace, Annamaria Bernardini De Pace

Luoghi citati: Italia, Roma, Torino