Rumi alla Rai in cerca di coraggio

Rumi alla Rai in cerca di coraggio Rumi alla Rai in cerca di coraggio Filippo Ceciarelli OH povero me! - esclamava don Abbondio: - oh che gente! che cuori! Non c'è carità: ognun pensa a sé; e a me nessun vuol pensare...» {Promessi sposi, cap. XXIX). «Oh mamma mia - esclama il professor Giorgio Rumi - l'intrattenimento è un figliuolo che dà qualche brivido. Sono sempre in pena per le famiglie che guardano la tv il sabato o la domenica pomeriggio. Tutti quegli studi con il pubblico che urla, diviso in due fazioni...» (Repubblica, 14 dicembre). «Risoluto di fuggire, risoluto prima di tutti e più di tutti», don Abbondio cercava scampo da seccatori, nobilotti e soldataglia luterana riparandosi dietro Perpetua. Mentre il professor Rumi si sforza di resistere alla Rai delle Lecciso e del trash, delle continue censure e delle più scoperte manipolazioni continuando strenuamente a far parte del Consiglio d'amrninistrazione. Presto saranno due anni. Accettò la nomina nel marzo 2003 dichiarandosi «contento e pensoso». Ma da allora si può dire che l'illustre storico, designato a viale Mazzini con l'impegnativa qualifica di cattolico, vive in bilico sul cornicione del Palazzo (in vendita). E non c'è verso di farlo scendere, né di accoglierlo a pieno titolo nel disincantato e ormai residuale consiglio che all'ombra del direttore Cattaneo governa e sgoverna l'azienda. No: lui, Rumi, sta male così. E ci resta. «Con che spirito possiamo andare avanti?». Questo ragionevolmente cominciò a chiedersi dopo i primi quattro mesi di zuffe. Dimissioni, dunque. Macché: «Medito, da solo con la mia coscienza». Passano altri cinque mesi: altre risse, programmi sempre peggiori, altre sdegnose lamentazioni. Sembra la volta buona. Ma no: «Per ora taccio e preferisco pensare bene alle decisioni da prendere». Istruttivo, al riguardo, è il corpus delle dichiarazioni rese da Rumi all'Ansa: singolare testimonianza di garbata cautela post-democristiana applicata a una Rai preda degli appetiti commerciali e di potere. E quindi: «Bisogna vedere», «vorrei capire», «dipende», «sono perplesso», «chiederò un'analisi approfondita», «è bene non fare dietrologia», «ho qualche dubbio sull'opportunità», «servirebbe un guizzo», «mancano elementi di chiarificazione», «avrei sognato», «ci vorrebbe più senso di discrezione», «personalmente speravo», «dovrò pensarci bene». Ora, Rumi è uno studioso di vaglia, estraneo alle beghe politiche e una persona in buona fede. Ma proprio per questo non si capisce quale preziosa energia o misteriosa responsabilità lo mantengano soffertamente incollato a quella poltrona. Tanto più se si pensa che sulla base dei suoi stessi propositi, in mi festival del differimento prudenziale, il professore si sarebbe dovuto dimettere dopo l'approvazione della Gasparri, poi dopo la riapprovazione della medesima, quindi do- Eo la crisi che ha portato all'abandono dell'Annunziata e della formula di garanzia del «4 più 1» (quattro consiglieri alla maggioranza e il presidente all'opposizione), e ancora dopo le elezioni europee, e in ultimo dopo la fusione di Rai spa in Rai holding. Di rinvio in rinvio, nel frattempo, alla Rai è accaduto di tutto: Apicelli, Marzulli, taroccamenti vari, nomine incredibili, mamme di Cogne a go-go, isole dei famosi, umiliazioni di sconosciuti. Più le pressioni dei politici: «Un giorno ti dicono dimettiti - ha spiegato Rumi - l'altro giorno anche, il terzo invece resta. E l'amministratore ne rimane destabilizzato». Così va la Rai. Perché il richiamo del pavido don Abbondio sarà pure forzato e ingeneroso, ma dopo l'abrogazione della par condicio il professor Rumi avrà bisogno di molto coraggio per rimanere in bilico sul cornicione, indomita foglia di fico al vento di quello che non è più né servizio népubblico. ai

Persone citate: Cattaneo, Filippo Ceciarelli, Gasparri, Giorgio Rumi, Marzulli, Rumi

Luoghi citati: Cogne