Sfumano amore e patria, Jacopo addio

Sfumano amore e patria, Jacopo addio I CLASSICI-LA STAMPA Sfumano amore e patria, Jacopo addio RICEVERETE... il primo volumetto di una mia operetta a cui forse die orìgine il vostro Werther... Ho dipinto me stesso, le mie passioni, e i miei tempi sotto il nome di un amico ammazzatosi a Padova». Così Ugo Foscolo con una missiva datata 16 gennaio 1802 presenta a Goethe le Ultime lettere di Jacopo Ortis. La dichiarazione è abbastanza veritiera. Lo è per i riferimenti estemi, come il fatto di cronaca che fornì il nome al protagonista, e per l'influsso, sia pure ammesso con reticenza, esercitato dal romanzo popolarissimo di Goethe. Ma corrisponde anche, per grandi linee, al contenuto del libro: l'autoritratto di un uomo dal forte temperamento passionale, trovatosi a vivere in un momento storico a sua volta turbolento. In realtà, soltanto in parte il romanzo di Foscolo mantiene le promesse del nobile esordio, pervaso di contenuto dolore, in cui Jacopo confida all'amico Lorenzo la sua condizione di proscritto: «Il sacrificio della patria nostra è consumato: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e le nostre infamie». Allude alla cessione di Venezia all'Austria, avvenuta da parte della Francia con il trattato di Campoformio, che mortifica le speranze dei patrioti italiani e svela il cinico opportunismo di Napoleone, già salutato da Foscolo come «liberatore». E' con questi tratti che, auspice Mazzini, Foscolo si conquista il posto di antesignano del Risorgimento. Certo non mancano nelle Ultime lettere le apostrofi veementi ispirate all'Alfieri odiator di tiranni. Una delle pagine memorabili è quella in cui Iacopo, sotto i tigli di Porta Ticinese, sorregge il vecchio Parini che esprìme tutto il suo sconforto per un popolo servo e corrotto. Lo stesso Parini della «vergine cuccia», il censore severo del lusso e dell'ozio nobiliare, lo protegge dalle seduzioni di una dama artefatta, prodiga di cure per un cagnette stizzoso. Ecco, l'anelito alla libertà politica, la fedeltà a una religione civile è ben presente, ma vengono per così dire doppiati e risucchiati in modo esorbitante dalla passione d'amore che dovrebbe compensare la disperazione di Jacopo. Ama Teresa e ne è riamato, ma la donna deve piegarsi a un matrimonio d'interesse, impostole da crudeli costumi che l'indigenza dell'esule non è in grado di contrastare. Sfuma l'amore, e non soccorrono nemmeno le ombre dei grandi, i maestri di verità e bellezza. Visita Arquà e si commuove davanti alla casa negletta di Petrarca. A Firenze, indugia presso le tombe di Galileo, Machiavelli e Michelangelo, magro riconoscimento per l'oblio che le circonda (Foscolo non è ancora persuaso, come farà nei Sepolcri, che «a egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti»). Si aggiunga il pessimismo di natura filosofica, che assume risonanze cosmiche, il vagheggiamento della morte come suprema quiete alle tempeste dell'animo e si completerà il quadro psicologico che prepara il suicidio di Jacopo. Solo, tenue diversivo è la compassione che sente per chi è afflitto dalla miseria, dalle infermità, dal disamore. Il romanzo, oltre ai limiti strutturali, è viziato dall'enfasi retorica, dai lacrimevoli indugi. Bisogna tenere conto d'altra parte che nasce dalla fusione e dagli aggiustamenti di stesure diverse nel corso di quattro anni (dal 1798 al 1802), alle quali sono attribuibili certe disuguaglianze. In quel frattempo è mutato l'animo, e la mano, di Foscolo. Ci sono di mezzo le altre esperienze, la partecipazione ai fatti bellici di Cento (dove fu ferito) e Novi Ligure, perfino i fantasmi di due donne. Teresa Monti e Isabella Rondoni, che si succedono come ispiratrici dell'Ortis. E' un contesto storico-filologico-biografico che può essere apprezzato. Ma un più cordiale interesse deve affidarsi alle risultanze della pagina scrìtta, e più che alla lettura continuata, alle lettere poeticamente risolte. Oltre ai temi e alle situazioni accennate, segnalerei certi scorci di natura rìdente ma soprattutto tempestosa e corrusca, che commentano al meglio, in una accesa temperie romantica, «i casi di Jacopo mesto». Ugo Foscolo Le ultime lettere di Jacopo Ortis intr. di Walter Binni pp. 256. 24.90 in edicola con La Stampa martedì 23 novembre Le lettere foscoliane: tra le pagine memorabili lo sconforto di Parini per un popolo servo

Luoghi citati: Austria, Firenze, Francia, Novi Ligure, Padova, Venezia