Nei Gulag più che lo sterminio dominava il brutale sfruttamento di Primo Levi

Nei Gulag più che lo sterminio dominava il brutale sfruttamento Nei Gulag più che lo sterminio dominava il brutale sfruttamento Giovanni De Luna NEL gulag staliniano si aggiravano figure molto simili al «musulmano» raccontato da Primo Levi per il lager: erano i dochodjaga, gli arrivati. Era facile non notarli perché (come scrìve Bardach) «rovistare tra i rifiuti, mangiare ritagli rancidi di carne, masticare lische di pesce erano comportamenti così usuali che nessuno ci faceva caso». Se i rifiuti venivano gettati nelle latrine, i dochodjaga li andavano a prendere lo stesso. «Il nome dochodjaga deriva dal verbo dochodit', che significa arrivare o raggiungere», scrive Petrov: «sulle prime non capivo la connessione, ma poi me la spiegarono: i dochodjaga erano "arrivati", erano coloro che avevano raggiunto il socialismo, erano il tipo compiuto del cittadino di una società socialista». Certo che colpisce la fortissima analogia tra i due comportamenti, la dimensione bestiale che nel «musulmano» e nei dochodjaga assume la lotta per sopravvivere; per il resto, gli «arrivati» non sono il risultato finale a cui punta il sistema concentrazionario, non sono dei «morti viventi» e si sottraggono all'orizzonte biopolitico che segna il potere assoluto esercitato nei lager nazisti. Il mussulmano era destinato comunque a essere ucciso e l'uccisione portava solo a compimento un processo di annientamento cominciato ben prima. La morte attraversa in profondità anche le strutture del gulag, ma costituisce un semplice sottoprodotto del sistema, non ne rappresenta certo una finalità immediata; Raymond Aron non mancava di ricordare che l'esito del terrore erano in un caso i lavori forzati e nell'altro la camera a gas. C'è molta incertezza sulle spaventose cifre dei morti del Gulag; quello che è certo è che rispetto al lager nazista nel Gulag c'è una minore efficienza «mortuaria». E questo anzitutto perché l'obiettivo dei campi sovietici non era lo sterminio dei prigionieri, ma il loro sfruttamento brutale in quanto forza di lavoro schiavizzata. Il sistema nazista prevedeva un certo numero di fabbriche dello sterminio come Treblinka, Sobibòr e Belzec, in cui la maggior parte dei prigionieri veniva uccisa all'arrivo. Gli unici «campi della morte» all'interno del sistema del gulag erano invece comunque degli «impianti produttivi» come le miniere di uranio e le centrali nucleari in cui i detenuti senza equipaggiamento non potevano aspettarsi di vivere a lungo. Il duro clima artico, la brutalità quotidiana e la depravazione delle guardie, l'assenza di cure mediche, erano la causa di una percentuale altissima di mortalità: ma non c'era la morte come progetto totale. Così le autorità sovietiche concentrarono la loro attenzione più sul Lavoro che sulla Morte, cercando comunque di attribuire funzioni «socialmente utili» a queh' orrore. La Kolyma, ad esempio, è stato il più grande gulag dell'Urss. Fu creato nel 1932 per lo sfruttamento dei giacimenti aurìferi dei corsi superiore e inferiore del fiume Kolyma, oltre che per la colonizzazione dei confini nordorientali deh' URSS. In condizioni climatiche proibitive ( con temperature che scendevano fino a -65) i prigionieri estrassero il primo anno mezza tonnellata d'oro, tre anni dopo 14 tonnellate; la quota giornaliera per detenuto era di un metro cubo nel 1933, due metri cubi nel 1935 e da quattro a sei metri cubi nel 1936: senza che fosse mai variata la razione alimentare e con un progressivo aumento dei carichi di lavoro. An^he le straordinarie fotografie raccolte da Tomasz Kizny ci restituiscono, così, più il lavoro che la morte. Il volume raccoglie i frutti di una imponente ricerca (avviata nel 1986 e conclusa nel 2003) che ha portato a reperire immagini negli archivi personali di ex detenuti e funzionari del Gulag, oltre che in diverse istituzioni dell'ex URSS; un grande aiuto Kizny lo ha ricevuto dell'associazione Memorial, impegnatasi subito in un'operazione di forte impegno civile a sostegno del recupero della memoria del «dissenso», anche in contrasto con r«ufficiahtà» della nuova Russia di Eltsin e Putin. Le foto vanno dagli scatti burocratici e ammonistrativi (comprese le immancabili foto segnaletiche) che ritraggono i prigionieri e i loro guardiani a scene di colossali cantieri o di rovine sepolte nella neve, a ritratti di sopravvissuti che trascinano gli ultimi anni della loro vita nella povertà, molti vivendo ancora all'ombra dei loro ex campi. Colpisce la sproporzione tra le imprese ciclopiche avviate dal regime e la pala, il piccone e gli altri attrezzi rudimentali di cui di¬ spongono i prigionieri. Nel 1933 fu inaugurato il Belomorsko-Baltijskij Kanal im. Stalina (Il canale tra il mar Bianco e il mar Baltico intitolato a Stalin): per realizzarlo furono impiegati BOmila detenuti, costretti a lavorare con utensili molto primitivi, senza strumenti meccanici, con gru rudimentali di legno e i martelli pneumatici azionati dalla sola forza muscolare. Venti mesi di sforzi titanici finiti nel nulla; il canale non piacque al dittatore, («troppo stretto e troppo poco profondo») e si ricominciò da capo. In mezzo alla rappresentazione di questo sterminato esercito di formiche che lavora negli enormi spazi artici, affiorano, rare, anche le immagini della morte. Non quelle dei corpi profanati e vihpesi del lager. Ci sono le fosse comuni («il cimitero che si trova nella sezione Golgota dei campi delle Solovki annoverava sette fosse grandi e nove piccole. Quando è stata aperta una delle grandi fosse si è visto che era piena di cadaveri fino a un'altezza di circa 20 centimetri dalla superficie») e ci sono le tombe individuali disseminate nei cimiteri nella tundra, con un semplice palo e il numero di matrìcola: solo nel 1956 apparvero le prime croci. Il tutto in una dimensione di anonimo squallore, quasi che il regime staliniano avesse voluto duplicare nella morte delle sue vittime le coordinate essenziah della loro esistenza di «uomini di marmo». Le straordinarie fotografie raccolte da Tomasz Kizny, una imponente ricerca (avviata nel 1986 e conclusa nel 2003) che ha portato a reperire immagini negli archivi personali di ex detenuti e funzionari del Gulag, oltre che in diverse istituzioni dell'ex URSS TomaszKizny Gulag con testi di Norman Davies, Jorge Semprun, Sergej Kovalev Bruno Mondadori pp. 496, €59 ALBUM isi idH ||l . , i * % \ '# V^i^ipB^ ""• . i »-' ',' ' ' , '■""~y-t^f7' 4 I tracciato dei Canale del Mar Bianco era diviso in nove tronconi che venivano costruiti in parallelo

Luoghi citati: Russia, Urss