Chi si nasconde dietro, il detersivo? di Gianfranco Marrone
Chi si nasconde dietro, il detersivo? Chi si nasconde dietro, il detersivo? Gianfranco Marrone UN po' a tutti sarà capitato di sbirciare nel carrello del vicino durante la coda alla cassa di un supermercato. Ed ecco immediatamente rìsvegharsi l'antropologo che è in noi: che tipo sarà uno che compra questa enorme quantità di detersivi per il pavimento? e con tutte quelle bevande con le bollicine, quanti bambini avrà? quah possono essere le abitudini alimentari di una persona che prende i calamari surgelati? Poi arriva il nostro turno e l'annoiata curiosità viene meno. C'è però chi questo mestiere lo fa veramente. Esistono gh antropologi deho shopping, ai quah si associano i designer dei centri commerciah, che si trasformano in veri e propri progettisti dehe nostre più complessive esperienze d'acquisto. Sembra che tutti quei movimenti e quei gesti apparentemente insignificanti della nostra vita quotidiana, come quando ci si aggira per i corridoi dei grandi magazzini o si parcheggia la macchina o si ammira una vetrina, siano non solo accuratamente studiati e valutati da una fitta schiera di osservatori competenti (spesso armati di telecamera e blocchetto per appunti), ma addirittura previsti in anticipo da un accurato piano di costruzione dei punti vendita e dei luoghi a essi immediatamente circostanti: strade d'accesso, parcheggi, porte d'entrata e d'uscita, ascensori e quant'altro. Paco Underhih, celebre consulente commerciale newyorkese e autore di un divertente volume sui comportamenti dei consumatori, spiega per esempio che nei malls americani non arrivano mezzi pubblici: né au¬ tobus, né tram, né metropolitane. Spesso cohocati nelle periferìe dei centri urbani, questi enormi, orrendi casermoni ricchi d'ogni ben di dio sono raggiungibili solo in macchina. E non si tratta di un disguido urbanistico: in tal modo, infatti, si è sicuri che non saranno frequentati dai teppisti minorenni che infestano i sobborghi cittadini. L'esperienza dei malls americani, spiega Underhih, è tanto diffusa quanto particolare. Si tratta di spazi giganteschi, veri e propri quartieri pieni di negozi di tutti i tipi, ma anche di punti di ristoro, cinema e teatri, interamente finalizzati allo shopping. Luoghi dove si è protetti dahe incombenze climatiche, non c'è lo smog dehe città, non ci sono macchine o semafori, e persino la superficie dei pavimenti è perfettamente piatta e levigata: di modo che, non avendo bisogno di tenere gh occhi bassi per guardarsi da eventuah ostacoh sul selciato (che tanto piacevano a Proust), si può più facilmente puntare lo sguardo verso le vetrine e le merci che espongono. Ma il frequentatore di questi centri commerciah non è semphcemente un consumatore, uno che va h per far compere e toma subito a casa. Se l'acquisto è la ragione ultima per cui questi spazi vengono costruiti, è anche vero che molta gente si reca in quei posti per tutt'altri motivi. I medici, per esempio, consighano ahe persone anziane di andare a passeggiare nelle strade dei malls dove, appunto, si è più sicuri e l'aria è più pulita. C'è chi preferisce darsi appuntamento di fronte aha vetrina di un negozio di scarpe. E c'è chi va h semphcemente per passare il tempo, per bighellonare, imitando inconsapevolmente il flàneur caro a Benjamin che andava a zonzo per i mitici passages pari- gini. E nato così il cosiddetto uomo di Vaganderthal, che come tutte le specie viventi in via di sviluppo è soggetto a una serie di differenziazioni e specializzazioni inteme. Dismesse le città, luoghi oramai infrequentabili, i centri commerciali sono diventati in tutto e per tutto spazi di socializzazione, dove gente d'ogni ceto sociale (esclusi, ricordiamolo, i ragazzini suburbani potenziah teppisti) trascorre il tempo libero, si incontra, si conosce... e così facendo finisce immancabilmente per comprare qualcosa. Si capisce ahora perché nulla di quel che accade in posti come questi è insignificante.«Lo testimonia ancora un bel saggio di Francesco Marsciani contenuto in un recente volume sul design della comunicazione curato da Valeria Bucchetti (Design della comunicazione ed esperienze di acquisto, Franco Angeli, pp. 192, C16). I potenziali consumatori vi vengono analizzati, prima ancora che come individui, come corpi in movimento, dotati di potenziahtà percettive e di gesti molto precisi, che entrano in relazione con le merci esposte. E vengono distinti quelli che guardano un po' di tutto senza toccare nulla, quelli che sfiorano gh oggetti riposti negh scaffah, quelli che h prendono in mano, h soppesano, h stropicciano e li riposano a casaccio, quelli che studiano analiticamente le etichette deha marca e del prezzo. Insomma, con buona pace di tutte le Sofia Kinseha che amano lo shopping, siamo come tanti animali in gabbia studiati in ogni nostro minimo gesto. Ricordiamocelo, quando aha cassa esaminiamo con etnografica aria di sufficienza il carrello di chi ci precede. «Antropologia dello shopping»: i malls americani, spazi giganteschi non solo per consumatori A frequentarli una varietà di tipi, dall'anziano in cerca d'aria pulita a chi ama bighellonare, come il flàneur caro a Benjamin PacoUnderhill Antropologia dello shopping Sperling S Kupfer pp. 264. 217 S A G G Il centro commerciale è oggi lo spazio primario della socializzazione
Persone citate: Benjamin Pacounderhill, Franco Angeli, Kupfer, Proust, Valeria Bucchetti
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