Natasa danza con stile ma scivola tra gli errori

Natasa danza con stile ma scivola tra gli errori Natasa danza con stile ma scivola tra gli errori Giuseppe Chini AFFASCINANTE ma inaffidabile. È questa la coppia di aggettivi che megbo descrive il libro di Orlando Figes, La danza di Natasa, Storia della cultura russa IXVIII-XX secolo). Affascinante è il panorama della Russia ricreato dall'autore mediante un'abbondantissima messe di fatti, usi, caratteristiche, personaggi, eventi della cultura e della quotidianità (il famoso byt russo, peraltro mal trasbtterato nel Glossario). Indovinata è la scelta di mettere al centro del libro il binomio RussiaEuropa, un'opposizione che tra ideaUzzazioni mitiche, rifiuti aprioristici, tradizioni inventate e aspirazioni modernizzanti è effettivamente il cuore della storia e della storiografia russa almeno a partire da Pietro il Grande. Un binomio - quello Russia-Europa - che Figes considera anzi giustamente come i due polmoni dell'identità russa, capace e obbbgata a unire sincreticamente maniere occidentalizzanti e sincerità russa, padronanza della lingua francese e "istintiva" abilità nella danza popolare. Proprio a questa abilità, esemplificata da una scena tratta dal tolstoiano Guerra e pace, si riferisce il titolo del libro: la contessina Natasa Rostova, trovatasi in una dacia nei boschi in compagnia di contadini russi, afferra istintivamente ritmo e stile di una danza popolare e, pur non avendola mai conosciuta, la balla come un'autentica popolana. E tuttavia l'affresco di Figes risulta inaffidabile. Non si tratta solo delle ormai inevitabib sviste dovute allo smantellamento delle redazioni editoriab di un tempo. No, siamo qui di fronte a mancato controllo delle fonti e ad errori di impostazione che obbbgano il recensore a mettere in guardia il lettore. Mi spiego con qualche esempio. Il quinto capitolo tratta dell'importante "ricerca dell'anima russa". Si apre sottolineando l'influenza del monastero di Optina Pustyn' e dei suoi famosi starcy sui maggiori scrittori russi dell'Ottocento: Gogol1, Dostoevskij, Tolstoj ecc. Oppone il monastero russo e gli eremitaggi che vi vennero creati al Regolamento spirituale varato da Pietro il Grande; riferisce che, nell'ambito della sottomissione della chiesa allo stato, tale regolamento prevedeva l'obbligo di riferire alle autorità eventuali dissensi e propositi crirninab raccolti anche attraverso la confessione. Per spiegare la diffusione della spiritualità esicasta nella Russia del Settecento, sostiene poi che «diversamente dall'idea occidentale, secondo cui la grazia è conferita alle persone virtuose o a chi è stato prescelto da Dio, la religione ortodossa considera la grazia come uno stato naturale, implicito nell'atto stesso della creazione». Qualche pagina dopo, nel tratteggiare le caratteristiche generab dell'ortodossia russa, si afferma che la Uturgia slava è una 'liturgia popolare" e che le icone sono talmente importanti che «gb ortodossi non si confessano a un sacerdote, ma all' icona di Cristo alla presenza e sotto la guida spirituale di un sacerdote». Nelle successive due pagine si sostiene che «l'invasione mongola del XIII secolo separò la Russia da Bisanzio; e i monasteri, lasciati a se stessi... cominciarono a sviluppare un proprio stile». Inoltre, «a diffe- renza della Chiesa occidentale, Bisanzio non aveva un papato che gb conferisse una coesione sovranazionale. Non aveva una lingua franca come il latino... Così, fin dall'inizio, la comunità ortodossa fu incline a frammentarsi in Chiese indipendenti secondo le linee nazionab (greca, russa, serba, ecc.)». Fermiamoci un attimo e controlbamo le fonti. Il Regolamento spirituale di Pietro il Grande fu indubbiamente uno strumento di asservimento della Chiesa ortodossa abo Stato russo, ma non vi è scritto da nessuna parte ciò che deve fare il confessore (e non a caso Figes non cita in nota nessun punto del regolamento). Tralasciando la concezione cattobea e riformata della Grazia filtrata attraverso il Figes-pensiero, stupisce l'idea ortodossa della Grazia come "stato naturale". E l'opposizione Natura-Grazia? E allora, se la Natura conferisce la Grazia, a che servono