Una patente a punti anche per ricevere i contributi europei

Una patente a punti anche per ricevere i contributi europei DE GUSTIBUS DiSPUTANDUM EST Una patente a punti anche per ricevere i contributi europei Carlo Petrìni NELL'ambito della riforma della Politica Agricola Comunitaria (Pac) le istituzioni nazionali, e di conseguenza quelle regionali là dove previsto, sono chiamate ad attuare i principi e le raccomandazioni espresse da Bruxelles promulgando leggi, decreti, regolamenti. Interessante è come queste direttive sono applicate. In politica agricola poi, facendo caso a ciò che non viene tenuto in conto, «dimenticato» rispetto alle idee originarie contenute nelle direttive, si capisce molto sulla situazione del nostro sistema produttivo del cibo. Ora, il 25 novembre la Conferenza Stato-Regioni ha approvato il testo del decreto che regolava i cosiddetti «eco-punti», o meglio la «condizionalità» di accorgimenti ecologici a cui devono attenersi le aziende agricole se non vogliono vedersi ridurre i sussidi comunitari. Regole - che da queste colonne abbiamo invocato per anni - di buona pratica agronomica, di mantenimento dei terreni e dei pascoli, dei boschetti, del paesaggio agricolo e delle acque. Regole che, se non rispettate, potranno provocare una riduzione delle elargizioni dal 3% al 15% (se ripetute per tre anni); fino a tagli del 20 e anche 100% nei casi dolosi, ovvero quando l'agricoltore si ostina a commettere infrazioni per oltre tre anni. Sembrerebbe una buona notizia - e in parte lo è senz'altro - ma poi si scopre che è necessario riaprire il tavolo delle discussioni e della concertazione con le associazioni di categoria perché, giustamente, la Coldiretti ha fatto notare che delle norme indicate dalla Ue era stata esclusa quella riguardante la rotazione delle colture, quell'avvicendamento da fare almeno ogni cinque anni per garantire un sano mantenimento del terreno. Alcune piante «stressano» la terra; altre, come le leguminose, la rigenerano: alternare le diverse colture è sempre stato un accorgimento semplice e prolifico, di buon senso e nell'interesse del contadino che vive della terra e di essa, del terreno, dovrebbe avere rispetto, esserne un fine conoscitore (c'è ancora gente qui da noi che assaggia il terreno per capirne le caratteristiche?). Però con la meccanizzazione e la diffusione di fertilizzanti azotati la rotazione è diventata un'optional. La produzione agroindustriale non la contempla, ci pensano fertilizzanti e diserbanti a svolgere il ruolo naturale che avrebbero le piante. Vi invito a domandarvi: perché nel decreto sulla «condizionalità» è stato «dimenticato» il vincolo alla rotazione? Essa è ritenuta buona pratica ecologica da chiunque abbia un minimo di conoscenza agronomica. Ma pensate cosa vorrebbe dire il 3% in meno di sussidi per i primi due anni, il 15% al terzo, dal 20% fino al totale per un'azienda agricola che campa e fa reddito ad esempio soltanto sul mais e i sussidi che riceve; distese di mais ogni anno. Eh no, la buòna pratica agronomica non è compatibile con l'agribusinness. La rotazione non solo è utile a mantenere vivo il terreno, ma riduce automa- ticamente il proliferare di erbacce infestanti. Un altro servizio che potrebbe ridurre l'utilizzo indiscriminato di prodotti chimici in agricoltura. Contro i diserbanti s'è scagliato recentemente Piero Bevilacqua, già autore del bel saggio «La Mucca è savia», proponendone addirittura l'abolizione. L'ha fatto da «I Frutti di Demetra», un bollettino (consigliatissimo) di storia ambientale pubblicato periodicamente da Donzelli Editore, con delle parole che voglio citare: «I diserbanti non solo sono gravemente nocivi alla fauna campestre (uccelli, serpi, talpe, ricci, rospi, grilli, cicale, ecc.) ma sopprimono anche gran parte della vita biologica del terreno. E il terreno non è un semplice supporto neutro per le coltivazioni, quale lo ha reso l'agricoltura industriale, ma un organismo vivente su cui crescono le piante da cui ricaviamo il nostro cibo. Esso è, a pensarci bene, la base stessa della vita, di ogni vita sulla terra. È difficile immaginare che possa sopportare a lungo l'avvelenamento chimico selettivo dei diserbanti. Così come appare difficile immaginare che si possano produrre alimenti sani da un habitat in cui la vita viene così sistematicamente perseguita». Come dice Bevilacqua: «Siamo di fronte a un sistema che ha finito con l'imporre le regole del profitto anche all'ambito incomprimibile della vita». Un sistema che, infatti, si vuole dimenticare della rotazione. Le aziende agricole se non vogliono vedersi ridurre i sussidi comunitari devono attenersi ad una dettagliata serie di accorgimenti ecologici ma dagli obblighi è escluso quello che riguarda la rotazione delle colture

Persone citate: Bevilacqua, Carlo Petrìni, Donzelli Editore, Piero Bevilacqua

Luoghi citati: Bruxelles