La pittura greca salvata dai Vasi

La pittura greca salvata dai Vasi La pittura greca salvata dai Vasi Maurizio Assalto HA detto Winckelmann che nuUa ha influito sulla nostra immagine della grecità quanto la pittura vascolare. Soprattutto a partire daUa metà del '700, quando i frequenti e generosi ritrovamenti di vasi neUltaUa meridionale contribuirono a plasmare la sensibilità dell'incipiente neoclassicismo, accendendo la passione collezionistica per le antichità magnogreche die dUagò nell'Europa colta. È intomo a questo recupero deU'antico che si snoda U percorso della mostra «Miti gred» (catalogo Electa, pp. 305, 635): più di 300 pezzi - molti dei quaU, mediti, provenienti dagh epocah scavi di metà '800 a Ruvo dì Pugha e daUe conseguenti ricchissime raccolte Caputi (acquisita da Banca Intesa), Lagioia (oggi della Regione Lombardia) e Jatta (rimasta in loco) - con un doveroso omaggio ai grandi collezionisti sette-ottocenteschi quah Lord Hamilton, Pelagio Palagi, Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Giuseppe Sigismondo Ala Ponzone. U tìtolo della rassegna - va detto - è eccessivamente generico, riflettendo una certa confusione aUa base deU'idea espositiva, risultante di diverse intenziom non del tutto componibih. Poco male, in fondo, visto che al di là del filo conduttore estrinseco, come giustamente fa notare Gemma Sena Chiesa, curatrice assieme a Ennanno Arslan, quelle che vengono presentate sono soprattutto, alla fine, «cose belle, che danno piacere». Un piacere che non resta fine a se stesso, perché sì accompagna aU'opportunìtà di approfondire lo specifico deU'arte italiota e sìceliota, e della società che Iha prodotta, rispetto a quella della madrepatria. Nel naufragio pressoché totale della grande pittura greca, ricostruibile soltanto attraverso le descrizioni letterarie o per confronto con le imitazioni vesuviane, ì vasi rappresentano la testimonianza forse più attendibile, paraUela al lavoro dei maestri attivi tra la fine del V e gh inizi del IH sec. a.C. Nella mostra alcuni esemplari di megalografie pompeiane sono accostati a una rara stele dipinta del Grande Tumulo di Vergina, la capitale macedone, tornato aUa luce 27 anni fa, e (in un'altra sala) aUe straordinarie lastre originali magnogreche della Tomba delle Danzatrid, scoperta a Ruvo nel 1833. Le sperimentazioni cromatiche, Musionìsmo prospettico, l'uso sapiente del chiaroscuro, i prindpah schemi figurativi affinati nei loro capolavori perduti da maestri come Polignoto, Zeusi, Parrasìo, Apelle, Protogene (possiamo farcene un'idea da una folgorante tavoletta pompeiana con Pegaso e Bellerofonte) sono gU stessi che traspaiono daUe lucenti superfid dei vasi. Con alcune innovazioni. Tutto comindò nella seconda parte del V secolo. A Atene la poUtìca dì grandi opere intrapresa da Pericle aveva sottratto risorse alle pìccole industrie del Ceramico (la produzione dì vasi attìd risulta in quegh anni dimezzata): di conseguenza un gran numero di artigiani si spostò in Sicilia e in Magna Grecia, mettendosi al lavoro nelle botteghe preesistenti. Al servizio di una committenza indigena desiderosa di vivere «aUa greca», i pittori mettono a frutto le esperienze maturate neU'Attica in tempi diversi e sotto diversi maestri, creando originah contaminazioni: dopo la cottura, le ceramiche a figure rosse vengono sovraddipìnte (bianco, giaUo, bruno, rosso, paonazzo), sì riempiono di motivi ornamentali, i di animali, vegetazione, paesaggi, acquistano profondità e effetti luministici, trasudanopathos. È un'enfasi manieristica che doveva appagare U desiderio di ostentazione dei notabìU locaU, soprattutto in occasione delle intenninabiU cerimonie funebri a cui i vasi, dì enormi dimensioni, erano destinati. Anche la rappresentazione dell'aldilà si adegua, nell'immagine di un luogo di beatitudine in cui U defunto, assiso in un'edicola, è circondato da elementi figurativi della simbologia orfico-pìtagorica (lltalìa meridionale era il centro d'irradiazione del pitagorismo) e atteso da una moltitudine di personaggi alati e nimbati che offrono corone, gioielli, frutti, perfino dolciumi. Esemplare la parabola del cosiddetto Pittore di Licurgo - il grande maestro della ceramica italiota, attivo a Taranto tra il 370 e il 330 circa a.C. - a cui la mostra dedica una imperdibile sezione personale: dalle prime prove ancora risolutamente «classiche», tra le quah il cratere da cui trae il suo nome convenzionale, passa rapidamente a un esuberante affollamento figurativo-decorativo, che il migliore dei suoi allievi, il Pittore di Dario, porterà aUe estreme conseguenze. Anse, fianchi, collo, bordo: ogni centimetro quadrato della superficie è gremito nell'anfora che racconta il ratto di Europa. Più dì così non sì poteva. La reazione venne nel giro di pochi decenni, per le mutate condizioni economico-sodah e fors'anche per esasperazione: i vasi del DI secolo sono pìccoU, completamente neri, senza figure. Tutt'al più con un filo di rosso sul bordo. Le sperimentazioni cromatiche, l'illusionismo prospettico, l'uso sapiente del chiaroscuro, affinati nei capolavori perduti da maestri come Polignoto, Zeusi, o Protogene sono gli stessi che ritroviamo nei reperti esposti a Palazzo Reale di Milano Particolare del cratere protoapulo a figure rosse del Pittore della Nàscita di Dioniso (400-380 a.C.) Miti greci. Archeologia e pittura dalla Magna Grecia al collezionismo Milano. Palazzo Reale. Fino al 23 gennaio

Persone citate: Caputi, Gemma Sena Chiesa, Gian Giacomo Poldi Pezzoli, Giuseppe Sigismondo, Jatta, Lagioia, Lord Hamilton, Maurizio Assalto, Pelagio Palagi