La monella dell'Arte

La monella dell'ArteD M w ì I—1 rrù VHJ r^ :.,/ U i M J U La monella dell'Arte Guido Curto ERA ricca, intelligente e affascinante, ma di certo non bella, con quel naso a patatina, Peggy Guggenheim. Nata a New York nel 1898, in ottant'anni quasi frenetici di vita, fu amante appassionata e moglie infedele di tanti letterati mediocri e di artisti importanti come Max Ernst e Yves Tanguy. Alla più importante collezionista, donna, del XX secolo lo scrittore inglese Anton Gill ha dedicato una lunga biografia, edita adesso da Baldini Castoldi Dalai (pp. 495, «25). Il titolo Peggy Guggenheim. Un vita con il vizio dell'arte, traduce bene l'originale inglese The Life of an Art Addici, che allude al fatto di come Peggy fosse quasi una drogala dell'arte e degli artisti. In 500 pagine, fitte di nomi, date, avvenimenti storici, citazioni e aneddoti, anche piccanti, viene ripercorsa anno dopo anno la storia di una donna che «aveva fatto la monella, la dissoluta, la mecenate, la moglie, la madre (poco e male). Una ragazza vivace e curiosa che non era mai riuscita a trovare l'amore». Per capire quest'indole ribeUe, il libro fa spesso riferimento aha celebre autobiografia di Peggy Guggenheim, Out ofthis Century, pubblicata nel 1946 e poi riedita nel 1979 (ed. it. Una vita per l'arte, Rizzoli, 1982); ma questa di Anton Gill è senza dubbio la «storia» filologicamente più completa, oggettiva e rigorosa che sia mai stata scritta sulla mitica Peggy. Il racconto prende l'avvio dal naufragio del Titanic, che affonda portandosi via il padre di Peggy, Benjamin Guggenheim. E naufragio aveva già fatto la ditta patema. L'Intemational Steam Pump Company, che dopo aver costruito a Parigi gli ascensori della Tour Eiffel era stata dichiarata fallita. Per questo Benjamin in quel fatidico aprile del 1912, aveva deciso di tornare a New York, dalla moglie Florette, figlia dei potenti banchieri ebrei Seligman. Anche Ben apparteneva ad una ricca famiglia ebraica, e suo padre Meyer aveva fatto fortuna nel settore minerario. Peggy amava molto quel padre «un po' dandy e dongiovanni». Non andava invece d'accordo con la madre Florette, «che era bruttina e aveva un temperamento difficile». L'infanzia di Peggy è infelice e, nell'autobiografia, scrive: «Da bambina non solo ero molto solitaria e triste, ma anche piena d'angosce. Non ho ricordi piacevoli di alcun genere». Nonostante la morte del padre, Peggy era pur sempre una ricca ereditiera e poteva disporre di una rendita personale di 20.000 dollari l'anno, quindi era libera di vivere come e dove le piaceva. Prima con la madre, poi da sola viaggia in tutta Europa. Nel 1921 arriva in Gran Bretagna e subito dopo si trasferisce a Parigi, dove frequenta artisti e intellettuali, dando il via anche a tante avventure sentimentali e sessuah. Girava la voce, smentita da Peggy in tarda età, che avesse avuto mille amanti. A Parigi, conosce Laurence Vail, artista e scrittore di scarse fortune. Un bell'uomo però dal carattere violento e quasi folle. Ma l'irruenza deve piacere a Peggy se il 10 marzo 1922 lo sposa. Nel '23 i due si trasferiscono a Londra, dove nasce il loro primo figlio, Sindbad. Nel '25 ritornano a Parigi e Peggy mette al mondo una bambina, Pegeen. Parigi in quegli anni è il centro della cultura mondiale e lì sta nascendo l'avanguardia Surrealista, capeggiata da Breton e Duchamp. Peggy conosce Duchamp alla fine del 1937 e, grazie a lui, impara «la differenza tra astrattismo e surrealismo, tra surreahsmo onirico di Dali e de Chirico e quello astratto di André Masson». Peggy è un'allieva sveglia e volenterosa, ed è proprio in seguilo a queste lezioni che nel 1938 Peggy decide di aprire una sua galleria a Londra. Come aiutante sceghe Wyn Henderson, «donna energica e paffuta, rossa di capelli, non inferiore a Peggy, come collezionista di amanti». E' proprio Wyn a dare il nome alla nuova galleria: Guggenheim Jeune. Un modo, un po' ironico, per distinguersi dal ben più polente e vecchio zio Solomon Guggenheim, che nel 1937 a New York istituisce la Fondazione che porta il suo nome e che nel 1939 apre «The Museum of Non-Objeclive Painling». La Guggenheim Jeune imita le scelte dello zio Solomon. Peggy vuole inaugurare con Brancusi e va a Parigi per incontrare l'artista romeno, ma non trovandolo si rivolge a Jean Cocteau e gh dedica una mostra personale che apre i battenti nel 1938. Poi è la volta di Kandinskij che all'età di 72 anni «era un ometto elegante e riservato che sembrava più un agente di Borsa che un artista». La terza mostra è la più importante, interamente dedicata alla scultura contemporanea, con opere di Brancusi, Arp, Moore, Pevsner, Calder ecc. Segue poi ancora una personale di Yves Tanguy, del quale Peggy s'innamora, non ricambiata. Nella primavera del 1939 Peggy ha capilo che la Guggenheim Jeune non è più redditizia, e cerca di convincere il celebre critico inglese Herbert Read ad istituire un Museo d'arte moderna