«Siamo contrari all'esecuzione dell'assassino di Maria Grazia»

«Siamo contrari all'esecuzione dell'assassino di Maria Grazia» I GENITORI DELLA CUTULI DOPO LA CONDANNA CAPITALE «Siamo contrari all'esecuzione dell'assassino di Maria Grazia» Reza Khan faceva parte del commando che sparò alla giornalista vicino a Kabul. «Ho dovuto uccidere o mi avrebbero ammazzato» Claudia Ferrerò Condannato alla pena di morte per impiccagione uno dei killer della giornalista del «Corriere della Sera» Maria Grazia Cutuli e di altri tre colleghi - il cineoperatore della televisione australiana Harry Burton, il fotografo afghano Azuzullah Haidari della «Reuters» e il giornalista spagnolo Julio Fuentes del quotidiano «El Mundo» -, uccisi il 19 novembre del 2001 da un gruppo di uomini armati a Tangi Abrishum, circa 90 chilometri ad Est di Kabul. Reza Khan, 29 anni, è stato giudicato da un tribunale afghano anche colpevole per il reato di violenza carnale nei confronti della giornalista italiana e per questo gli sono stati inflitti 15 anni di carcere. Riguardo a questa accusa, aveva in un primo momento confessato e successivamente ritrattato le sue ammissioni. «La sua colpa nell'omicidio è stata provata e non ci sono dubbi», ha dichiarato il giudice della Corte Nazionale di Sicurezza, Abdul Baset Bakhtari. Ma la notizia della pena di morte ha contrariato la famiglia Cutuli. «Da cristiani ne siamo sempre stati avversi. Non abbiamo mai pensato che chi ha ucciso Maria Grazia potesse e dovesse essere condannato alla pena capitale. Ouesto non ci avrebbe ridato nostra figlia», ha detto la mamma Agata D'Amore. «Ci rimettiamo - ha aggiunto - a quello che la giustizia crede di fare, e ai magistrati italiani che vorranno sicuramente interrogarlo». Il gruppo di giornalisti era stato intercettato e ucciso mentre cercava di raggiungere dal Pakistan la capitale afghana, dopo la sconfitta del regime dei taleban. Parlando prima dell' udienza finale. Khan, che è stato anche condannato per l'omicidio della moglie, ha detto di aver materialmente sparato solo al giornalista afghano e di averlo fatto perchè gli era stato ordinato, pena la sua morte. «Sono stato costretto ad andare là, e mi dispiace per quell'attacco contro stranieri e locali», ha detto ai giudici della Corte di Kabul. «Sono solo un pover'uomo. Non un killer. Cerco il perdono - ha implorato perché sono stato costretto, dietro minaccia, da Mohammad Agha (da lui identificato come un comandante di guerriglieri locali)». Durante l'udienza Khan ha però continuato a negare le accuse di stupro. Nell'agosto di quest'almo il procuratore aggiunto di Roma Italo Ormanni, titolare delle indagini sull'omicidio della giornalista, aveva dichiarato che «dall'autopsia eseguita a suo tempo da tre medici legali sul cadavere di Maria Grazia Cutuli non emerse alcuna traccia di violenza». Khan ora potrà fare ricorso: sia per la condanna a morte, sia per i quindici anni di prigione inflitti per «l'adulterio forzato» a cui avrebbe costretto la Cutuli. Se la decisione dovesse essere confermata anche in secondo grado, sarà impiccato. I quattro cronisti erano a due ore di viaggio dal raggiungere Kabul. Secondo il racconto dell' autista di alcuni giornalisti greci che erano appena passati nella zona, c'era un posto di blocco di combattenti dell'alleanza del Nord, i guerriglieri che combattevano i taleban. Loro, i greci, erano passati. Anche dei giapponesi ce l'avevano fatta, pur se derubati. Non fu così per Maria Grazia Cutuli e i suoi tre colleghi. Alcuni riferirono che avevano le tasche delle giacche rivoltate, come se fossero stati derubati prima di essere uccisi a colpi di mitra. Secondo il racconto dell'imputato, dopo aver catturato i giornalisti, Mohammad Agha chiamò con un telefono satellitare un uomo conosciuto come «II Fratello Mullah». Dopo la conversazione, mise i sequestrati in fila e sparò per prima proprio alla reporter italiana. Sempre Khan, in una precedente confessione, aveva indicato come capo di riferimento del suo gruppo Mahmood Zar Jan. Mahmood Zar Jan, Mohammad Agha e altri membri del commando cono ancora latitanti. Nel mese di agosto, in Italia, su iniziativa del procuratore aggiunto di Roma Italo Ormanni, era partita la richiesta di rogatoria intemazionale per poter interrogare Reza Khan. «Nessuna meraviglia. La condanna a morte era nell'aria se si considera il codice penale vigente in Afghanistan», ha commen¬ tato Ormanni. L'evoluzione della vicenda non modificherà però i programmi del magistrato romano. Non c'è solo Reza Khan nel mirino della procura di Roma che indaga su quel mortale agguato. Nei confronti di altri tre afghani ritenuti componenti della banda di killer pendono da tempo altrettante ordinanze di custodia cautelare emesse dal tribunale del riesame a conclusione di un lungo iter al quale ha posto la parola fine la Corte di Cassazione, respingendo anche l'ultimo dei ricorsi dei difensori degli indagati. All' identificazione dei tre afghani si era arrivati attraverso l'arresto di uno di loro trovato in possesso, a Kabul, di alcuni oggetti che appartenevano ai giornalisti caduti nell'imboscata. I nomi degh altri due emersero in seguito alle indagini condotte in Afghanistan dalla Digos di Roma. Il killer è stato anche giudicato colpevole di violenza carnale nei confronti della giornalista La procura di Roma aveva già escluso in passato tale ipotesi Reza Khan mentre inveisce contro la giuria di Kabul dopo la condanna capitale Un'immagine della giornalista del «Corriere della Sera» Maria Grazia Cutuli