Lingua, religione e superalcolici Storia di una nazione dimezzata di Anna Zafesova

Lingua, religione e superalcolici Storia di una nazione dimezzata DIETRO LA CRISI POLITICA LA TENTAZIONE DI UNA SEPARAZIONE Lingua, religione e superalcolici Storia di una nazione dimezzata analisi Anna Zafesova MOSCA Il primo parla ucraino, crede nel Dio cattolico e beve la «gorilka». Il secondo si esprime in russo, prega davanti a un'icona ortodossa e si ubriaca di vodka. Sono entrambi ucraini, almeno formalmente, ma non potrebbero essere più diversi e giorno dopo giorno hanno sempre meno voglia di convivere pacificamente. «Non vogliamo stare agli ordini dei "zapadnenzy"», scandiscono i minatori del Donbass avvolti nelle bandiere bianco-azzurro di Janukovic. «Mosca riprenditi i tuoi "moskali"», scrivono sui muri i manifestanti vestiti dell'arancione di Jushenko. Le elezioni presidenziali hanno spaccato in due un Paese con un'unità nazionale già precaria e l'Ucraina post elettorale si ritrova abitata da due popoli che mangiano, credono, votano, parlano e guadagnano in modo completamente diverso, sempre più difficili da conciliare all'interno di uno stesso Stato. Due anime diverse, l'est e l'ovest, e a Donezk si rimproverano gli abitanti di Leopoli di perdere U loro tempo a manifestare per Jushenko: «Tanto non hanno fabbriche, non devono lavorare», commenta acida una sostenitrice di Janukovic. A ovest scrollano le spalle con indifferenza, non è certo il momento di badare ai zoticoni proletari dell'oriente. La Galizia prima asburgica e poi polacca è stata annessa alltlrss solo nel 1939, quando l'Armata Rossa ha occupato la fetta della Polonia che Hitler ha passato a Stalin, e Leopoh vive la sua eleganza di città europea con illustri concittadini letterati e musicisti come una dimostrazione della propria appartenenza all'aristocrazia nazionale mai annacquata dalla russificazione. A est l'ucraino non l'hanno mai imparato bene, anzi, qualcuno sostiene addirittura che non è una lingua, ma una sorta di dialetto russo-polacco, e si parla, si insegna, si legge e si guarda la tv in russo. Le differenze linguistiche sono solo il simbolo di due passati e due presenti diversi, come le cattedrali gotiche e barocche di Leopoli e i casermoni prefabbricati di Donezk. Sono le miniere e le acciaierie dell'est a far campare l'ovest agricolo e intellettuale e a Donezk si parla già di un embargo economico contro le regioni che hanno votato Jushenko. La «piccola Russia» non ha un passato europeo e non vuole avere un futuro che non parli russo. I manifestanti filoJanukovic in questi giorni hanno sbandierato striscioni che definiscono i «zapadnenzy» «nazisti», alludendo ai trascorsi collaborazionisti di organizzazioni nazionaliste che pur di liberarsi di Stalin flirtavano con Hitler. La Galizia ha opposto resistenza armata all'occupazione sovietica fino alla metà degh anni '50 e i «fratelli della foresta» - banditi secondo la storia sovietica, eroi della liberazione nazionale nelT interpretazione indipendentista - hanno tenuto imboscate ai padri di quei minatori di Donezk che ora dichiarano il leader dell' opposizione «anticristo». La spaccatura Jushenko-Janukovic ripete quasi idealmente la divisione dell'Ucraina del 1654, quando la «piccola Russia» chiese la protezione dell'impero degh zar contro i polacchi. Una storia che a Mosca e a Donezk viene ancora presentata come la riunificazione di due popoli «fratelli» separati da un equivoco della storia. Ma Bogdan Khmelnizkij, il «ghetman» che andò sotto la mano dello zar, era nato a Leopoh e battezzato cattohco, e secondo alcuni storici la sua conversione alla corona e alla religione russa era solo un calcolo. Che è durato 350 anni traformando metà della nazione in «moskali», gente fedele a Mosca. Divisione inasprita dal pesante intervento del Cremlino a favore di Janukovic. L'appello alla nostalgia per il comune passato sovietico ha entusiasmato i minatori - élite proletaria sovietica ridotta in miseria dal capitalismo - e risvegliato le paure storiche dei nazionalisti. Ora in un Paese che soffre di crisi di identità a cominciare dal nome (Ucraina significa marca di confine) vivono due popoli che si chiamano entrambi ucraini, ma si sentono più divisi dei valloni e fiamminghi in Belgio. I discorsi di federazione, confederazione o addirittura secessione si fanno ormai sia a est che a ovest. Ma c'è anche la Crimea con le basi militari russe e le rivendicazioni della minoranza tartara, e Odessa storico centro ebraico che si considera più una sorta di porto franco che città ucraina. E chiunque vincerà la contesa elettorale rischierà di trovarsi presidente solo della metà del Paese. A Leopoli si considerano europei e guardano con sufficienza i connazionali che parlano il dialetto russo-polacco I discorsi sulla-federazione o sulla secessione si fanno apertamente Ma c'è anche il problema della Crimea e dei tartari Yushenko stringe la mano a Kuchma. Sullo sfondo, Yanukovic