«La seconda agonia dell'Iraq» di Eugenia Tognotti

«La seconda agonia dell'Iraq» LA RIVISTA LANCET: IL RISCHIO DI MORTE AUMENTATO 5 VOLTE «La seconda agonia dell'Iraq» Eugenia Tognotti QUANTI sono stati i morti tra la \# popolazione civile in conseguenza dell'invasione e dell'occupazione dell' Iraq? Nel suo ultimo numero, la prestigiosa rivista medica Lancet pubblica una serie di commenti e riflessioni sullo studio di un'equipe di ricercatori americani ed iracheni, guidata dal Center for International Emergency Disaster and Refugee Studies, della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. Condotto in Iraq, su gruppi campione nel settembre del 2004, ha permesso di stimare in 98.000 le morti violente, anche se si potrebbe ragionevolmente supporre che questa pur impressionante quota possa essere superata, stante la difficoltà di disporre di informazioni «certe» riguardo alla salute dopo l'invasione del Paese nel 2003. Questi risultati, insieme alla metodologia adottata, sono stati duramente contestati in ambienti pohtici, che riferendosi all'Iraq Body Count Database, parlano di 7350 morti violente soprattutto in conseguenza d'attacchi aerei - durante la fase della guerra e fino al maggio del 2003. A queste ne vanno aggiunte altre 16.352, per completare la sinistra contabilità fino al primo novembre 2004. Ma a far discutere non è, almeno per il momento, il contrasto «tecnico» sulla «conta dei morti» sotto le bombe o nelle sparatorie ingaggiate dalle forze della coalizione contro i ribelli o in incidenti provocati da «fuoco amico». Anche se ci sarebbe molto da dire sul fatto che l'incertezza dei dati è legata al mistero che circonda le statistiche che riguardano le vittime civili della guerra e il numero di quelle provocate dalle bombe, che le autorità militari dovrebbero rendere accessibili, anche per rispetto ai principi del diritto umanitario. Quello che emerge dallo studio è che la popolazione irachena cui la guerra spazzato via un dittatore sanguinario - avrebbe dovuto assicurare libertà, pace e benessere corre un rischio molto più elevato che sotto Saddam di morire e di morte violenta, rispetto al periodo precedente. L'indagine, infatti, si proponeva di mettere a confronto i tassi di mortalità durante i 14-6 mesi prima dell'invasione del Paese con i 17-8 mesi successivi. Ebbene, è emerso che il rischio di morte è di 2-5 volte maggiore dopo l'invasione e che per gli iracheni - uomini, donne e bambini - la probabilità di finire uccisi per cause violente - attentati terroristici, sparatorie, «incidenti» vari - nel periodo successivo all'invasione è di 58 volte superiore che nel periodo che ha preceduto l'attacco delle forze della coalizione. Allora la graduatoria delle cause principali di morte era molto simile a quella dei Paesi occidentali: infarto, incidenti cerebrovascolari, e altri «disordini cronici». Oggi è la violenza, in Iraq, la causa primaria di morte. Ma si può accettare che errori pohtici e militari continuino a provocare tante vittime innocenti? Se lo chiede Thomas Horton, in un commento insolitamente duro, considerati i toni tradizionalmente compassati degh editorialisti del Lancet. Nel suo articolo, significativamente intitolato «The war in Iraq: civilian casualties, politicai responsibilities», ribadisce che un principio vitale di sanità pubblica è la riduzione del danno. Gh errori pobtici e militari stanno provocando la morte di moltissimi iracheni che vivono sotto la minaccia quotidiana della violenza. Era giusto che questo rappresentasse oggetto di una ricerca, che non può essere considerata solo una pubblicazione accademica. «La prova che pubblichiamo oggi - conclude - deve cambiare le teste così come trafigge i cuori».

Persone citate: Johns Hopkins, Public, Thomas Horton

Luoghi citati: Iraq