Tra carte e computer in cerca della falsa prova di Massimo Numa

Tra carte e computer in cerca della falsa prova IL BLITZ NELLA CASA DI UNO DEGU ESPERTI Tra carte e computer in cerca della falsa prova Setacciate anche le foto di famiglia e le bambole delle bambine Il professor Manfredi: «Assurdo: è un insulto al buon senso» reportage Massimo Numa inviato a PAVIA ■ carabinieri piombano a casa del perito quando manca mezz'ora alle due del pomeriggio. Una voce sbrigativa al citofono: «Dobbiamo perquisire il suo ufficio». Di colpo, tutti i veleni, i sospetti, le insinuazioni del più intricato giallo italiano degli ultimi anni sembrano entrare qui, in questa viUetta con giardino alle porte di Pavia, dove il professor Enrico Manfredi vive con la moghe e due fighe. Presto arriveranno i pubblici ministeri Giuseppe Ferrando e Anna Maria Loreto, il perito consegnerà agli uomini della squadra di polizia giudiziaria cinque faldoni e tre pc, seque¬ strati anche in un ufficio di Asti. Manfredi resta seduto alla sua scrivania, mentre il maggiore dei carabinieri gli detta le istruzioni per la giornata. Primo: nessuna telefonata in entrata o in uscita, «a meno che si tratti del suo legale». Secondo: vietato muoversi, tutte le persone presenti non possono lasciare la casa. Professore, come ci si sente con i carabinieri in casa, le Alfa Romeo parcheggiate nel vialetto e i pubblici ministeri che stanno arrivando da Torino? «Male. So che sono rischi connaturati alla mia professione. Ma trovo ingiusto che a pagare sia tutta la mia famiglia, e in particolare le mie bambine». L'ufficiale dei carabinieri, un maggiore, è un tipo gentile, ma dai modi decisi. Non si scherza con il giallo di Cogne. Lo studio del professore Enrico Manfredi occupa l'intero piano della sua viUetta di Cura Carpignano, nei dintorni di Pavia. Alle sue spalle, in uno .scaffale, i cinque faldoni dove sono contenuti le perizie, gh atti processuah, gh ultimi esposti. Compreso quello del 31 lugho scorso, la famosa autodenuncia per calunnia. Migliaia di pagine. Si sta ragionando sui veleni che trasudano ogni giorno dalla palude di Cogne. Le carte riguardano le tracce, le impronte, le macchie di sangue scoperte nel corso degli ultimi sopralluoghi (luglio 2004), compiuti dai periti della difesa nella villetta di Cogne. Potrebbero cambiare la storia di un processo che Taormina definisce da sempre «unidirezionale», che ha avuto sinora una sola accusata: la mamma di Samuele, condannata il 19 lugho scorso a 30 anni di carcere. Sono le 13,24. Manfredi: «Noi siamo tecnici (lui e Claudia Sferra, primario di medicina legale a Milano) e raccogliamo elementi... poi tocca aUa procura valutarli, dare delle risposte in merito. A Montroz furono i poliziotti elvetici e rilevare le impronte, mai viste prima, grazie al luminol test. Ma come si può pensare che siano state "costruite"? E' semplicemente allucinante. E' un insulto al buon senso. Bisogna intanto scoprire a chi appartiene quell'impronta. Che non è della Franzoni». La vita, all'interno della casa, si blocca, si paralizza. Siamo letteralmente circondati. Il maggiore che coordina l'operazione dice che bisogna aspettare i pm di Torino. Ci vorrà ancora un'ora e mezza prima che arrivino. La moghe Vincenza, medico chirurgo, le due fighe. Alice, tre anni, e Costanza, uno, se ne stanno mute in disparte. Non capiscono bene che cosa sta succedendo. Si continua a giocare con i puzzle della principesse deUe favole e di Biancaneve. La tensione sale. Alle 15, ecco i pm Ferrando e Loreto. Imprecisato il numero degli uomini della pohzia giudiziaria. Sono molti, fanno sul serio. Cercano qualcosa di preciso. Un ed, una videocassetta, una serie di hard disk. Manfredi è tranquillo, sereno. Cerca con lo sguardo gli occhi di sua moghe. Ci sono anche i suoceri e i nonni deUe piccole. La perquisizione, che si conclude ben oltre le 22, è minuziosa. Scontati i sequestri dei pc, dei documenti. Ma si controllano una per una le foto del battesimo di Costanza; le boUette della Telecom; il pericoloso zainetto di Alice, dove a sorpresa spunta fuori il libro di letture dell'asilo. I detective si soffermano su un indovinello: «Il trabiccolo e la caffettiera». La cameretta, ingombra di mille giochi, è in disordine, si guarda sotto il letto e nel cesto di vimini, pieno di Barbie. AUe 19,30 i pm, esauriti i controlh in cucina e nel comò delle lenzuola, decidono di andare a controllare un ufficio di Asti che Manfredi non utilizza più da un anno e mezzo; lì c'è un computer. Alle 17 Ferrando parte per Desio con Claudia Sferra. Seconda perquisizione. Infine l'ultimo blitz. A casa e nell'ufficio di Giuseppe Gelsomino, l'investigatore privato di Milano che ha firmato il dossier che scagiona la Franzoni. Lui non può parlare, ma Mia, la moghe, sì: «Hanno sequestrato i miei computer e altri documenti. Giuseppe è molto provato. Ci accusano di calunnia. No, non è possibile».