TURCHIA La porta socchiusa dell'Europa

TURCHIA La porta socchiusa dell'Europa ATTESE, SPBnmZE E LIVORI m VISTA DELL'AVVIO DEL MEGOZSATO CON BRUXELLES TURCHIA La porta socchiusa dell'Europa reportage er inviato a ISTANBUL AVRUPA Hosgeldiniz. Benvenuti in Europa. Il cartello spunta subito dopo il grande ponte sul Bosforo che unisce le due metà di Istanbul. Ma i turchi sperano di spostarlo di quasi duemila chilometri più a Oriente. Fino alle frontiere con la Georgia, l'Armenia, l'Iran, l'Iraq, la Siria e il Libano. Frontiere destinate a diventare, in un futuro non tanto lontano, il confine esterno dell'Unione europea se, tra ima settimana a Bruxelles, i capi di Stato e di governo dei Venticinque decideranno di aprire il negoziato di adesione con la Turchia che bussa alle porte della Uè ormai da quarantuno anni. Dal 1963, quando fu filmato il Trattato di associazione. Per le strade di questa metropoh immensa - otto milioni gh abitanti ufficiali, tredici quelli che comunque ci vivono - la gente aspetta il 17 dicembre come l'inizio di una grande avventura. Con l'entusiasmo di chi non vede l'ora di cominciare. Ma anche con la paura di chi teme un altro rinvio. Tra i caffè che costeggiano il Como. d'Oro tutti ripetono la stessa cosa: non importa quanto dureranno i negoziati, l'importante è cominciare. «L'Europa non può umiliarci con condizioni che non sono state imposte a nessun altro Paese o con minacce di- referendum come quello annunciato in Francia», dice Yusuf-ohe'è un giovane impiegato con moglie e due figli. Per Yusuf l'ingresso della Turchia nella Uè vuol dire tante cose. E' la garanzia dell'applicazione delle riforme, la sanzione della scelta di democrazia e di modernità. Ma è anche l'occasione per inseguire un po' più di benessere. «Qui uno stipendio medio è sugli ottocento euro al mese e bisogna lavorare almeno in due se si vuole andare avanti». L'economia turca, benché in forte movimento, ha bisogno di una sponda solida per crescere e per limitare la vertiginosa inflazione che ha portato il prezzo di un chilo di uva secca a sei milioni di lire turche e quello di una casa normale a cento miliardi di lire turche. Oggi un euro vale un milione e ottocentomila lire turche e nel Paese circolano i bighetti di banca con il maggior numero di zeri del mondo. Ci sono anche le banconote da cinquanta e da cento milioni che presto saranno una curiosità per collezionisti perché, da gennaio, arriverà una nuova «lira forte» che avrà un cambio pari a mezzo euro. L'uva secca tornerà a costare sei lire turche e una casa centomila lire. Ma il rapporto tra gh stipendi e i prezzi non cambierà. Il livello di vita della Turchia è molto più basso della media europea: il reddito pro-capite è la metà di quello dei dieci Paesi che sono appena entrati nell'Unione ed è appena un quinto di quello dei Vétìchi Quindici?'La produzione agricola rappresenta ancora il 14 per cento del Pil. E questo è uno degli argomenti di chi sostiene che la Turchia non è ancora pronta per l'avvio formale dei negoziati. Ma non è il solo. Valéry Giscard d'Estaing, che è uscito allo scoperto contro l'ingresso della Turchia nella Uè, ne ha fatto un elenco impressionante. Il primo potrebbe già chiudere la discussione. La Turchia non è un Paese europeo. Basta consultare qualunque atlante geografico per vedere che ha più del 90 per cento del suo territorio in Asia. In realtà, dopo quel cartello lungo il ponte sul Bosforo che dà il benvenuto in Europa, c'è soltanto il 5 per cento del territorio turco che arriva fino alla Grecia e alla Bulgaria, dove vive appena l'S per cento della popolazione che, oggi, sfiora i 75 milioni di abitanti. Proprio il numero degli abitanti - che tra vent'anni potrebbero essere 89 milioni - è un altro grande argomento negativo della lista stilata di Giscard. La Turchia diventerebbe presto il primo Paese della nuova Uè: più influente di Francia e Germania perché, con le regole appena varate, è il numero degh abitanti che determina il peso pohtico di ciascun Paese. Ma c'è di più. Valéry Giscard d'Estaing, diplomaticamente, parla di «diversità dei fondamenti identitari» tra la Turchia e la Uè com'è ora e come sarà anche dopo l'ingresso, nel 2007, di Bulgaria e Romania. Dietro questa formula c'è il problèma dèi probleriii: la Turchia è un Paese musulmano al 99 per cento della sua popolazione. L'incontro tra civiltà e religioni sarà possibile e positivo, oppure finirà con lo snaturare il progetto europeo? Per Giscard l'Europa in costruzione ha bisogno di sviluppare un suo «patriottismo» basato su valori comuni che sono l'apporto culturale dell'antica Grecia e dell'antica Roma, l'eredità religiosa che ha impregnato di sé la vita dell'Europa, lo slancio creativo del Rinascimento, la filosofia del secolo dei Lumi. Valori che la Turchia non ha condiviso, sviluppando una sua civiltà che «merita rispetto» - come dice Giscard d'Estaing - ma che non si può fondere con il progetto europeo. Proprio questa è la critica che brucia di più ai turchi. E ognuno, nel Grande Bazar come all'Università, tenta di dare una sua risposta. «Vedi questa era una chiesa, poi è diventata una moschea, adesso è un museo per non fare torto a nessuno», dice Abdullah che vende ciambeUe al sesamo di fronte a Santa Sofia. E' il suo modo di spiegare la rivoluzione laica di Mustafa Kemal Ataturk che, nel 