«Chi nato cane» in Nigeria e Zimbabwe? di Claudio Gorlier

«Chi nato cane» in Nigeria e Zimbabwe? «Chi nato cane» in Nigeria e Zimbabwe? Claudio Gorlier D ROVAI allora quello straziante dolore che la conoscenza riser' va a coloro che riescono a distinguere l'abisso tra ciò che è e ciò che potrebbe essere». E' una donna nigeriana a parlare, protagonista senza un nome e narratrice in prima persona del primo racconto di Foresta di fiori, di Ken Saro-Wiwa. Il racconto si intitola, con amara ironia, «Casa dolce casa», perché la donna sta tornando nel suo villaggio remoto, Dukana, e riflette, in un itinerario al tempo stesso reale e simbolico, sugli aspetti negativi e positivi della sua terra, in cui i primi tendono a prevalere sui secondi. Ho rievocato di recente su La Stampa la grande e tragica figura di Ken Saro-Wiwa, lo scrittore nigeriano nato nel 1941 e impiccato, dopo un processo farsa organizzato dallo spietato dittatore Abacha, per stroncare la sua crociata in difesa degli Ogoni, gli abitanti del delta del Niger ridotti in miseria dallo sfruttamento delle multinazionali del petrolio, che tuttora si estrae nella regione. Continuo ad augurarmi che il capolavoro del mio sventurato e valoroso amico Saro-Wiwa, Sozaboy (in inglese gergale «il ragazzo soldato») venga tradotto in italiano, ma i racconti di Foresta di fiori vanno considerati a loro volta ai vertici della sua opera. La prima parte del libro ci porta, appunto, in un villaggio sperduto, un microcosmo della condizione umana di un'Africa emblematica. Nella seconda parte ci spostiamo nella Nigeria metropolitana, un'altra faccia delle contraddizioni e delle ambiguità del Paese. Ecco «Robert e il cane». Robert, il protagonista, costretto a lavori duri e sottopagati, viene assunto come domestico da un giovane medico, che ha appena completato i suoi studi all'estero e lo tratta con affettuosa umanità. Ma sopraggiunge la moglie europea del medico, con il suo cane amatissimo. Il giovane soffre per l'attenzione dedicata dai padroni all'animale. Quando i coniugi si recano in vacanza, Robert dovrebbe occuparsi del cane, ma, quando lo osserva mentre beve avidamente il latte, ha un'improvvisa reazione, pensa ai suoi figli spesso affamati e comincia a «nutrire un odio patologico» per l'animale, dopo essersi domandato: «Chi è il cane?». Nell'originale, la domanda è formulata in pidgin, l'inglese africanizzato: «Who bom dog?», letteralmente, «Chi nato cane?». Robert afferra i barattoli di latte e di cibo per cani, se ne va e li porta ai suoi figli. «E il cane morì». L'ambiguità riaffiora: Robert aveva finalmente trovato un buon posto e dei padroni generosi, ma pur sempre padroni. Il titolo del libro è per così dire bifronte. I fiori, simbolo di bellezza, possono trasformarsi contestualmente in referenti ostili, persino crudeli. SaroWiwa si affida a un inglese talora corretto, talora impregnato di pidgin, e la vera e propria squadra di traduttori ha fatto lodevolmente del suo meglio. Con Yvonne Vera, scrittrice nata a Bulawayo, nel cuore dello Zimbabwe, e addottoratasi in Canada, della quale Frassinelli già aveva pubblicato un altro romanzo. Il fuoco e la farfalla, ci troviamo di fronte a un'ulteriore faccia della convul. sa tragedia africana. Difatti, Le vergini delle rocce, brillantemente tradotto da Francesca Romana Paci, cui si deve una limpida postfazione, lega tumultuose vicende private e sconvolgenti episodi della storia recente del Paese, oggi quasi in ginocchio a causa del potere duramente repressivo del presidente Robert Mugabe, un tempo eroe della guerra dell'indipendenza conquistata nel 1980, abbattendo il potere colonialista del Paese che si chiamava allora Rhodesia. Ma l'indipendenza sarà insanguinata dalla lotta fratricida tra alcuni dei gruppi che avevano combattuto e vinto contro il potere bianco di lan Smith. Il percorso narrativo di Le vergini delle rocce si incentra virtualmente su quattro personaggi, due donne e due uomini, ma sono le due sorelle, Thenjiwe e Nonceba, a scandir¬ lo, in una sorta di interscambio, di effetto specchio. Per Thenjiwe, la sorella le è vicina «più della sua stessa ombra». Bella e sensuale, durante la guerra di indipendenza Thenjiwe ha intrattenuto una relazione strenuamente passionale con un uomo che ha lasciato perché a suo avviso non sapeva cogliere il significato profondo di Kezi, il «circondario rurale» in cui le sorelle vivono. Non ne vuole neppure ricordare il nome; è lo «straniero», venuto da un'altra parte del Paese. Esplode, nel 1981, la guerra civile. La vita della comunità, così tranquilla e luminosa, si frantuma. «Comincia nelle strade la sepoltura della memoria». Uno sbandato ex combattente per l'indipendenza, Sibaso, uccide e decapita Thenjiwe, preso da furia incontrollata, poi violenta Nonceba e la mutila al viso. La fragile Nonceba, mentre in ospedale gradualmente si riprende, con la fantasia richiama la sorella in vita. Proprio allora ricompare l'amante senza nome di Thenjiwe, che apprenderemo chiamarsi Cephas Dube, è un intellettuale, storico e archivista. Si prende cura di Nonceba, e l'ama in modo diverso dalla sorella, sentendosi colpevole di non averla difesa, di essersene andato. Più che mai, il romanzo prospetta un doppio livello, realistico e simbolico. Se Thenjiwe appariva quasi come una divinità della natura, Nonceba è fragile e bisognosa di protezione, e sarà Cephas a provvederla, mentre la guerra civile continua. Ne è, a suo modo, succube lo stesso Sibaso, patriota e poi carnefice, pervaso misteriosamente dalle forze del male, che ha inflitto alle sorelle il destino delle vergini incise sulle rocce di Gulati. All'opposto, Cephas incarna il bene. Vera padroneggia ammirevolmente un raffinato postmoderno, e il suo inglese giustamente definito «sontuoso» attinge all'oralità della lingua nativa, lo shona. Entra di pieno diritto nel novero dei rilevanti scrittori dello Zimbabwe, dall'irto, tormentato Marechera, citato nella postfazione, a Mungoahi, a Chinodya (pron. Cinòtika). Una scena letteraria davvero eccezionale. La «Foresta di fiori» di Ken Saro-Wiwa, impiccato dopo un processo farsa organizzato dallo spietato dittatore Abacha e «Le vergini delle rocce» di Yvonne Vera, «la sepoltura della memoria» dopo la guerra civile del 1981 Ken Saro-Wiwa Ken Saro-Wiwa Foresta di fiori traduttori vari Ed. Socrates, pp. 170, G10 YvonneVera Le vergini delle rocce trad. e postfazione di Francesca Romana Paci Frassinelli, pp. 246, Gì6 RACCONTI —^iihiì.^...»!.»!-»..,, ^ . ^a^m k w»..ww.w^^

Luoghi citati: Canada, Chinodya, Niger, Nigeria, Rhodesia, Zimbabwe