a Londra. Ma lo scoppio della Seconda guerra mon- diale affossa il loro progetto. Peggy però non smette di comprare, decide d'investire i 40.000 dollari accantonati per il museo nell'acquisto di altri pezzi per la sua collezione. A Parigi tra 1939 e '40 il mercato è favorevole ai compratori e lei sa trarne grande vantaggio. Anche perché comprava direttamente dagh artisti. Solo con Picasso «le capila di rimanere scornata». Il maestro la considerava una dilettante e quando lei si presenta nel suo studio, la ignora di proposilo per qualche minuto, infine si gira verso di lei ed esclama: «Madame, il reparto biancheria è al piano di sopra». Nell'inverno del 1938 Peggy aveva conosciuto a Parigi anche il surrealista tedesco Max Ernst, che a 47 anni era «un bell'uomo atletico con una criniera di capelli bianchi e due occhi penetranti». Quando lo rivede a Marsiglia il 2 aprile del 1941, lo corteggia apertamente. Lui sta al gioco e le chiede con tono drammatico: «Quando dove e perché ci rivedremo?». Lei, sbrigativa gh risponde: «Domani ahe quattro al caffè della Paix, il perché lo sa». A dicembre di quello stesso anno i due si sposano e i maligni dicono che «Max Ernst diventa il consorte n.03812 di Peggy Guggenheim». Per sfuggire alla guerra, nel luglio 1941 Peggy toma a New York, dove ritrova tanti artisti europei, vecchi amici. La sua casa diventa un polo di attrazione per la comunità degh «esiliati». Ci sono Breton, Chagah, Léger, Ozenfant, Masson. «Le feste da Peggy sono affollate e piene di alcol, improntate ad una compiaciuta bohème», scrive Gill. Peggy, però, non riesce a condurre una vita esclusivamente salottiera, ma resta intenzionata ad aprire una galleria-museo, dove poter esporre tutta la sua collezione. Non le ci vuole molto per trovare una sede adatta, al numero 30 della 57a Strada Ovest. Non lontano dal MoMA e dal Museo dello zio Solomon. La galleria apre i battenti il 20 ottobre 1942colnomediArtofthis Century. Nella prima mostra espone l'intera cohezione: 171 pezzi, una delle più vaste raccolte d'arte moderna di tutti gh Stati Uniti. Nelle stagioni successive, Peggy introduce temi innovativi. Nel 1943 presenta le opere di 31 artiste, ed è la prima esposizione tutta declinata al femminile degh Stati Uniti. In seguito s'appassiona di Action Painting, anche se il primo incontro con Pollock era stato un disastro. Pollock la trovava del tutto priva di attrattive e si dice abbia detto: «Per scopare Peggy bisognerebbe prima coprirle la testa con un asciugamano». Peggy invece ama i suoi dripping e nel 1943 presenta la prima grande personale di Pollock. Per l'artista è una consacrazione. Dall'ottobre '45 al maggio '47 nella galleria Art of This Century si susseguono solo artisti statunitensi. Una mostra viene dedicata anche aha figlia Pegeen, giudicata dalla madre un'ottima primitivista. Ma le vendite sono scarse. Peggy, molto attenta al denaro, decide di chiudere la galleria. Frattanto la guerra è finita, molti artisti europei sono rimpatriali. Peggy non ha più ragioni per rimanere a New York. Anche i figli, Sindbad e Pegeen, vivono ormai entrambi in Francia. Peggy sceghe di tomare a Parigi, dove incontra la scrittrice Mary McCarthy che, col marito, stava partendo per Venezia. Le chiedono di proseguire con loro. Peggy accoglie l'offerta al volo, perché ama molto Venezia. La città è uscita indenne dalla guerra e il costo della vita e degh immobili è relativamente basso. Peggy pensa seriamente di stabilirsi a Venezia e, grazie al conte Zorzi, trova la casa dei suoi sogni. Palazzo Venier dei Leoni. Lo compra per 60.000 dollari. I veneziani la conoscono come «l'americana dei cani» (perché è sempre attorniata dai suoi amatissimi cagnolini tibetani) e la città l'accoglie con simpatia, invitandola ad esporre la sua collezione aha Biennale di Venezia del 1948. La sala dedicata a Peggy è stupefacente, con 135 opere. L'amore per la città lagunare è però contrastato. Fuori da ogni intento agiografico, Gill racconta come e perché Peggy, all'inizio degh Anni 60, avesse ipotizzato di vendere gran parte della sua collezione aha Tate Gahery di Londra. Qui la vicenda diventa burocratica, e per il lettore un po' tediosa. Ma ciò che conta è l'esito finale. L'Italia si oppone al trasferimento delle opere e nel 1976 la Fondazione Peggy Guggenheim di Venezia viene inglobata nella Fondazione Solomon R. Guggenheim di New York. La biografia di Anton Gill dice che di quell'atto Peggy non ebbe mai a pentirsi. Anche perché tre anni dopo Peggy muore a Venezia: è il 23 dicembre 1979. Uno stendardo funebre le dà il commiato salutando «l'ultima dogaressa». LA PIÙ' IMPORTANTE COLLEZIONISTA DEL VENTESIMO SECOLO: DALLA PARIGI FRA LE DUE GUERRE, DOVE COMPONE GRAN PARTE DEL SUO TESORO, ACQUISTANDO DIRETTAMENTE DAGLI ARTISTI (SOLO PICASSO LA SCORAGGIA), FINO ALLA VENEZIANA CASA DEI SOGNI, ALLA FONDAZIONE CHE PORTERÀ' IL SUO NOME La Guggenheim nello studio di Henry Moore, fine Anni 50