1923, depose l'ultimo sultano, abolì il califfato - che univa il potere rehgioso a quello pohtico - e fondò la Repubblica turca. Anche le decisione di trasformare Santa Sofia in museo fu presa da Ataturk. Un gesto simbolico perché chiudere una moschea e far riaffiorare i mosaici con la vita di Cristo dalla malta con cui erano stati ricoperti, è stato un tentativo coraggioso di stabilire un dialogo. Adesso il «mihrab» che indica ai fedeli musulmani la direzione della Mecca per la preghiera è proprio sotto l'immagine bizantina di una Madonna in trono con Gesù in grembo. Ma basta questo per credere che la Turchia, una volta entrata nella Uè, diventerà una specie di laboratorio per l'incontro di civiltà? Il premier Tayyip Erdogan, nell'intervista a «La. Stampa» di mercoledì,'ha chiesto all'Unione europea di «dimostrare di non essere un club cristiano», di non avere paura della Turchia che può essere la faccia del Vecchio Continente rivolta verso il mondo islamico. La pensa come lui anche Yasar Yakis, presidente del Comitato per l'armonizzazione delle istituzioni turche con quelle della Uè che è dello stesso partito di Erdogan - il conservatore Akp - che, dal 2002, ha 500 dei 550 deputati del Parlamento. «I nostri amici europei ci parlano sempre dei vantaggi di una società multiculturale, che non discrimina le altre confessioni e ci hanno chiesto di migliorare la nostra legislazione per sviluppare la ricchezza deUe differenze, cosa che abbiamo fatto. E poi non vogliono accettare un'altra cultura nella Uè? Onesta è un'ipocrisia che ci sorprende». Anche Inai Batu, che è imo degh esponenti di spicco dell'unico partito di opposizione rappresentato in Parlamento - il partito socialista - e che è stato ambasciatore a Roma, dice che la Turchia «non è un Paese musulmano, ma un Paese abitato da musulmani». E' uno Stato laico, insomma, come l'Italia «che è abitata in grandissima maggioranza da cristiani, ma che non è uno Stato confessionale». E il discorso scivola inevitabilmente sulla storia recente della Turchia. Sulla fine dell'impero Ottomano che cessò di esistere, dopo sei secoh, il 19 novembre del 1922 quando il sultano Vahdeddin fuggì su una corazza¬ ta inglese. Da quel giorno cominciarono le riforme: il 3 marzo del 1924 furono aboliti i tribunali religiosi e l'insegnamento nelle scuole passò sotto la' conipèteriza di un ministero dell'Educazione pubbhca. Nel 1925 furono riconosciuti alle donne gh stessi diritti degli uomini e entrarono in vigore i nuovi codici: quello penale preso in buona parte dalla legislazione italiana, quello civile dalla svizzera. Nel 1928 arrivò la riforma dell'alfabeto. Fu abbandonato quello arabo per introdurre una scrittura con lettere latine che ha fatto nascere il turco moderno. «Il nostro cammino verso l'Europa è cominciato da lontano», dice Seyfì Tashan, che da trent'anni è presidente dell'Istituto di politica estera. Una lunga marcia, insomma. Che non è stata a senso unico, però. Perché al piatto positivo delle riforme ha fatto da contrappeso quello pieno di tanti elementi negativi: ia persecuzione dei curdi e degh armeni, la tortura come sistema negh interrogatori della pohzia, i tribunah speciah, la pena di morte. Il taglio con questa parte del passato è molto più recente. La riforma dei codici è passata appena quattro giorni fa, scongiurando anche il tentativo dell' ala più islamica del partito Akp di reintrodurre il reato di adulterio. In questa accelerazione la voglia di entrare nell'Unione europea è stata decisiva. I tecnici la chiamano «realizzazione dei criteri di Copenaghen». In pratica non è altro che l'armonizzazione della società pohtica, economica e civile turca agli standard europei. «E' su questo che dovete giudicarci», dice Seyfi Tashan. Ma anche sul terreno dei criteri di Copenaghen c'è qualche crepa. Non è ancora passata, per esempio, la legge sulle fondazioni. Potrebbe sembrare un aspetto marginale, ma non è proprio così perché questa legge darebbe finalmente uno statuto giuridico certo e ima protezione alle religioni che qui sono minoranze: a partire da quella cristiana che è sempre in bilico tra toUeranza e discriminazione. Yasar Yakis ricorda che nessuno dei Paesi che sono appena entrati nella Uè era a posto con i criteri di Copenaghen quando ha cominciato i negoziati di adesione. In altre parole, dice che c'è ancora tempo per regolare le questioni aperte. Secondo le previsioni dei più ottimisti, se la Uè darà il via alle trattative, ci vorranno ancora dieci o quindici anni per arrivare all'adesione. E in questo periodo la Turchia potrà fare altri progressi. Yakis racconta anche un aneddoto: «Jean-Claude Juncker, il primo ministro del Lussemburgo, era uno degh avversari del nostro ingresso nell'Unione. Dopo la sua ultima visita qui si è dichiarato favorevole e gli è stato chiesto: come mai ha cambiato idea? Ha risposto: non sono io che ho cambiato idea, è la Turchia che è cambiata». Abbastanza per convincere i leader che si ritroveranno tra una settimana a BruxeUes? Nelle strade di Istanbul la gente spera di sì. Un euro vale un milione ottocentomila lire turche e qui circolano i biglietti di banca con il maggior numero di zeri del mondo L'adesione è per la gente l'occasione per inseguire un poco di benessere e la sanzione di modernità Il ponte sul Bosforo a Istanbul un simbolo della Turchia moderna