Per la Francia il vertice dei sogni perduti di Cesare Martinetti
Per la Francia il vertice dei sogni perduti TRA LOSKUTA' AMERICANA E II RICATTO PER GLI OSTAGGI Per la Francia il vertice dei sogni perduti Chirac lo voleva per rientrare nel gioco, ora deve subirlo analisi Cesare Martinetti corrispondente da PARIGI DOMINIQUE de Villepin, allora ministro degli Esteri, grosso modo un anno fa, fu il primo a lanciare l'idea di una conferenza intemazionale sull'Iraq. L'intenzione dichiarata era quella di ricollocare l'intera vicenda della crisi dentro un ambito Onu o più genericamente della comunità intemazionale che, secondo la Francia, sempre contraria alla guerra, era stata pesantemente lacerata dall'attacco di americani e inglesi su Baghdad. Tuttavia lo scopo di Parigi era quello di rientrare nel gioco iracheno, soprattutto in vista della ricostruzione e degli assetti postbeUici dai quali si era autoesclusa. Ma allora, fu Condoleezza Rice a dare il tono alla musica con questa dichiarazione, che Jacques Chirac non ha mai dimenticato: «Ignorare la Germania, perdonare la Russia e punire la Francia». Sono passati dodici mesi e non si può dire che le cose siano molto cambiate, se non che Condoleezza sta per diventare Segretario di Stato al posto di Colin Powell e finora non risulta che abbia cambiato idea sui propositi di allora. La Germania sarà ignorata, la Russia è già stata perdonata, la Francia è stata e sarà punita perché la conferenza che si apre oggi a Sharm-el-Sheikh è qualcosa di molto diverso da quanto voleva Parigi e, come ha scritto «Le Monde», «non segnerà certo un tornante nella gestione della crisi irachena». Nel frattempo Washington si è impossessata dell'idea di una conferenza intemazionale, Bush l'ha usata nel corso della campagna elettorale, in un momento difficile, quando era in svantaggio nei confronti televisivi con Kerry e sembrava che il tema Iraq potesse pesare in modo negativo sulla sua rielezione. Ora la Casa Bianca interpreta il passaggio di Sharm-elSheikh come un atto dovuto e un episodio non certo decisivo dell'evoluzione della crisi: buone parole e poco di più. Ma intanto le cose sono cambiate e, molto, anche per Parigi, perché siamo ormai al novantacinquesimo giorno di prigionia per Georges Malbrunot e Christian Chesnot, i due giornalisti del Figaro e di radio France Internationale sequestrati in agosto a Latifiya dai banditi-terroristi dell'«Esercito islamico dell'Iraq», gli stessi che sequestrarono e uccisero il volontario-giornalista italiano Enzo Baidoni. La diplomazia francese ha mosso mare e monti nel mondo arabo per attivare una mediazione e arrivare alla liberazione dei suoi due reporter. Finora senza venire a capo di niente e producendosi in una serie di gaffe abbastanza imbarazzanti. Ed è una situazione che irrita all'inverosimile l'Eliseo e il Quaid'Orsay. La mancata liberazione dei due giornalisti è parte dello stesso scontro diplomatico che continua a contrapporre Parigi a Washington e anche a Baghdad, intesa come il governo provvisorio di lyad Allawy, il primo ministro iracheno, installato con risoluzione unanime del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ma sostanzialmente filo-americano e molto anti¬ francese. Solo due settimane fa Jacques Chirac ha abbandonato il Consiglio europeo di Bruxelles quando Allawy è arrivato per un «déjeuner» di lavoro. A Baghdad i diplomatici francesi, presenti in forze per liberare Malbnmot e Chesnot, non hanno mai trattato con gli uomini del govemo di Allawy e Parigi ha seguitato a puntare su contatti con il mondo islamico e islamista (sostanzialmente oppositori e nemici di Allawy) per allacciare contatti con i rapitori. Ma senza successo. Lo scontro è senza mezze misure. Una settimana fa gli americani e gli iracheni, durante l'offensiva a Falluja, si sono imbattuti in Mohammed al-Jundi, l'autista siriano dei due giornalisti, che era stato rapito con loro. Ma invece di rimandarlo subito a casa o di metterlo a disposizione dei francesi, lo hanno trattenuto per cinque giorni, facendo l'ennesimo sgarbo a Parigi. I giornali francesi parlano addirittura di «sequestro di persona prolungato» e raccontano che al-Jundi sarebbe riuscito ad arrivare all'ambasciata francese di Baghdad solo scappando dagli americani. Ora l'uomo è stato condotto a Parigi con tutta la sua famiglia. Ma sembra che la sua testimonianza sia quasi inutile, perché sostiene di essere stato separato da Malbnmot e Chesnot pochi giorni dopo il rapimento. Stando così le cose, è evidente che l'impostazione francese alla conferenza sull'Iraq non aveva alcuna possibilità di essere presa in considerazione. Tanto più che, in un evidente tentativo di strizzare l'occhio agli ambienti che sono vicini ai rapitori dei due giornalisti, il ministro degli Esteri Michel Bamier ha chiesto che venissero associati alla conferenza anche i «movimenti armati» della resistenza (con l'impegno a disarmarsi) e che si stabilisse una data di ritiro delle\ruppe di «occupazione» (leggi americani e inglesi). Non si farà niente di tutto ciò. Il ministro degli Esteri Michel Barnier rappresenta la Francia a Sharm el Sheikh
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