l'Incarnazione e i sacramenti, e la Chiesa stessa? La bturgia slava discende dalla bturgia greca di s. Giovanni Crisostomo, dotto padre della Chiesa orien¬ tale; la sua lingua è lo slavo-ecclesiastico, lingua che ha cessato di essere propria di un popolo oltre mille anni or sono: definire questa Uturgia "popolare" è, quanto meno, un azzardo. La confessione degli ortodossi è, né potrebbe essere altrimenti, fatta ad un sacerdote (si veda il bel testo di S. Bulgakov, Ortodossia). L'invasione dei tataromongoli non separò realmente la chiesa mssa da quella bizantina, tant'è che, fino al 1453, i metropobti russi si recavano a Bisanzio per esservi consacrati o confermati (se già vescovi). Quanto poi agb aspetti culturab di questo legame, è sufficiente leggere quanto scrive D.S. Lichacev, nel suo libro Le rodici dell'arte russa (Bompiani 1995, pag. 166): «Lo sviluppo culturale russo dei secob XIV e XV è caratterizzato da intensi contatti con Bisanzio e con i paesi slavi meridionaU». Da ultimo, notiamo che la definizione "Chiesa occidentale" è quanto meno inadeguata, come pure quella di "nazione" riferita alla Serbia e Russia medievab. E che, se pure Bisanzio non aveva una lingua franca come il latino, questa lingua ce l'avevano proprio gli Slavi ortodossi: si tratta di quello stesso slavo-ecclesiastico che ventennab ricerche di Riccardo Picchio hanno dimostrato essere la lingua deba comunità di cultura slavo ortodossa (cfr. Letteratura della Slavia ortodossa. Dedalo 1991). Quelle qui analizzate e controllate sono otto pagine su oltre seicento. L'elenco potrebbe continuare e toccare altri capitob un po' meno problematici, ma non molto più accurati. È probabilmente megbo invece fermarsi e indicare alcuni errori di impostazione generale. Un problema nasce senz'altro daba scarsa conoscenza deba storia e deba cultura mssa antica. La storia scandisce la vicenda mssa in periodi diversi da quelb usuab per lo storico occidentale: il Medioevo msso è di lunga durata, e prosegue più o meno sotterraneo anche in queba cultura che Figes ascrive abo spirito autenticamente russo. La sua conoscenza è dunque imprescindibile anche per chi vogba ricostruire la cultura del XVm secolo o di quelb seguenti. Occorre che lo storico della cultura mssa esca pienamente dai miti di cui queba cultura è impregnata. Figes opera sul filo del rasoio: a volte descrive il mito dab'estemo, altre volte è pienamente dentro il mito. Quando parla deba "istintiva empatia" di Natasa con la danza mssa, l'autore è dentro il mito del popolo msso, esattamente come vi era immerso lo stesso Tolstoj. Lo stesso vale per la concezione della "bturgia popolare" di cui si è detto sopra, come pure per la presunta spirituabtà deba Chiesa mssa, che sarebbe aliena da intromissioni nella vita debo stato. In terzo luogo, la cultura scientifica. Per l'autore inglese la cultura scientifica non esiste. Kovalevskaja, Mendeleev, Mecnikov, Landau, Zolotarev, Lobacevskij non hanno posto in questo libro. Eppure alcuni di loro hanno fondato la scienza contemporanea, altri hanno ricevuto il Nobel. Non siamo qui dentro il mito più puro deba superiore cultura umanistica? Da ultimo, la scelta dei campioni. Il primo capitolo suba doppia anima dei russi prende ad esempio la famigba Seremetev, una famigba rappresentativa deba più alta aristocrazia russa e assai distante daba nobiltà di provincia. D secondo capitolo suba generazione del 1812 scegbe la famigba Volkonskij, che è debo stesso gruppo sociale deba prima. Insomma, c'è molto più Tolstoj che Turgenev in questa storia deba cultura: e non a caso la funzione riformatrice degb organi di autogoverno affidati alla nobiltà provinciale, gb zemstva, risulta assolutamente secondaria nel testo di Figes. Insomma: più che una danza di Nataéa sembra una casché di Orlando Figes. E' affascinante quanto inaffidabile la «Storia della cultura russa» di Figes, che è rimasto fermo ai «miti» di Tolstoj Particolari dei costumi disegnati da Nicolaj Roerich per «La fanciulla di neve» (Chicago 1921) Orlando Figes La danza di Natasa Storia della cultura russa (XVIII-XX secolo) trad. di Mario Marchetti Einaudi, pp. 616, G48 S A G G

Luoghi citati: Chicago, Russia, Serbia